Vicoli

 

Tutte le volte che esco di casa ho sempre con me della spazzatura
di cui disfarmi. Se esco senza, ho la sensazione di non curare abbastanza la
mia tana. Ma prima guardo bene dentro il cassonetto: non sia mai che faccia del
male, inconsape-volmente, a qualche neonato abbandonato lì dentro.

 

Lo vorrei trovare, un neonato, in un bidone.

Forse diventerebbe automaticamente mio? Boh!

Bisogna che mi informi prima che mi accada, così non mi coglie
impreparato. Dovrò anche infor-marmi se lo devo presentare in questura o in
prefettura.

Dovrà però essere un maschietto, perché forse si impressionerà
meno quando gli dirò dove l’ho trovato – aspetterò comunque che sia in grado di
intendere. Una femminuccia avrebbe più bisogno di cure e sarebbe più lagnosa.
Non ne ho voglia.

Lo vestirei come suo padre: jeans, giubbottino di pelle, berretto
e stivali. Cazzo, che figata. Lo porterei anche nei circoli che frequento la
sera. Mi viene in mente che dovrà socializzare con gli altri bambini della sua
età. E io, come capo branco, dovrò insegnargli tutto della vita. Lo porterò il
sabato e la domenica ai parchi e, mentre gioca, lo terrò d’occhio… Ma dovrò
anch’io socializzare, con gli altri genitori: sedermi sulla panchina con loro,
sentirmi chiedere cosa e come mangia, se ha fatto la scarlattina, se ha ancora
le tonsille, ecc. Dovrò parlare con gli altri capi branco, che avranno un
orecchio attaccato a quelle radioline di merda che rintontiscono… forse dovrò
discutere di calcio. Che schifo.

Mi sa che se mi capita di vedere uno di quegli esserini che
sgambettano dentro un bidone mi limiterò a non fargli del male, quando lancerò
il mio sacchetto, e lo lascerò lì. Che lo trovi qualcun altro e… vaffanculo.

Mentre cammino per i vicoli senza una meta, mi fermano come al
solito i carabinieri.

– Ehi, senti: documenti! Cosa ci fai qui?

– Ci abito.

– Che lavoro fai?

Qui mi gonfio e cerco di trafiggerli con il mio sguardo che spesso
è vitreo, a quell’ora. Mostro un atteggiamento di superiorità:

– Il restauratore.

– Come mai a quest’ora?

Cazzi miei – penso. Con un’aria di sfida rispondo:

– Torno sempre a quest’ora.

Li sento chiamare: – Centrale! Alcantara Juvencio con la gei,
16/7/1963, Venezuela.

So già i tempi  e quindi
cerco di pensare ai fatti miei. Sorrido pensando ad una mia collega, che una
volta mi ha detto: “Oh Dio, i carabinieri, abbassa lo sguardo!”

Hanno finito il controllo, mi restituiscono i documenti e mi
dicono: – Grazie e… buon giorno.

Dal tono mi rendo conto che sono le 4:30 del mattino e che tra non
molto dovrò essere al lavoro. Mi converrà non andare a dormire per niente, ma
dove vado?

Mentre mi faccio venire in mente un luogo dove amanecer (aspettare
l’alba), sento dei rumori vicino ai contenitori dei rifiuti. È l’inconfondibile
rumore di banchetto dei miei peggiori nemici: i TOPI!

Sono enormi, entrano ed escono dai tombini e si infilano dentro i
bidoni con matta frenesia.

Ad un tratto succede una cosa incredibile: due ragazzi marocchini
che venivano nel senso opposto al mio discutendo tra loro incrociano un topone
enorme, il più grande che abbia mai visto, e con indifferenza gli mollano un
calcio.

Mi sono visto il topo passare al rallentatore, vicinissimo, sopra
la testa, ho persino sentito la sua schifosa puzza e sono rimasto pietrificato
sul posto per alcuni secondi. I due ragazzi, che ormai mi hanno raggiunto, mi
chiedono scusa e continuano a parlottare, ignari dello shock da me subito. Per
lo spavento la mia vescica comincia a dar segni di incontinenza, così sono
costretto dirigermi verso casa. Allungo il passo. Sono sconvolto.

Stanchissimo, e abbandonata ormai l’idea di stare fuori fino a
mattino pieno, conto i trenta gradini che mancano per arrivare alla mia porta.
Ho tanta voglia di pisciare. So già che non ce la farò a resistere e che non
riuscirò al primo tentativo a beccare la chiave giusta. Ce ne sono sei, nel mio
mazzo… Vedo uscire dell’acqua da sotto la porta d’ingresso della signora che
abita sotto di me, e ciò mi fa venire ancora più voglia di pisciare.

Probabilmente la signora è morta… Sì, anzi, ne sono sicuro: era
molto malpresa. Ecco perché da parecchie settimane non la sentivo più inveire
contro “quello stronzo che mi fa casino a tutte le ore sopra la testa”.

Ce l’ho fatta ad arrivare alla tazza del cesso e mentre mi scarico
sento quel formicolio in tutto il corpo, che si prova quando si è trattenuta a
lungo la voglia.

Quando avrò finito, chiamerò i vigili del fuoco… No, meglio di no.
Sono troppo stanco e vorrei infilarmi subito sotto le coperte. So già che se li
chiamo faranno casino per le scale con i loro scarponi, poi cominceranno a
bussare e, siccome nessuno aprirà, cercheranno di buttare giù la porta. Poi
arriverà l’ambulanza e anche lì altro baccano. Chiamerò più tardi, dal lavoro,
tanto un’ora in più, una in meno, non cambierà nulla.

 

Già mezzo addormentato penso in quale stato di decomposizione sarà
quella povera vecchietta. Faccio dei respiri profondi (ma controllati) per
cercare di percepire qualche odore di morto. Provo ad immaginare in quale
stanza sarà deceduta. In bagno o in cucina si fa presto a lavare le mattonelle,
invece mi dispiacerebbe se fosse successo in soggiorno (per via del parquet).

Bisogna che mi ricordi – una volta rimosso il cadavere – di
informarmi attraverso eventuali parenti della defunta (non vorrei sembrare
indelicato), se hanno intenzione di affittare la casa al mio amico Piero. Così
potrò andare a mangiare da lui ogni volta che vorrò, visto che la casa gliel’ho
trovata io.

 


Scarica il racconto