La casa di
acquaTC
"La casa di acqua"
Sto per andare lontano, lontano,
spero di avere un bel giorno ovunque.
Sto correndo lontano, lontano,
spero di avere una bella notte ovunque.
(Canto papago)
L’ultima barca è andata a
fracassarsi contro le scogliere scure, in riva al mare, in un mattino che si
confonde nel tempo. In essa avevo riposto gli ultimi miei sogni fanciulleschi e
avevo sperato di vederla sparire oltre l’orizzonte ed invece le onde
Si gettavano
l’una sull’altra parole che sapevano di rivoluzione, ma nessuna aveva il
coraggio, la forza e l’organizzazione per passare dalle parole ai fatti.
– Allora prenderò io la
situazione in mano.
Lo sguardo di mia madre lasciava mio padre e si posava terribile
sul mio volto perso.
– Non voglio ripetertelo
un’altra volta: basta giocare con queste stupide barchette di legno. Hai già
otto anni e sarebbe tempo che tu
cominciassi a dare una mano in casa e a badare ai tuoi fratelli più piccoli. Mi sono spiegata?
Delle decine di barche che
avevo me ne restava, ora, solo una che era sfuggita all’ira di mia madre perché
sepolta sotto la sabbia. Avevo pianto nel vedere le fiamme divorare i miei
sogni. Ma ancora di più avevo sofferto nel vedere gli ultimi miei sogni naufragare
prima ancora di prendere il largo.
Mio padre raccolse nelle sue
grandi mani queste ultime mie lacrime, e credo che se avesse potuto le avrebbe
seminate nel suo cuore, ma la brezza del mattino gliele portò via insieme alla
sabbia e ai miei capelli e alle sue parole di conforto, e il tutto si confuse
con l’aria prima, con il tempo dopo. Immortale resterà però questa nostra
immagine: lui che mi stringe forte a sé, ed io che piangendo continuo a
singhiozzare.
– Perché l’ha fatto!? Non
doveva farlo!!
– Questo sarà il nostro
segreto – e mi baciò sulla fronte. – Ogni volta che ti sentirai triste, ogni
volta che vorrai restare sola, ogni volta che
Sempre, Agua, potrai rifugiarti qui
A patto che tu, ogni
volta prima di entrarci, faccia un bel sorriso e faccia sparire la tristezza
dal tuo cuoricino. Me lo prometti?
Nessun uomo, per me, varrà
mai neppure la metà di mio padre
Ora, in questi ricordi, è impossibile
trattenere le lacrime. Quel nostro segreto non era altro che un piccolo riparo
di tavole, nascosto tra alcune rocce in riva al mare e ricoperto quasi
interamente dalla vegetazione. Ci aveva impiegato tre giorni, mio padre, per
costruirla, e quando l’ebbe terminata mi disse:
– Questa è casa tua, Agua.
E solo allora lasciai il
lutto per quei sogni naufragati
Era come se avessi trovato un posto nel mondo.
I miei sogni germogliarono nuovamente, ma ora con la certezza che sarebbero,
prima o poi, diventati realtà, perché ogni sogno era coltivato con un sorriso e
con la piena gioia di vivere, in quella piccola serra che battezzai “la casa di
Acqua”, perché durante l’alta marea si riempiva sempre di acqua, che vi
lasciava dentro, poi, conchiglie e piccoli granchi
E poi perché “Acqua” era il
mio nome: “Agua”, in portoghese.
I portoghesi erano stati
degli ottimi genitori adottivi, per noi
Ma noi avevamo raggiunto la maggiore
età, e, come tutti i figli maggiorenni, respiravamo aria di libertà
Volevamo
dipendere da noi stessi; pagare sulla nostra pelle i nostri errori, e allo
stesso tempo, gustarci privatamente i nostri meriti; ma soprattutto dimostrare
al mondo di essere capaci di camminare con le nostre gambe, cioè di esistere
Intanto, però, gli anni passavano e nonostante il desiderio di indipendenza
fosse estremamente alto in noi, non riuscivamo, o forse non volevamo veramente
lasciare la casa paterna.
Io, invece, a sedici anni
lasciai la casa dei miei; o meglio, trovai lavoro in un’altra città a pochi
chilometri dal mio paese, ma ad una distanza enorme per quei tempi in cui ci si
spostava o a piedi o con i somari. E non avevamo asini, così ero costretta ad
alzarmi la mattina presto e a partire quando le stelle parevano essersi appena
messe a dormire e facevo ritorno quando il sole si apprestava a tuffarsi nel
mare caldo della notte per quella sua lunga quotidiana attraversata in
compagnia delle tenebre.
I miei si opposero
tenacemente a quella scelta. Furono giorni di aspra battaglia, anche contro mio
padre che non lo riteneva un lavoro sicuro ed il viaggio, poi, era un qualcosa
di massacrante e altamente pericoloso per una donna giovane.
– Ma papà, andrò e tornerò
con lo zio Gil, non vedo dove
“No!” Era stato un no secco
senza nessuna possibilità di ripensamento. Fu quella la prima ed ultima volta
che lacrime di dolore e di rabbia conobbero la Casa di Acqua.
Ma fu solo un istante perché
qui, ritrovai subito la forza ed il coraggio di sferrare un ultimo e decisivo
attacco.
Non mi avevano mandata a
scuola perché ero donna, e quindi “destinata” ai fornelli, ai lavori di casa e
dei campi; ad accudire i fratelli prima, i figli dopo; ad obbedire al padre
prima, ed al marito dopo
Niente avevo potuto fare nella mia vita perché ero
donna e “donna”, a quei tempi, in quei luoghi, significava “schiava”, mentre
altrove la donna vinceva importanti battaglie e raggiungeva dignità, rispetto e
diritti alla pari con gli uomini.
Era tempo di cambiare
Io,
almeno, non potevo sopportare passivamente quel mio destino di “sottomissione”.
Anche la Casa di Acqua, ora,
(dopo tanti “Va bene, ricordati che vivi sotto il tetto dei tuoi”, “Porta loro
rispetto”) mi incitava, mi gridava: “Va’! Va’ Agua!! Il tuo destino è nelle tue
mani, va’!”
Strisciai fuori dal mio
cuore. Mi asciugai le lacrime. L’orizzonte non era poi tanto lontano.
Vinsi così la mia prima
battaglia, anche se sul campo dovetti lasciare la metà dei miei guadagni
futuri. Ma andava bene così. Le due ali, quella del senso della vita e quella
del senso della libertà, si congiungevano ed io
Dio, stavo volando, volavo
davvero!
Volavano anche gli anni.
A ventiquattro anni ero una
bella donna a parere di troppi, ma io a quella età non avevo ancora voluto
conoscere uomo perché sarei presto andata via.
Via
In Europa forse, ma
molto più probabilmente in America dove crescevano i sogni di tutti quei
giovani che, come me, desideravano qualcosa di più dalla vita, qualcosa di più
da una casa, una famiglia: la Libertà, la vita stessa.
Me ne sarei andata la
primavera successiva. Forse avrei
spezzato il cuore dell’unico uomo da me amato: mio padre. Restare lì, però,
significava per me autocondannarmi ad una esistenza da vivere su una linea
retta dove tutto era già segnato, e niente altro c’era più da scoprire. Niente
più era emozione, niente più era vita.
Era sempre stato così per
me, ed ora non solo volevo, ma potevo anche cambiare questa monotona corsa
lungo la pista della vita. Potevo, grazie ai miei risparmi e alle mille parole
che la Casa di Acqua continuava a seminare nel mio cuore.
Ma il cuore, un bel giorno,
mi fu rapito
– Casina, casina cara, ora
vengo a sorridere con te, perché la vita da un po’ mi sorride dentro, solo
quando sto con te
Oramai ero troppo cresciuta
per strisciare dentro il mio cuore, così mi accontentavo di sedergli vicino e
parlargli guardando il mare, al tramonto, di un meraviglioso sorriso
arancio-rosa.
“Attenta Agua, si scrive uomo
ma si legge maschio, e qui in modo particolare.”
No, Rui è diverso dagli
altri
“Piccola mia, spero tanto di
sbagliarmi. Spero sia come tu dici.”
È così, ne sono certa
Per
lui rinuncerei a tutti i miei sogni.
“Piccola mia, non dire
queste cose e
ti prego, non permettere mai a nessun uomo di rubarti i tuoi
sogni o di distruggerteli, perché senza sogni, senza speranze, senza ideali non
c’è più ragione di vita.”
Va bene! Grazie casina cara.
Rui
Ho smesso presto di
credere nell’uomo dei miei sogni
Anche se era già troppo tardi.
Rui mi aveva conquistata con
il suo fascino e con la sua apparente sicurezza. Alla fine si dimostrò, però,
essere un uomo di paglia. Con un grande cuore, certo, ma senza nessun sogno da
condurre in porto. Era come il lume di un cerino: ti illumina improvvisamente
la vita, ma si spegne altrettanto rapidamente lasciandoti nel buio più
profondo. E con lui si sarebbero spenti anche i miei sogni. Ma una nuova luce
stava nascendo dentro di me: era la “nostra” luce.
Nessun’altra luce ideale si
era accesa invece alla morte di Salazar, cinque anni prima, nel mio paese.
Tutto ancora serpeggiava sotto una spessa coltre di cenere. La rivoluzione
avrebbe dovuto risvegliare molte coscienze, forse anche quella addormentata del
mio Rui.
Una sera gli proposi l’idea
di andarcene in America.
– Perché, cosa ti manca qui?
– fu la sua risposta.
– Un futuro per noi e per i
nostri figli.
Lui disse che era un’idea
assurda.
– I nostri figli?! –
aggiunse – Eh, quante cose possono cambiare da qui a due o tre anni
– Da qui – lo interruppi – a
cinque mesi!
La “nostra” luce non era più solo un mio segreto.
– Ho qualcosa da parte,
possiamo farcela se
– Se cosa? Ti rendi conto?
Un figlio!!
Tutto mi sarei aspettata
tranne la sua reazione. Ero io la pazza, secondo lui, sciagurata senza un
minimo di intelligenza. Come se avessi fatto tutto da sola, senza la sua
partecipazione
– No, io non ti sposo. Non
posso
Il mese prossimo parto per il militare.
Il mondo si fece buio tutto
insieme
Ed ora, chi glielo avrebbe detto a mio padre? Io, la sua figlia,
ragazza madre!
– Non preoccuparti tesoro
mio, dove mangiamo in otto mangeremo anche in nove!
Scoppiai a piangere alle
parole di mio padre, forse per un po’ di vergogna, forse per la magnanimità che
mi sembrò di vedere in lui, forse perché aveva riacceso in me quella luce che
un pagliaccio mi aveva soffocato dentro.
Nell’estate di quello stesso
anno, quando sarei dovuta essere in America già da tanto tempo, nacque mio
figlio. Nonostante fosse il frutto di un amore già perso nel tempo, e
nonostante ora rappresentasse, per me, una catena che mi impediva di prendere
il volo, non ho mai smesso un attimo di amare Josè, Zè, mio figlio.
“Agua, non puoi aver smesso
Devi andartene da qui se vuoi un futuro migliore per te e per tuo figlio.”
Facile a dirsi, casina mia!
“Devi andare via. In
qualsiasi posto, ma lontano da qui, lontano da tutti i brutti ricordi, lontano
dalla miseria, dai sogni che sono poca cosa. Se non vuoi farlo per te, fallo
almeno per tuo figlio, Agua! Dagli un futuro migliore di quello che può avere
qui.”
– Qui tuo figlio è a casa
sua, non gli mancherà nulla! Mandaci tue notizie quando arrivi – mi disse mia
madre.
E per la prima volta da
quando ho imparato a camminare, a stare in piedi da sola, mi ha abbracciata.
Credo abbia anche pianto, dentro.
Potendo, avrei portato via
solo tre cose: Zè, papà e la Casa di Acqua. Certo, anche mia madre. La sua
severità stava lì a dirmi che la vita
era dura e che bisognava prenderla di petto prima che lei avesse potuto
schiacciarci.
Italia
Una mia bisnonna era
italiana.
Nel secolo scorso, seguendo
l’onda migratoria del tempo, s’imbarcò anche lei – guarda tu, alle volte, il
destino – con l’America in mente; poi, invece, sulla nave conobbe l’uomo della
sua vita e in America non arrivò più
Si fermò a Capo Verde, da dove io adesso
riparto con l’America in testa, ma con l’Italia sul mio contratto di lavoro.
Il più grande dolore per una
donna è essere madre lontano dai propri figli
È un dolore immenso che non trova
mai rassegnazione e, ad ogni attimo che passa, il cuore si squarcia sempre di
più
Sempre di più!
E non c’è più neppure la
Casa di Acqua
– Mi spezzerò, lavorerò
anche ventiquattro ore al giorno se sarà necessario, ma mio figlio, la ragione
della mia vita, deve al più presto venire a stare con me.
La prima barca era riuscita
a superare le scure scogliere del mio cuore, quando, nel ’75, imparai a leggere
e a scrivere. Le mie prime parole furono per mio figlio: “Mi manchi”; le
seconde furono per il mio paese
La rivoluzione del ’74
parlava di fiori, era giunto quindi il tempo di liberarci dalle vecchie radici
dittatoriali e seminare anche noi garofani
lungo le nostre coste: Indipendenti!
Avevo conosciuto Marco nel
’74 ma fu solo quattro anni dopo che decisi di sposarlo: l’esperienza rende più
guardinghi!
L’anno prima del nostro
matrimonio onde gigantesche si abbatterono violentemente sulla mia vita. Il
cancro si era portato via mia madre all’inizio dell’anno. Zè aveva dovuto
subire così un cambio di vita: la seconda delle mie sorelle se lo era preso con
sé. In primavera, una tempesta marina aveva distrutto la Casa di Acqua, che
pure aveva resistito per oltre vent’anni. Rui era tornato! Tornato con dei
sogni da realizzare insieme a me, diceva. Si assunse tutte le sue colpe e le
sue responsabilità, ma
Ancora una volta sbagliò: avrei dovuto lasciare i miei
studi serali e dedicarmi alla famiglia; tutto, naturalmente, senza chiedere la
mia opinione!
Con Marco fu tutto diverso.
I suoi sogni e i suoi progetti erano anche i miei, e qualsiasi cosa pensasse di
fare non lo avrebbe fatto senza prima ascoltare il mio parere, perché, diceva
lui, non c’è in questione solo il mio o il tuo futuro, ma il “nostro” futuro!
Il giorno più bello della
mia vita si avvicinava, pensavo, ma il mio cuore, invece di essere felice,
lacrimava tristi sentimenti: Zè era sempre lontano
La Casa di Acqua, intanto,
era germogliata nel mio cuore e quando io e Marco comprammo casa il suo spirito
prese subito ad abitarvi. Un sorriso e la gioia di vivere ci avrebbe
accompagnato così ad ogni istante della nostra vita.
PRIMA DI ENTRARE
IN QUESTA CASA
PURIFICA L’ANIMO TUO
CON UN BEL SORRISO
C’erano solo i suoi parenti
ed amici al nostro matrimonio. Mi avvicinavo all’altare lentamente, il coro intonava
l’Ave Maria di Schubert, tutti mi accompagnavano con il cuore. Io, sotto il
velo, piangevo. Improvvisamente, quando già ero arrivata all’altare
accompagnata da un cugino di Marco, dal fondo della chiesa una voce accese il
mio cuore:
– Mamma!
Tutti i miei movimenti si
bloccarono. Mi voltai immediatamente. Un ometto stava correndo verso di me
Senza pensarci un’istante gli corsi incontro.
– Zè, Zè! – continuavo a
gridare, e il mio cuore era un fiume in piena.
Finalmente, dopo
un’interminabile corsa, ci abbracciammo con una stretta che sembrò soffocarci,
ma non ci importava: eravamo felici così.
Piangevo e continuavo a
ringraziare Marco che, sulla porta, applaudiva come tutti, commosso, in
compagnia di un elegante uomo di mezza età:
– Papà!
C’era anche il mio adorato
papà! E una piccola costruzione in scala della mia Casa di Acqua. Volevano
farmi morire di felicità!
Alla fine, dopo tanto
piangere insieme, mio padre mi prese per mano e mi accompagnò all’altare.
Quel giorno tante barchette
colorate uscirono dalla vecchia Casa di Acqua, superarono le scogliere rese
rosse dal sole al tramonto e
L’orizzonte era un qualcosa di meraviglioso.