TramontanaTC "Tramontana"

 

Fuori il gelo si sta equiparando sempre più a quello
interno…

Il chiarore della lampada palesa la vicinanza della
notte. La città è fredda e i lampioni sono sbiaditi dall’impeto della neve che
cala all’inizio del nuovo anno.

Non trovo alcun rifugio che mi ripari dopo che sotto
il ponte si è formato uno stagno pieno di acqua e di detriti portati da essa,
rifiuti umani puzzolenti; trasporto il mio acre abito sulle spalle, il suo
odore di muffa umida, come quello della mia vecchia valigia simile alla ferita
in putrefazione, e mi siedo su di una panchina presso la sponda del lago. Come
ogni sera, dopo la mezzanotte, mi accingo a rivivere la mia consueta passione:
spiare la bionda con il figlio che lei imprigiona nell’auto fino al suo
ritorno. Ma ora i colpi di tosse sono più acuti, l’onda del lago si è arresa
agli spruzzi di neve lieve e calma, le strade svuotate di passanti: seduto
tremo, battono i miei denti e attendo il giungere della mezzanotte mentre la
mia febbre aumenta gradatamente.

Il cielo si è unito alla terra per mezzo di questa
neve, creando un tutt’uno, un ininterrotto batuffolo di cotone bianco sfumato
di grigio. Un sacco dei rifiuti poco lontano da me ed un cane vicino ad esso
che dorme nella neve attirano la mia attenzione, mi alzo, svuoto il sacco
dell’immondizia  e lo metto sulla mia
testa, forse mi riparerà dalla neve? Guardo il cane e lui me. In questo
affaccendarmi il tempo dell’attesa è trascorso velocemente finché i rintocchi
della campana hanno dato il segnale della mezzanotte: osservo la finestra del
secondo piano da quando la lampadina è stata accesa e le sue tende rosse
aperte, nel medesimo istante giunge un’automobile a parcheggiare poco distante
dalla mia panchina. Accertatasi che non ci fossi, la bionda apre la sua
automobile facendo segno a suo figlio di attendere mentre gli occhi di lui sono
alla mia ricerca.

Sono già trascorsi anni e noi parliamo in silenzio,
non abbiamo mai comunicato se non attraverso questo silenzio, discutiamo in
modo diverso.

Tremano i seni della donna mentre lei chiude le
tende e toglie il suo vestito.

Fa girare la sua musica ritmata ed incomincia a
ballare pazzamente ed il fuoco lecca i dipinti e le tende e gli occhi del suo
amante gonfiati; tra la sua camera ed il mio seggio congelato, il fuoco ed il
freddo, tremo come un volatile malato, rumino il mio sogno spezzato, la brina
divora me e la mia rimembranza, ora estraggo un pezzo di metallo rotondo e
freddo dalla mia tasca, lo getto nelle acque del lago e ritorno al mio posto
gelato. Improvvisamente si spegne la luce, si spalancano le portiere dell’auto,
esce il ragazzo correndomi incontro, ma forse anche sua madre… anche se il
freddo la riporterà alla sua temperatura dopo che avrà riaggiustato il trucco e
sistemato i suoi abiti; chiama suo figlio mentre lui è già avanti a me immobile
come una statua.

– Marco… – fa eco la sua voce inutilmente.

– È solo, all’aperto o madre mia!

– Marco dove sei?

– La mummia di un uomo contemporaneo madre mia.

– Marco vieni, vedrai che tornerà tuo padre e non ci
troverà in casa.

– È affamato… nella giungla del maledetto progresso.

– Lascialo stare.

Si avvicina a me che sono divenuto ormai una statua
di ghiaccio da cui appaiono solo i miei occhi.

– O madre mia è straniero, non vuole da noi nulla,
solo una coperta che lo scaldi! Ma Babbo Natale non gli ha regalato qualcosa
per ripararlo? – ed indicandomi con la sua mano esclama:   – Io sono alieno come te uomo!

– Zitto Marco! – schiaffeggiandolo sul volto. – Cosa
diremo a tuo padre, dove siamo stati? 

– La verità! – di nuovo un altro schiaffo.

– Vai nella macchina!

– Io non vado prima di sapere cosa c’è in questa sua
valigia.

– Nulla! Nulla! – e lo strattonava via mentre dice:
– Sogni bugiardi come i miraggi e bottiglie di alcool vuote… qualche moneta
raccolta asciugando i vetri delle macchine…

 

Mostro per la strada…

La polizia si prepara immediatamente lampeggiando la
sua sirena ululante, spezzando le viscere della notte e la sua calma. Mi
circondano come fossi un capomafia o un terrorista e siamo rimasti in silenzio
fino a che siamo giunti al commissariato.

– Ma chi è costui, un pupazzo di neve? 

Sono aumentati gli attacchi di tosse mentre io
sussurro tra le mie labbra: – Anzi l’uomo delle nevi.

– E che, mi allaghi tutto l’ufficio? – Si è sciolta
la neve ma lui non mi sente parlare, continua a dire:

– Cosa c’è nella tua valigia, droga? Minchia fammi
vedere!

– Ti prego! – ho detto stringendo forte la valigia
al mio petto fino a farle toccare il mio cuore. – Lasciami stare, ti prego!

– Io devo perquisirti!

Si è drizzato in piedi cercando di afferrare la
valigia per strapparmela. – Non c’è nulla, solo vecchie ferite che voi non
potete rimarginare! Vi prego, lasciate chiuse le mie ferite, non guadagnereste
nulla riaprendole e neppure io.

Ha cercato di strapparmela con la forza, ho
resistito finché ho perso conoscenza e sono andato lontano verso la sala
rianimazione.

 

“L’autobetoniera… i miei amici… l’uomo rosso…
sangue… montagne… foreste…”. Così ripeto nella mia stanza e quando sono in
procinto di riprendermi c’è Marco accanto a me che ascolta tutto il mio
delirio; mi sento sollevato nel vederlo nonostante la presenza del comandante
cocciuto a parlarmi con freddezza.

 

Tanti anni fa il paese era povero, come uno di quei
paesini siti sulle rive del Nilo, quelli in cui ancor oggi sono rimaste le
tracce del colonialismo sui volti e nei comportamenti degli abitanti. I loro
sogni erano modesti, si accontentavano di poco e dividevano fra loro il pezzo
di pane; ma la situazione da qualche anno a questa parte è mutata dopo il
ritorno degli emigrati provvisti di apparecchiature elettroniche e vestiti
europei ed americani, dopo aver indossato gallabee, i jeans e le T-shirt sono
divenuti di moda.

 

Loro dicono che questa è l’evoluzione; ma io
rispondo Hamburger e Supermarket in cui si vende ogni cosa… persino noi! I
giovani hanno abbandonato i villaggi lasciando i vecchi, i bambini e le donne,
uno seguiva l’altro vagheggiando il medesimo sogno, abbiamo cercato io ed i
miei compagni, professori di scuola, di salvare il salvabile. Tutttavia
l’ondata era troppo forte ed ha spinto anche noi a partire…

Noi sapevamo che ottenere il visto per un paese
europeo era impossibile se non per uomini d’affari e per ricchi signori: per i
poveri non c’è posto. Un amico ci ha consigliato di partire per l’Italia
passando attraverso l’Ungheria; così abbiamo fatto, con duemila dollari
soltanto, presi in prestito da coloro che erano rimpatriati. Abbiamo dormito
due notti sul confine con l’Austria ed il terzo giorno da una banda sono giunti
due giovani rasati come le loro facce, graffettati alle orecchie da numerosi
anelli e ci hanno condotto gesticolando per stradine di montagna e foreste
conosciute solo dal diavolo; il nostro viaggio procedeva soltanto nel buio come
pipistrelli e durante il giorno dormivamo; dopo qualche telefonata (dal
cellulare) mi pareva che fossero mutati i loro piani facendoci discendere per
il pendio verso l’autostrada. Ci hanno consegnato come pacchi postali ad un
uomo rubicondo che impugnava nella sua mano una bottiglia di alcool rosso:
anche egli si esprimeva a gesti e strizzatine d’occhio, appoggiato alla sua
autobetoniera; ci guardava come fossimo dei vermi usciti dalla terra; subito ci
ha ordinato d’infilarci dentro la betoniera dandoci un apparecchio che abbiamo
intuito essere un segnale per lui, in caso di bisogno. Ci incoraggiavamo alla
pazienza nella speranza del prossimo arrivo alla dogana dopo aver saputo che
mancava poco più di un’ora di viaggio.

L’autobetoniera proseguiva e noi in essa come topi
tremanti. Mi sono sentito schiacciato nella mia nobiltà, avrei voluto piangere
sentendomi dentro ad un sepolcro pur essendo vivo, io ero senza libertà, senza
nulla, un topo che si nasconde… da che cosa non lo so!

Avrei desiderato gettarmi fuori sulla strada e
morire dignitosamente anziché in questo modo. L’abbaglio del denaro trasforma
l’uomo in un topo? Maledizione! I miei compagni silenziosi, né voci, né
movimenti… sono divenuti come cadaveri, ho sentito la paura, avrei voluto
urinarmi addosso. Sentivo i loro denti battere dal freddo o forse dalla paura
mentre l’uomo rosso ha alzato il volume della sua radio e cantava il canto
degli emigrati italiani in America. E noi morivamo dal freddo.

Ho schiacciato l’apparecchiatura e poco dopo si è
fermato: ho compreso dai suoi modi che mi malediva bestemmiando per i cinque
minuti che mancavano prima di scaricarci in Italia. Sono sceso sulla terra e
sono corso dietro ad una pianta al buio, mi sono accovacciato: mai prima di
quel momento avevo visto l’urina ghiacciarsi se non in questo luogo, tuttavia
ho persistito finché sono riuscito.

Dopo aver finito i miei bisogni sono ritornato non
trovando più né l’autobetoniera né l’uomo rosso.

– Dov’è andato? – mi sono chiesto, ed ho trovato
solo una bottiglia di alcool vuota restando anch’io come essa, solo. Ho urlato,
gridato, corso, dovevo correre affinché tornasse il calore nel mio corpo ed ho
continuato a correre come un pazzo mentre piangevo… – Da solo sono qui,
straniero nessuno mi capisce ed io non capisco nessuno… chi darà il cibo ai
miei figli? Alla mia vecchia mamma ed al mio padre malato? Chi? Chi? Chi?

È girata la vita nell’orbita della mia testa.

Ho cercato di ritornare, ma verso dove… La morte. Ma
non è la morte stessa un ritorno od almeno un rinnovo?

A poca distanza ho visto la betoniera sotto un palo
della luce,  ho avvertito il ritorno
alla vita, mentre mi stavo avvicinando ho notato un uomo in divisa girare
intorno ad essa, mi sono nascosto subito dietro una pianta dopo aver scavalcato
le transenne dell’autostrada, l’uomo in divisa ha girato di nuovo ed ho visto
gli occhi dei miei compagni e loro i miei. Mi hanno chiamato? O io ho chiamato
loro?

Ci siamo parlati con una lingua comprensibile solo
da chi si trova in queste situazioni. All’improvviso ho sentito il soldato
ridere di un compiacimento simile alle risa dei soldati colonizzatori mentre
indicava all’autista di andare a fermarsi poco più avanti:

– Falla girare!

Si sono allungate le mani, avrei voluto essere un
uccello per afferrare i miei compagni da dentro, tuttavia la betoniera è stata
più veloce ruotando: si sono impastate le umanità con il cemento, il sangue si
è amalgamato con il fango, è svanito il sogno come è evaporato l’alcool dalla
testa dell’uomo rosso. Ma cos’è il valore di qualsiasi cosa sulla terra dinanzi
a questo momento?

 

Non ho sentito nulla, solo dopo un mese o più ho
saputo che la donna bionda  mi ha
caricato sulla sua vettura e mi ha condotto in Italia, è rimasta accanto a me
finché il mio vigore e la mia giovinezza si sono rigenerati. Mi nutriva con i
migliori cibi, i più gustosi come un animale di cui vogliamo sfruttare la
carne, il  latte ed il pelo. È passato
il tempo ed è venuta meno la mia forza. Sono diventato impotente a spegnere la
sua ardente passione, la sua malattia incandescente. Mi ha gettato in strada
mentre era gravida. Non mi restava che asciugare i cristalli delle macchine e
dormire sotto il ponte e dopo dieci anni l’ho rivista mentre lavavo il suo
parabrezza: l’ho riconosciuta mentre lei no. Tante volte avrei voluto pulirle
anche gli occhiali ma non vi sono mai riuscito. Marco ha urlato e mi ha
abbracciato mentre le lacrime scendevano dalle sue guance e ha detto: – Il
sangue non diverrà mai ghiaccio! – ed è corso nella strada trovando sua madre
sulla porta dell’ospedale che urlava: – Marco torna! Tuo padre mi ha cacciato,
ora sei rimasto solo tu per me!

– Mio papà… ah! ah! ah!

Marco si è seduto sulla stessa panchina ed il
ghiaccio rimasto, sciogliendosi dai tetti delle case e da sopra le piante,
gocciolava ma la tramontana era in arrivo da dietro la montagna, l’aria si è
levata forte facendo volare via le foglie della pianta. Schiaffeggiandosi sulle
onde del lago.

Si frantumava l’onda al contatto con la sponda del
lago in spruzzi trasportati dal vento…

È aumentato lo scontro ed il mescolamento dell’aria
con l’acqua distruggendo il nido del gabbiano, ha cercato qualcosa che lo
riparasse dal vento sempre più impetuoso; ha provato ad attraversare verso
l’altro lato… ma l’aria lo ha respinto indietro e lo ha colpito la
stanchezza, mentre planava su di una terra salda.

Quando si sono avvicinati il commissario e sua
madre, Marco si è alzato ed ha chiesto: – Cosa avete fatto di lui, di questo
straniero?

Ha risposto il commissario:

– Gli abbiamo dato un foglio di via!

 

 

 

 

 


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