Letteratura in equilibrio

In equilibrio. Sprofondati negli abissi dell’anima coltivando la
speranza nei sogni. Senza patria e con le mille patrie di compagni di strade
tortuose, incontrati un giorno per caso, con cui cercare insieme un futuro
migliore.

Non c’è colore di pelle a creare differenze, perché unico è il
cammino: un viaggio senza meta confidando in un destino già tracciato o forse
ancora da inventare.

È la parola ad unire sofferenze e gioie di vite mai banali, pur
nella loro quotidianità.

In gioco in ogni istante è la scommessa in sé stessi e negli
altri, perché si oscilla tra mondi diversi specchio di anime erranti alla
ricerca di sé sfidando l’ignoto di culture lontane, così diverse, ma proprio
per questo in grado di disegnare attraverso il contrasto il profilo di uomini e
donne che osano abbracciare l’avventura della differenza. Ed è proprio dal
contrasto, dall’eterno oscillare in un moto perpetuo, che si riesce a cogliere
l’equilibrio: dentro di sé e nel rapporto con gli altri.

È forse questo il messaggio sotteso ai racconti e alle poesie
degli autori partecipanti alla quarta edizione del premio letterario per
immigrati Eks&Tra.

“Equilibristi in patrie a noleggio? Quali orizzonti per la società
multiculturale” era il tema del concorso.

Da questi scrittori di varie culture sono giunte risposte,
proposte, riflessioni. Interrogativi dolorosi celati in esistenze ai margini, o
speranze forse utopiche. “Quando si è da soli a sognare, è solo un sogno.
Quando si è in tanti a sognare, è già la realtà che avanza”, recita il
proverbio brasiliano con cui lo scrittore togolese Kossi Komla-Ebri, ha voluto
aprire il suo racconto “Sognando una favola”. Komla-Ebri si proietta in un
futuro in cui “la realtà non è altro che l’ombra di un sogno” multiculturale.
Una società futura, rappresentata da una famiglia “mista” ormai accolta ed
accettata con i figli integrati senza problemi in un paese ideale in cui non
esistono più razzismi ed incomprensioni, ma solo la volontà di valorizzare la
ricchezza delle differenze.

Un sogno ad occhi aperti, che però ha il pregio di infondere al
lettore la voglia di continuare a tendere verso un mondo migliore, adoperandosi
fin d’ora per realizzarlo.

La realtà vissuta ogni giorno dagli immigrati, si sa, è ben
diversa. “Io non mi riconosco in questo mondo profano” scrive la poetessa
brasiliana Rosana Crispim Da Costa, mentre il poeta albanese Gezim Hajdari
canta il dolore di chi deve ritrovarsi in terra straniera, la sofferenza di una
morte senza volti amici, l’indifferenza, la freddezza, l’oblio dei sentimenti:
“Giungerà la notte italiana / come occhio di cane / e ricopriranno il mio corpo
/ di nuovo: / lenzuola di marmo / ombre balcaniche / e sguardi di donne sconosciute.”

L’argentina Sandra Clementina Ammendola vive nei suoi versi la
distanza, l’abbandono, la perdita, il tempo come memoria di un’esistenza
altrove in cui la nostalgia del paese d’origine assume i lineamenti della
persona amata ed allora trova la forza per diventare una “sfida”.

Equilibri precari. Esistenze oscillanti alla ricerca di serenità,
là dove sembra possa esserci solo dolore e tormento.

È il percorso intimo di Natalia Soloviova nel racconto
“Destinazione sconosciuta”; un viaggio dalla Russia all’Italia alla ricerca
delle proprie origini a fianco della madre morente. Nel momento della
disperazione estrema, però, si verifica quell’oscillazione fondamentale che
crea l’equilibrio: “La vedo viva, più viva dei vivi nel suo letto di morte, e
la morte non mi fa più paura come prima.”

L’equilibrio, metafora di destini irrisolti nel dilemma fra la
possibilità dell’uomo di modificare il corso degli eventi oppure di soggiacere
alla predestinazione.

L’eritrea Abraha Hewan esprime nei suoi versi l’ineluttabilità
della sorte di chi emigra: “Brandelli / di coscienza / chiedono spazio / ma il
tuo destino / è già deciso: / non avrai nome.”

“È mai possibile commutare un percorso già disegnato prima che
fossimo nati?!”, chiede il siriano Yousef Wakkas nel racconto “Shumadjia
Kvartet” rispondendo attraverso gli episodi di una storia surreale dal ritmo
serrato, ambientata nel mondo di piccoli delinquenti balordi che prosperano con
il commercio di auto rubate tra l’Italia e l’ex Yugoslavia, sognando di
inventarsi business fantasiosi nell’Eldorado italiano.

E poi, quando tutto indurrebbe a pensare ad un esito tragico per
gli immigrati, probabili vittime di devianza e razzismi, il colpo di scena,
l’oscillazione magica che ricrea l’equilibrio: il destino si può cambiare “con
fiducia assoluta e irremovibile nell’ottimismo”. Significa, per Wakkas, indurre
i protagonisti del suo racconto a scegliere, dopo numerose peripezie, di vivere
svolgendo un lavoro onesto.

Eppure decidere di mettersi in gioco emigrando comporta accettare
l’idea che la propria identità, alla fine del viaggio, sarà comunque diversa,
modificata. C’è chi non si rassegna al cambiamento e si smarrisce, non
riconoscendosi più, come la scrittrice italo-malgascia Fitahianamalala Rakotobe
Andriamaro, che nel suo racconto indica come unica possibilità di fuga dal
reale la schizofrenia: “Le persone non erano più tali, nè una folla. Erano
un’unica, immensa, spaventosa figura che mi aveva inglobato. Ho visto la mia
immagine, capisce?”

C’è invece chi riesce ad accettare la sfida, anche se provoca
turbamento e ansia, aiutandosi con l’ironia, come la protagonista del racconto
“Mal di…” di Kossi Komla-Ebri, in cui una donna africana, dopo aver criticato
il modo di vita italiano, decide di tornare al paese d’origine.

Eppure, una volta a casa vive l’insofferenza di chi non appartiene
più completamente a nessuna delle culture con cui è entrata in contatto: “Ormai
mi sento come inquilina di due patrie: a volte ne sono felice, a volte mi sento
un po’ dimezzata, un po’ squilibrata, come se una parte di me fosse rimasta
là”.

Una nostalgia “a rovescio” che la protagonista risolve
concedendosi piccoli “vizi”: mangiare pizza e tifare Italia ai mondiali di
calcio. È il suo modo di oscillare per crearsi un equilibrio.

Il venezuelano Carmelo Quijada non accetta il ruolo di immigrato
vittima a cui il destino lo vorrebbe relegare e si inventa carnefice nel
racconto pulp “Vendette”. Stermina piccioni impregnando di veleno i pop-corn
credendosi vate di una sorta di “pulizia urbana”, rischia di venire a sua volta
“sterminato” da una banda di razzisti che lo prendono a pugni, ma con una
scaltra beffa riesce a far pendere la fortuna dalla sua parte: facendosi
passare per vittima, ma essendo in realtà un abile opportunista, trarrà tutti i
benefici da una realtà inizialmente a lui avversa. Sfrutterà l’atto razzista
contro di lui per ottenere un trattamento di favore da parte delle autorità:
villino al mare e protezione.

Destini in equilibrio, percorsi paralleli, vite che si incrociano
e poi sfuggono. Quale può essere il punto di incontro, il centro di gravità di
chi emigra, il punto d’equilibrio che esiste in ogni oscillazione?

Alla domanda risponde, con profonda intuizione, la scrittrice
brasiliana Christiana De Caldas Brito nel racconto “L’equilibrista”: “Solo ieri
ho capito quanto sia sottile il passaggio dal rancore alla speranza. Pensavo
che fosse più complicato. Non è complicato nè difficile. È sottile”, spiega il
protagonista, un lavavetri “inutile come un semaforo spento.”

Una persona che vive a rovescio: scatta con il rosso, quando tutti
gli altri si fermano. Medita con il verde. Le persone “oltrepassano con lo
sguardo il mio corpo”, dice, finché un giorno un automobilista gli chiede il
nome: “È tutto diverso se hai un nome. Dal rancore alla speranza. Il sottile
passaggio. Non era questo che dovevo raccontarvi?”

È qui il punto di equilibrio: l’identità, l’avere un nome, un
volto, una storia. Ciò che si ha solo se gli altri ci “vedono”.

Lo predicava il filosofo Lévinas: c’è giustizia solo nel momento
in cui ci si fa carico dell’altro che si presenta con il suo volto; c’è
giustizia solo quando lo si accoglie perché non affoghi nella violenza del
neutrale, dell’indistinto che non ha voce, perché non sia assassinato dal
mettere al suo posto il generale, la massa senza volto costitita da ex persone
che vi si sono perse.

Ecco allora che le poesie e i racconti raccolti in questo libro
diventano testimonianze di volti, di persone, di vite vissute attraverso la
parola liberata dalle manipolazioni di osservatori estranei e restituita a chi
l’ha pronunciata perché possa essere diffusa.

L’equilibrio? Non temete le oscillazioni e le differenze, sembrano
voler dire gli scrittori immi-grati, perché sono queste le garanzie
dell’esistenza di un punto fermo d’incontro e di dialogo tra le culture.

 

 

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