Storia di Gora, il sarto di NdiobenneTC
"Storia di Gora, il sarto di Ndiobenne"
Thioro era una giovane donna
di grandi dimensioni, di quelle che in Africa vengono desiderate proprio per
l’abbondanza della carne attaccata alle ossa e che in Europa chiamano
“ciccione”. Era di quelle che scherzosamente vengono definite “drianke”;
grande, paffuta e ricca; spesso il tutto veniva condito con una certa
presunzione ed un modo di guardare gli altri dall’alto in basso. Quando Thioro
entrò nella boutique di sartoria del quartiere Ndiobenne, nessuno avrebbe
pensato che si sarebbe diretta verso il banchetto di Gora. Perché Gora era un
giovane sarto che era stato molto alla moda, ma che negli ultimi due mesi non
riceveva più vestiti da confezionare. Gli altri sarti della boutique provavano
un sentimento misto di invidia per la possibilità che aveva Gora di attaccare
discorso con l’ambita femmina e contemporaneamente di stupore per una cliente
che si rivolgeva ad un sarto considerato fuori moda. Oltretutto le drianke
abitualmente non discutono sul prezzo, anzi, spesso pagano un po’ di più del
prezzo richiesto, se il lavoro è di loro gradimento.
Thioro comunque salutò tutti
prima di rivolgere la parola a Gora.
“Ho pensato a lungo a chi
rivolgermi per il vestito per la festa della Sedale Goura di mia nipote,”
disse, “e credo tu sia l’unico che possa fare il lavoro come lo intendo io.”
“Certo,” rispose Gora
incurante degli sguardi dei colleghi, “chi è più vecchio possiede più cenci.”
Ma Gora non si occupò
affatto della confezione del vestito nei giorni che seguirono. La realtà è che
Gora aveva perso i suoi clienti perché invece di pensare al suo lavoro, passava
il tempo a consultare delle antiche carte trovate nella capanna di suo nonno al
villaggio: le guarigioni tradizionali della conoscenza Djibar.
Da tempo Gora non si univa
più alle chiacchiere tra i sarti della boutique, ma restava sempre con il naso
nel suo libro. Il giorno dopo la visita della drianke, tra una chiacchiera
sulle mucche ed una sul matrimonio della figlia di chissà chi, colse, in mezzo
ai saluti rituali di un anziano cliente, che quest’ultimo lamentava un fastidio
agli occhi. Gora alzò lo sguardo dal libro e rispose al saluto dell’anziano.
“Ho sentito che lamentavi un
fastidio agli occhi,” disse, “non ti garantisco niente, però se vuoi posso
provare a fare qualcosa.”
“Le ho provate un po’
tutte,” disse l’anziano, “e non do niente per scontato, apprezzo chiunque
voglia aiutarmi.”
“Dammi una moneta da cento
franchi.” Gora aveva assunto un tono di voce vagamente solenne.
L’anziano cavò dalla tasca
del suo sabador la moneta wekhal (moneta per mettere in chiaro
che si sta entrando in contatto con qualcosa con cui non si ha a che fare nella
vita quotidiana).
Gora si diresse allora verso
la venditrice di arachidi del marciapiede davanti alla boutique per chiederle
una scodella piena d’acqua pulita. Tornato all’interno, mise la moneta nella
scodella e chiese all’anziano di avvicinarsi. Pronunciando alcune parole, Gora
immerse la mano nella scodella rimuovendo l’acqua. La mano poi cominciò a
danzare davanti agli occhi dell’anziano fino a sfiorargli gli occhi e a
toccarlo in vari punti. Quando la mano tornò nella scodella, l’anziano constatò
con stupore che l’acqua si era fatta torbida.
“Qualcosa mi hai tirato
fuori,” disse con riconoscenza il vecchio, “spero di avvertire la guarigione
presto.”
Dopo aver ringraziato a
lungo con voce sommessa, l’anziano uscì dalla boutique.
Quando due giorni dopo,
Thioro tornò alla boutique per ritirare il vestito, tutti i sarti si guardarono
imbarazzati perché sapevano che Gora non aveva fatto nulla per il vestito della
drianke.
“Il vestito è quasi pronto,
sono stato molto occupato in questi giorni: da domani mi occupo solo del tuo
vestito,” la accolse Gora.
È sconsigliabile non
soddisfare le richieste di una drianke.
“È colpa mia,” cominciò a
dire Thioro, “che mi sono rivolta ad un sarto che non ha più clienti. Dovevo
capirlo che se da te non viene più nessuno, un motivo ci sarà.” Il tono di voce
di Thioro si andava scaldando. “È il colmo che uno che non ha lavoro dica di
essere stato molto occupato!”
“Ripassa domani e sarà
pronto,” rispose Gora con molta calma.
Contrariamente a quello che
di solito succede, Thioro non ritirò il suo tessuto ma acconsentì a tornare
l’indomani.
“Ma se domani non sarà
pronto, al posto di quei tuoi denti marci, farò una piazza pulita.”
Quando il sedere ondeggiante
di Thioro scomparve dalla boutique, uno dei sarti si lasciò scappare:
“Gora, stai proprio
diventando un mago, non ti ha neanche insultato.”
“Ti ricordo che da
generazioni la mia famiglia è sempre stata ricercata per guarire ogni sorta di
male fisico o mentale. È quindi da perfetto ignorante, quale sei, prendermi in
giro. E ignoranti come te sono tutti quelli che ormai non credono più a tutto
ciò.” Gora prese velocemente fiato e parve riflettere intensamente per qualche
frazione di secondo: “Comunque,” aggiunse, “ne ho abbastanza di voi, della
drianke, del suo vestito di manioca bollita, della vostra città e me ne torno
al villaggio. Quando madame mi cercherà domani, ditele che se vuole i
miei denti marci, se li venga a prendere al villaggio.”
“Da quando in qua c’è il
latte di gallina per allattare i pulcini?” disse ghignando un altro sarto. Gora
raccolse quattro cose in croce e uscì dalla boutique.
Erano tre giorni che Gora
era arrivato al suo villaggio natale e non aveva smesso di sentirsi male.
Sembrava una di quelle cose che si possono curare in ospedale ma, a parte il
fatto che di ospedali nei dintorni non ce n’erano, nessuna medicina serviva per
guarirlo. Dopo il terzo giorno, mentre i genitori di Gora si stavano risolvendo
ad interrogare i loro talismani, Gora si diresse verso uno degli alberi più
vecchi del villaggio e cominciò ad abbatterlo; ne percuoteva il tronco con una
forza che non poteva essere sua. Tutta la famiglia accorse per assistere,
attonita: abbattere quell’albero significava distruggere uno dei punti più
importanti del villaggio. Ma Gora continuava a dare colpi: anche quando gli
apparve l’immagine di una sua zia, ora lontana dal villaggio, che lo mise in
guardia dall’abbattere l’albero che dava ombra alle chiacchiere nella piazza
del villaggio. Continuò a colpire come un forsennato: schegge di legno
schizzavano impazzite tutt’intorno senza che nessuno osasse avvicinarsi: ma suo
padre aveva già intuito cosa stava succedendo. Verso sera l’albero cominciò a
cedere; si schiantò al suolo con un rumore sordo vicino alla piazza del
villaggio. Gora si accasciò a terra come se gli avessero tagliato improvvisamente
i fili che lo comandavano. Fu fatto sdraiare nella capanna.
Il talismano gri-gri
del padre rivelò il gesto incauto di Gora di guarire gli occhi del vecchietto
in città, senza aver prima saldato il patto con gli spiriti.
Venne uccisa una vacca ed
una parte del sangue fu versata sull’albero abbattuto. Una ciotola di latte
venne sistemata sotto l’albero stesso. Dopo tre notti, il latte servì per
risciacquare la testa di Gora.
“Voglio stringere il patto
con gli spiriti, padre,” dichiarò Gora dopo la sua completa ripresa di
coscienza. “Mi rendo conto di aver commesso un errore da bambino, ma sono
deciso a imparare tutto sulle antiche arti della nostra famiglia.”
“Figlio mio,” rispose il
padre dopo un po’, “tu hai utilizzato le conoscenze del Djibar senza aver prima
stretto il patto con gli spiriti e per questo stavi male. Gli spiriti negativi
ti hanno spinto ad abbattere l’albero della piazza e grazie a questo sei potuto
guarire. Ora puoi stringere il patto solamente con gli spiriti negativi.” Il padre
di Gora fece una pausa durante la quale il figlio non batté ciglio. “Oppure
rinunciare per sempre ai poteri della famiglia.”
Il figlio rimaneva in
silenzio.
“Ti consiglio di lasciare
perdere; la tua boutique di sarto ti aspetta.” Concluse il padre.
“No, padre. Sono venuto qui
per avere quei poteri. Li voglio.”
Seguì un lungo silenzio.
“Non ti posso privare
dell’eredità dei tuoi padri, ma stai molto attento,” il padre sembrava portarsi
sulle spalle una sofferenza di anni, “gli spiriti negativi ti possono dare
grandi poteri, più di quanto tu ti possa immaginare. Ma sono anche molto
feroci. Non ti perdoneranno il minimo sbaglio.”
Il giorno dopo venne
sgozzata una capra, cucinata, la sua carne distribuita tra i bambini del
villaggio i quali si sciacquarono le mani dopo aver mangiato e con quell’acqua
Gora si fece una doccia. L’acqua rimasta venne riposta nel Khambu, il posto che
rinchiude la magia. Tutto questo introduceva Gora al patto con gli spiriti
grazie al quale avrebbe potuto acquisire i poteri che tanto desiderava.
“Sono gli spiriti di questa
terra, quella dei tuoi antenati, che ti hanno comunicato i poteri che adesso
possiedi, ricordati che da questa famiglia tu non dovrai mai uscire.” Concluse
suo padre alla fine della giornata.
***
“Anche questi poteri hanno
un limite, solo Allah può tutto.” Disse il padre constatando che Gora era
deluso oltre misura per non aver potuto salvare la vita ad un giovane
proveniente dalla città, magrissimo, scavato, che si reggeva a mala pena in
piedi.
In verità Gora, nei giorni
successivi al suo patto, aveva alleviato le pene di una notevole quantità di
persone; probabilmente aveva fatto molto di più di quanto non avrebbe fatto un
qualsiasi altro nuovo iniziato. Sarà che Gora era sorretto dalla sua volontà di
fare il bene di tutti il più possibile? Forse. Ad ogni modo l’episodio del
giovane cittadino morto in attesa di un suo miracolo, lo aveva colpito
profondamente. Quella notte, la mente di Gora vagava nel buio della capanna.
“Perché? Perché non posso
salvare una persona che soffre? Perché sono così inutile?”
Gora improvvisamente si
ricordò che alcuni maghi del profondo sud del paese guarivano anche le
deformazioni fisiche e la gente impazzita
“Ho sentito dire che
facevano il loro patto recitando i versetti del Corano al contrario, pregando
nella direzione opposta alla Mecca, su di una pelle di cane
”
Gora tentò di scacciare quel
pensiero dalla sua mente; sapeva bene che ciò sarebbe stato contrario ai
principi della sua famiglia e del Corano. La notte avanzò ancora di varie ore.
Il pensiero era sempre lì. Finché si rese conto, lucidamente, che non l’avrebbe
potuto scacciare. Sentiva che doveva compiere quel rito. Ci mise un po’ ad
organizzarsi per trovare il povero cane da scuoiare e per cercarsi un angolo
nascosto del villaggio. Guai se qualcuno, o peggio ancora suo padre, lo avesse
scoperto.
Il tempo che scorre tra un
villaggio e l’altro è molto relativo, per cui non si può stabilire con
esattezza quanto tempo passò, ma un giorno Gora si trovò seduto con alcuni amici
sul grande tronco di guava dalle parti del pozzo, ed intercettò i discorsi di
alcuni di loro.
“Pare che la povera Nabou
stia morendo.”
“I pianti del villaggio di
Beude si sentono fino a qui.”
“Vado a guarirla.” Sentenziò
Gora.
Una serie di risatine mal
celate accompagnarono questo proposito.
“Adesso i sarti sono anche
capaci di resuscitare i morti.”
“Perché ha fatto passare il
mal di denti ad un paio di vecchietti, pensa di poter strappare alla morte chi
è già tra le sue braccia.”
“Senti, Gora. Io ho bisogno
di un boubou per il matrimonio di mia sorella, perché non me lo cuci
tu?”
“Io vado a guarirla. Chi
vuole accompagnarmi, può venire con me.” Ribadì Gora con un tono che sembrava
ignorare i commenti precedenti.
Non si sa se per curiosità o
se per farsi gioco di lui, fatto sta che tutti gli amici del tronco di guava,
lo seguirono fino alla capanna di Nabou.
Non volevano fare passare
Gora quando, all’ingresso della capanna di Nabou, dichiarò di poter guarire la
povera donna. C’era già qualche persona che piangeva e altri che si erano
chiusi nel più assoluto silenzio. Alla fine gli amici dovettero restare fuori,
ma Gora venne introdotto nella stanza della morente. Le mani callose della
vecchia madre abbandonarono quelle di Nabou quando Gora si avvicinò al letto
con la sua dose di polvere di radici. Con una cautela infinita Gora avvicinò al
naso di Nabou la polvere. In mezzo allo scetticismo generale, Nabou starnutì.
Durante i mormorii dei presenti, Gora preparò un bicchiere d’acqua con la
polvere sciolta dentro; la diede da bere a Nabou e se ne andò dichiarando che
tempo due giorni la donna sarebbe guarita. Gli amici del tronco di guava non
osarono prenderlo in giro quando uscì dalla capanna anche se non si erano
ancora resi conto di quello che Gora sarebbe diventato da lì a poco.
Quando si sparse la notizia
che la donna era effettivamente guarita, la gente non sapeva se attribuirgli
delle capacità divinatorie o guaritrici. Per evitare loro l’imbarazzo della
scelta, Gora cominciò anche a fare delle predizioni. Ben presto la fama di
guaritore e indovino di Gora raggiunse i villaggi più lontani nella savana;
arrivò anche in quei villaggi che sono a giorni e giorni di cammino dalla più
vicina strada carrozzabile. C’era chi veniva per farsi curare le fratture ossee
“a distanza”, cioè con il metodo del legnetto che rappresenta l’osso rotto e
viene prima spezzato, in presenza dell’infermo, poi ricucito quando questi è
rientrato nel suo villaggio. Contemporaneamente l’osso rotto guarisce a
chilometri di distanza. C’era chi veniva per sapere se avrebbe potuto vendere
il suo raccolto di arachidi la stagione entrante. Infine chi si preoccupava
della fedeltà del propio marito o della propria moglie.
***
“Gora! Sei tornato in
città?”
Gora si voltò riconoscendo
la voce di Dame, il suo ex vicino di tavolino della boutique di sartoria.
“Vengo a fare qualche spesa
ogni tanto.” Rispose Gora con cortesia visto che Dame non lo aveva mai preso in
giro all’epoca delle visite della drianke. “Approfitto per riposarmi anche un
po’.” Concluse tirando un sospiro.
“Vedo,” continuò Dame, “non
hai un aspetto esattamente riposato.” Dopo un silenzio Dame riprese a parlare:
“Ho sentito dei tuoi successi; hai veramente scelto la tua strada, ma
stai
molto attento perché se ti distrai un attimo, tutto il male che hai scacciato
ti torna addosso.”
“Vedrò di stare molto
attento.” Rispose Gora con un lieve sorriso.
“Comunque sei arrivato a
fare delle cose che nemmeno i più esperti guaritori arrivano a fare dopo anni
di pratica.” Dame squadrava il suo ex vicino con occhi a fessura: “Non è che ti
sei infilato in qualche patto strano?”
Gora ebbe una sensazione di
freddo sul collo che durò qualche istante: “Credo che sia un dono di natura,”
concluse alla fine.
Allontanandosi dopo aver
salutato il suo amico, Gora avvertì nettamente una sensazione di inquietudine
che non volle spiegarsi.
Il signor Demba, di recente
tornato dall’Italia aveva riferito tutti i suoi dati a Gora e attendeva
pazientemente davanti alla poltrona che Gora cominciasse a parlare. Erano stati
i genitori del signor Demba a informarlo della fama che Gora aveva raggiunto
durante gli anni trascorsi da loro figlio in Europa; egli aveva confidato ai
suoi alcune perplessità riguardo alla propria situazione lavorativa al suo
rientro: senza esitazione i genitori gli avevano indicato il villaggio di Gora.
“La tua situazione
migliorerà. C’è una donna che ti sta vicino e sembra ti voglia bene: potrebbe
aprire le tue porte. Lasciagliele aprire, ti porterà del bene.”
“Mi sento sicuro perché
questa donna esiste davvero ed io ho proprio l’intenzione di aprirle le mie
porte. Questo mi lascia credere che la mia situazione lavorativa migliorerà sul
serio. Chi ha parlato bene di te non esagerava.” Dichiarò soddisfatto il signor
Demba: “Quanto ti devo?”
“Niente,” rispose Gora che
non aveva perso il vizio di lavorare per il puro piacere, “ma vorrei
chiacchierare un po’ sull’Europa. Come si vive là?”
Chiacchierarono a lungo e
vennero fuori le metropolitane, la gente che si fa i fatti suoi, il freddo
tremendo, il riscaldamento con i termosifoni al posto della legna, gli
immigrati clandestini che vengono rispediti in Senegal, la polizia che ti
minaccia solo perché vendi quattro scemenze, permessi di soggiorno che non
arrivano, vicini che si lamentano perché non vogliono che si viva in sette in
un bilocale
Due giorni dopo, uscendo di
casa, Gora notò una testa di gallina buttata davanti alla sua porta. Si chinò
per raccoglierla con un sorriso amaro: “Qualcuno vuole farmi del male.” Pensò.
“Povero scemo, non sa che questi piccoli sortilegi non mi possono nemmeno
sfiorare.”
Una sensazione simile a
quella provata all’incontro con il sarto in città lo invase. La tristezza che
ci fosse gente invidiosa di quello che lui faceva per gli altri? Provava a
farsene una ragione dicendosi che sicuramente erano stati i guaritori
imbroglioni a cui aveva fatto perdere un bel po’ di clienti e che cercavano di
tutelarsi. Ma la sensazione non se ne andava. Durante la notte ripensò alla
chiacchierata con il signor Demba e alle sue descrizioni dell’Italia.
“Lì sì che la gente ha
veramente bisogno di me. Lì non ci sarà posto per le invidie, siamo tutti lì
per combattere una battaglia troppo importante.”
Anche se la notte era ancora
lunga, Gora aveva già capito che sarebbe partito per il continente al di là del
deserto e al di là del mare.
A dire la verità, Gora era
un po’ preoccupato della reazione di suo padre: in particolare temeva il
richiamo wodje che, se effettuato a regola d’arte, obbliga una persona a
tornare al villaggio ovunque essa si trovi. Fortunatamente il padre di Gora si
limitò a rivolgergli un monito: “Stai molto attento ai tubab, perché
sono sporchi e sarà alquanto difficile che capiscano il tuo animo.”
Gora fece sentire a suo
padre tutta la sua riconoscenza per questo “consenso”. Sapeva benissimo che non
era affatto scontato tra i genitori del villaggio, anzi, sarebbe stato molto
più verosimile imbattersi in un rifiuto.
Gora ottenne in poche ore
tutti i documenti necessari all’espatrio, in uffici dove chiunque altro ci avrebbe
messo non meno di tre mesi e avrebbe pagato più di una bustarella. Gora non
spese niente, se non il suo biglietto aereo e un po’ di commozione al salutare
la sua famiglia.
***
Arrivato all’aeroporto della
Malpensa, Gora chiamò un suo cugino che abitava a Varese da vari anni e che da
un anno ormai non faceva più avere le sue notizie con regolarità al villaggio.
“Alu?”
“Pronto, chi è?” Rispose una
voce femminile dall’altra parte del filo.
“Sougou Fara.” Si limitò a
replicare Gora che non aveva capito la risposta e che quindi pronunciò
unicamente il nome della persona che cercava.
“Sougou, è per te, credo.”
Disse la voce femminile allontanandosi.
Quando Sougou arrivò al
telefono, Gora cominciò la serie di saluti tradizionali che tennero le orecchie
del suo interlocutore alla cornetta più di quanto egli ormai sopportasse.
“Ho capito, ho capito che
sei Gora. Che cosa vuoi? Dove sei, poi?” Tagliò Sougou ad un certo punto.
“Sono all’aeroporto della
Malpensa,” rispose Gora, “vienimi a prendere.”
“Venirti a prendere?! Ma
perché non mi hai avvisato che saresti venuto?”
“Che c’entra avvisare? Sono
venuto, non basta?”
Dopo un rapido scambio di
battute, che Gora non capì, tra la voce femminile e la voce di Sougou, Sougou
dichiarò stancamente che di lì a poco sarebbe arrivato all’aeroporto.
Il bacio sulla guancia di
quella donna bianca che si rivelò essere la moglie del cugino, il minuscolo
monolocale dove venne fatto accomodare, lo sguardo di rimprovero che ricevette
Gora quando si tolse le scarpe e la scatoletta di tonno aperta in fretta da
Sougou a titolo di cena, finirono per creare una sensazione di profondo disagio
a Gora. Dopo la “cena”, Sougou chiamò suo cugino in disparte per annunciargli
che non avrebbe potuto ospitarlo per dormire.
“Ma ti accompagno volentieri
in una casa dove vivono vari senegalesi e che saranno lieti di accoglierti,” si
affrettò a concludere Sougou davanti agli occhi sbalorditi di Gora.
“Ma posso dormire per terra,
qui nel salottino
” balbettò Gora.
“No, fratello, sono sposato
con questa donna e lei non
gradisce estranei per la casa.”
“Estranei?” Gora
respirò profondamente. “Accompagnami in questo posto. Non capisco perché tu
stia con una donna che non ti ami.” Concluse alzandosi e dirigendosi verso
l’uscita.
Erano in sedici a spartirsi
tre stanze; ognuna delle quali conteneva tre letti che servivano all’occasione
anche da tavolo di lavoro. Gora ebbe l’impressione di trovarsi nel mezzo di una
festa tradizionale. A parte piccole tensioni dovute alle code per il bagno alla
mattina e alle divergenze di orari di sonno, Gora sentì di trovarsi bene. Gli
capitò, nei momenti in cui si mangiava tutti insieme dal grande piatto di riso,
di ringraziare mentalmente suo cugino per non averlo trattenuto in casa sua
dove invece si aprivano scatolette per cena.
Dopo tre giorni i compagni
di casa di Gora gli chiesero che intenzioni avesse.
“Certo che ho intenzione di
lavorare,” rispose Gora che veniva dal villaggio e sapeva bene che l’ospite
dopo tre giorni deve prendere la zappa in mano.
“Vuoi una mano per trovare
la merce?” chiese uno che si chiamava Badou.
“Merce? No, io sono venuto
per aiutarvi, non intendo vendere,” disse Gora.
“In che senso aiutarci?”
chiese un altro interpretando la curiosità di tutti.
“Aiutarvi a risolvere i
vostri problemi, quando ne avrete,” spiegò Gora.
“Ascolta,” disse uno che si
chiamava Modou, “non credere che la vita qui sia quella che ti fa vedere chi
rientra in Senegal. Qui, se vuoi campare, devi lavorare molto per guadagnare
poco.”
“No. Quando avrete un
problema, venite da me. Non mi tirerò indietro.” Concluse Gora con un tono
molto calmo, ma che indicava la fine della conversazione.
Per alcuni giorni Gora venne
guardato con diffidenza dai suoi compagni di casa. C’era chi diceva che era uno
che si atteggiava a mago per imbrogliarli e altri che dicevano che era
semplicemente un fannullone.
Finché un giorno chiamò il
commissariato di Sant’Ambrogio di Milano dicendo che Modou era in stato di
arresto per aver litigato con un poliziotto. Il commissario chiedeva di portare
il passaporto di Modou per rimpatriarlo. La preoccupazione era grande quando la
cornetta del telefono venne riappesa.
“Stavolta Modou l’ha fatta
grossa, non possiamo far niente per lui. E se non presentassimo il passaporto?”
“Inutile, lui è nelle loro
mani. Fatemi vedere quel passaporto.” Gora interruppe le lamentele.
Dopo alcune esitazioni, gli
portarono il passaporto e Gora vi pronunciò sopra alcune parole che gli altri
non capirono.
“Andiamo a questo
commissariato. Questo passaporto tornerà indietro con il suo proprietario.
Disse infine Gora.”
Un misto di felicità e
stupore accompagnava gli abitanti della casa al ritorno dal commissariato:
Modou era stato graziato! “Per questa volta puoi andare,” aveva detto il
commissario, restituendo il passaporto. Da quel giorno Gora fu guardato con ben
altro occhio dai suoi compagni.
***
Passò circa un mese durante
il quale Gora ebbe occasione di guarire alcuni amici della casa e altri che
venivano da fuori avendo saputo delle sue capacità, quando un pomeriggio si
trovò a passare davanti alla stazione centrale di Milano. Notò il classico
gruppo di imbroglioni che fanno indovinare le carte ai passanti. Uno sta dietro
un tavolino e vi stende tre carte, mentre altri due indovinano la posizione
dell’asso di cuori: naturalmente quando puntano i “complici”, l’asso salta
sempre fuori e il banditore paga profumatamente. La mano veloce del banditore
nasconde l’asso vincente quando a puntare è un passante ingenuo. Gora si
avvicinò incuriosito dal vociare della gente: un signore dall’aria leggermente
dimessa aveva perso più di seicentomila lire tentando di indovinare la carta.
Al momento di puntare ancora, il signore dimesso venne affiancato da Gora.
“Non indicare la carta.” Lo
fermò in tempo. “La carta che cerchi si trova sotto il pacchetto qui a fianco,
non è nessuna delle tre carte stese.”
Quello che aveva detto Gora
fu verificato immediatamente grazie alla folla che cominciava a rumoreggiare
attorno. L’imbroglione dovette restituire fino all’ultimo soldo. Dopo i mille e
più ringraziamenti del signore che aveva recuperato i suoi soldi, Gora si
incamminò e venne affiancato da un ragazzino sui dodici anni che camminava con
le stampelle per via di una gamba ingessata.
“Potresti insegnare anche a
me come si indovinano le carte?” lo abbordò il ragazzino senza tanti
complimenti.
“Io non so indovinare. Ho
solo scoperto che lui nascondeva la carta.”
“Tutto qui?” insisté il
ragazzino sospettoso.
“Tutto qui,” ribadì Gora.
“Va bene, ma come hai fatto
a scoprire che la carta era sotto il mazzetto? Se me lo dici, mi insegni a
indovinare anche a me.”
“Tu sei un bambino, non devi
giocare. Ti conviene pensare alla scuola.”
“Ma se tu non sei andato a
scuola, perché dici a me di andarci?”
“Chi ti dice che non sono
andato a scuola?”
“Nella mia scuola non c’è
nessuno nero come te. Però ne vedo molti in giro per le strade, quindi vuole
dire che non vanno a scuola.”
“È presto,” concluse Gora.
Camminarono un po’ in
silenzio e Gora si accorse che aveva rallentato il passo per permettere al
ragazzino con le stampelle di stargli dietro.
“Cosa ti è successo?” disse
dopo un po’ indicando la gamba ingessata del ragazzino.
“Mi sono rotto la gamba a
Courmayeur, mentre sciavo. Tu sei capace di sciare?”
“È presto. Per quanto tempo
devi stare con il gesso?”
“Ancora due mesi,” disse il
ragazzino, “è una brutta frattura.”
Gora sorrise: “Per voi
europei invece è un po’ presto per altre cose.”
I due si studiarono per
qualche istante poi Gora riprese: “Ti vorrei aiutare ma non so come
spiegartelo. Forse è meglio che non ti dica niente; nei prossimi giorni
sentirai qualcosa.”
“Qualcosa come cosa?”
“Torna a passeggiare da
queste parti quando esci di scuola. Adesso cerchiamo un bastoncino.”
“Un bastoncino?” Il
ragazzino zampettava dietro a Gora che si dirigeva verso un albero del viale.
Gora raccolse un pezzo di ramo caduto che aveva la lunghezza grossomodo della
gamba del suo giovane amico, poi si rivolse nuovamente a lui per farsi
descrivere il più esattamente possibile i dettagli su come e dove si era rotta
la gamba. Prese quindi il rametto in mano e lo spezzò in corrispondenza della
frattura del giovane. Infine mise il rametto a contatto con la gamba ingessata
e vi pronunciò sopra alcune parole a bassa voce sputando delicatamente di tanto
in tanto sui due “arti”.
Una settimana dopo, Gora
tornò nei pressi della stazione. Non sapeva nemmeno lui che cosa sperare: da
una parte temeva di aver spaventato il ragazzino con faccende che non poteva
capire, dall’altra non voleva avere a che fare troppo intimamente con qualcuno
che non credesse fino in fondo alle sue capacità. Comunque quando vide
avvicinarsi la sagoma del ragazzino con le stampelle, nel suo intimo si
rallegrò.
“Sei tornato, allora?”
chiese Gora.
“Ho sentito molto male due
giorni fa,” disse il ragazzino con un tono un po’ risentito, “e quattro giorni
fa sentivo come degli spilli dentro la ferita.”
“Era quando stavo lavorando
sul tuo rametto.” Ci fu un attimo di silenzio.
“I miei genitori erano
preoccupatissimi, a sentirmi gridare così. Volevano chiamare l’ospedale.”
“E l’hanno fatto?” si
preoccupò Gora.
“No, ho raccontato di averti
conosciuto e che sicuramente eri tu che stavi facendo qualcosa.” Questa volta
fu il ragazzino a fare una pausa. Aspettava la domanda di Gora.
“E allora?” chiese alla fine
Gora.
“Hanno detto che ti vogliono
conoscere,” concluse il ragazzino: “Perché non vieni a casa mia adesso?”
“Fra tre giorni, vostro
figlio potrà togliere il gesso,” disse Gora mentre sorseggiava il caffè nel
salotto dei signori Brancaleoni. Si stupì di non incontrare reazioni di
scetticismo o diffidenza. Anzi dopo aver chiacchierato un po’, il signor
Brancaleoni chiese a Gora se poteva dare una mano a sua figlia che stava
preparando l’esame di maturità e si trovava in difficoltà con lo studio di
alcune materie.
“È un po’ messa male e
abbiamo paura che perda l’anno,” disse il padre.
“Spingere una piroga
attraverso la melma non è poi così faticoso come sembra,” disse Gora sorridendo
felice di aver trovato finalmente la fiducia che cercava da quando aveva
lasciato il villaggio, “vedrete che ce la farà. Quando tornerò per togliere il
gesso al ragazzino, farò volentieri qualcosa per lei. Cercate di procurarvi
dell’acqua di mare per allora.”
Quando tre giorni dopo, Gora
tornò in casa Brancaleoni per togliere il gesso al piccolo Pietro, i genitori
si erano procurati l’acqua di mare richiesta. Nonostante la fiducia dimostrata,
quando si spaccò il gesso e uscì fuori la gamba perfettamente guarita, ci fu
una reazione di meraviglia da parte dei genitori. Gora chiese quindi una
bottiglia di vetro e vi mise dentro arrotolato un foglio di carta fittamente
scritto in arabo. Poi vi versò l’acqua di mare. Due giorni dopo, diede l’acqua
da bere alla giovane Caterina.
Da quel giorno, Gora prese a
frequentare con assiduità casa Brancaleoni. Caterina si mise a studiare con
convinzione e i risultati non si fecero attendere. La soddisfazione del padre
era pari solo a quella di Gora che si sentiva veramente utile e apprezzato. Un
giorno il signor Brancaleoni si confidò con Gora.
“Io voglio il bene dei miei
figli e tu sei molto caro ad aiutarli in tutto. Mi sento un po’ in imbarazzo a
parlarti di me
”
“Se vuoi il bene dei tuoi
figli, devi stare bene anche tu,” disse Gora.
Rassicurato, Brancaleoni
spiegò che lavorava per una piccola emittente televisiva e che il suo capo lo
trattava malissimo, negandogli qualsiasi incarico di fiducia. La cosa che lo
frustrava di più era che non vedeva nessuna prospettiva in quello che faceva.
“Ghe pensi mi!” Gora si
sorprese ad esprimersi in dialetto lombardo.
Comunque qualche giorno
dopo, il capo di Branca-leoni prese a trattarlo con maggiore rispetto e ad
affidargli settori di più grande responsabilità. Due mesi dopo venne la
promozione nello staff dirigenziale dell’emittente.
“Se sono diventato dirigente
di Telextraurbana è sicuramente merito tuo, Gora,” disse un giorno Brancaleoni,
“purtroppo è un’emittente che non ha granché come audience. Ormai io mi sono
preso a cuore la faccenda, tu non è che potresti
”
“Sicuro. Dammi qualche
giorno di tempo, vedrai che le cose andranno meglio,” lo interruppe Gora
entusiasta, “devi solo darmi un lasciapassare per i vostri studi per poter
andare e venire quando lo riterrò opportuno.”
Caterina aveva appena
passato con successo l’esame di maturità e raccontava tutta felice a Gora i suoi
progetti futuri:
“Sai, mi piacerebbe studiare
da giornalista l’anno prossimo, per lavorare in televisione poi.”
“Ti piacerebbe lavorare con
tuo padre?” chiese bonario Gora.
“Non lo so,” Caterina lanciò
uno sguardo tenero verso Gora, “forse no. Mi piacerebbe avere un lavoro mio,
indipendente da mio padre. Non è che non gli voglia bene ma vorrei essere
indipendente a tutti gli effetti, mi capisci?”
“Non fino in fondo. Ma
l’importante è che tu sappia bene quello che vuoi.”
“Tu sei molto caro ad
aiutare papà in questo modo. Adesso è il presidente di Telextraurbana e con
l’audience ormai sono ai livelli della Rai.”
“Non è tutto merito mio; è
tuo padre che lavora sodo.”
“Forse. Ma c’è qualcosa in
te che ispira assoluta fiducia
io
” Caterina non riuscì a finire la frase
perché gli occhi di Gora la stavano fissando intensamente: “Perché mi guardi in
quel modo? Chiese timidamente.”
“Mi ricordi Étoile Filante,
una ragazza del mio villaggio,” rispose semplicemente Gora.
“E cosa vuole dire Étoile
Filante?”
“È una stella, una stella
con lo strascico.”
Evidentemente colpita dal
paragone, Caterina ci mise un po’ a replicare: “Ti posso invitare a cena fuori
stasera?” si sbilanciò.
“Non c’è da mangiare in
casa?” chiese stupito Gora.
“Sssì
che c’è da mangiare
ma
”
“Ma?” Gora era sinceramente
stupito.
“È per
stare un po’ sola
con te,” Caterina sentì una vampata alle gote.
“È buffo quando cambi
colore; ti sta bene,” cambiò discorso Gora.
“Allora vieni o no?”
Caterina improvvisamente si sentì più sicura.
“Non credo,” disse Gora, “è
da tanto tempo che non vedo i miei amici di Varese e sarà opportuno andarli a
trovare.”
Caterina si irrigidì prima
di dire: “Ciao, io esco a trovare una mia amica.” E uscì.
Nei mesi che seguirono i
proprietari di varie piccole emittenti televisive regionali furono costretti a
vendere. Chi per fallimento imminente, chi per morte misteriosa del titolare,
chi per improvvisa decisione di ritirarsi a vita privata. Brancaleoni, con
grande spirito di iniziativa, riuscì ad acquisire tre emittenti locali ed in
breve tempo le fece diventare delle reti televisive nazionali con ripetitori in
tutta la penisola. I contratti pubblicitari fioccarono e Brancaleoni recuperò
in meno di un anno l’investimento fatto per l’acquisizione di quelle che a suo
tempo erano piccole televisioni regionali.
Quando Caterina,
visibilmente spaventata, confidò a Gora di essere preoccupata del fatto che suo
padre avesse deciso di acquistare il pacchetto di maggioranza del gruppo che
controllava le emittenti televisive legate a Telextraurbana, Gora rispose
entusiasta che Brancaleoni sarebbe arrivato molto in alto e che lei ne sarebbe
stata fiera.
***
Per chiamare in Senegal,
Gora era andato a casa dei suoi amici di Varese. Chiamò al negozio di vestiti
della cittadina di Kouré-Mbaka una prima volta perché informassero sua madre
che avrebbe chiamato il giorno dopo alle quattro del pomeriggio. In effetti il
giorno dopo sua madre era lì per ricevere la chiamata.
“Come ti sei permesso di non
farti sentire per tutto questo tempo?! Lo sai che non sei una persona come le
altre! Qui al villaggio siamo tutti preoccupati. Tuo padre è abbastanza
arrabbiato; ci è mancato poco che ti usasse un richiamo wodje per farti
tornare qui.” La madre lo investì di parole prima che Gora avesse tempo di
chiederle alcunché.
“No, non fatemi tornare, vi
prego, sto facendo qualcosa di molto importante qui. Quando torno vi racconto
tutto. Non potete immaginarvi quanto i tubab mi apprezzino. Molto di più
di quanto ero stimato al villaggio,” replicò Gora appena gli fu data la
possibilità di aprire bocca.
“Stai attento ai tubab,
figlio mio. Non ti precludo niente con loro, non sono necessariamente cattivi,
lo so, ma ricordati sempre che hanno un problema: sono dei tubab.”
“Guarda madre, che i tubab
non sono come credete lì. Ho avuto occasione di conoscerli e ti assicuro
”
“Ho capito,” lo interruppe
la madre, “vuoi sposarti con una donna tubab. Non me lo dire e non ci
pensare nemmeno. È pericoloso per la famiglia e non voglio che noi diamo una
visione negativa del nostro clan alle altre persone del villaggio.”
“Ma ”
“I tubab non hanno né
diom, né ngor: il coraggio di fare le cose e di condividerle.
Sono pigri.”
“Guarda che non è vero.
Questo è esattamente quello che dicono i tubab di noi ma non è vero, io
”
“Non discutere con tua
madre. Tu non sposi una donna tubab e basta.”
“Ho capito,” disse con una
punta di rammarico Gora, “ma io non ho intenzione di sposare una donna tubab,
voglio solo
frequentarla. Mi piace stare con lei.”
“Nemmeno questo,” replicò
severissima la madre: “Ricordati che hai fatto un patto con gli spiriti che non
ti consente di uscire dal clan. Anche il tuo seme non può uscirne. Non lo
mettere su di una donna tubab.
La conversazione scivolò su
discorsi come lo stato di salute dei fratelli, degli zii, eccetera. Al chiudere
della telefonata, la madre era convinta che Gora avrebbe rispettato le sue
consegne.
“Avrei deciso di accettare
l’invito a cena che mi hai fatto un anno fa,” disse Gora con un fare timido che
sorprese anche se stesso.
“Come mai?” chiese Caterina
in bilico tra lo stupore e l’eccitazione.
“Be’, anch’io ho voglia di
stare da solo con te
e non importa se c’è da mangiare anche a casa.”
Seduti al tavolo del
ristorante messicano di un viale periferico, Caterina prendendo le mani di lui,
sussurrava parole dolci delle quali Gora non sembrava cogliere fino in fondo il
significato, ma sapeva di avere un grande desiderio di lei. Gli piaceva la sua
semplicità che gli ricordava alcune donne del suo villaggio e lo attirava il
mistero che si nascondeva dietro le sue parole. Quando Gora accettò di bere un
bicchiere di vino, probabilmente Caterina non si rese conto dell’incredibile
trasgressione che significava per lui. In breve Gora fu ubriaco.
“Sei affascinante. Tu arrivi
dove nessuno arriva,” disse Caterina, ormai persa negli occhi di Gora, “hai il
cuore grande come tutta l’Africa. Solo non capisco perché continui ad aiutare
mio padre. Ci sono tante altre persone che hanno bisogno
” concluse Caterina
alludendo a sé stessa.
“La gente qui non si rende
conto di quante possibilità abbiamo noi africani. Tuo padre deve arrivare molto
in alto perché è l’unico che si è reso conto di quello che possiamo fare. È per
questo che lo aiuto soprattutto adesso che ha deciso di entrare in politica
”
biascicò Gora senza poter finire la frase.
“Ma non capisci che mio
padre ti sta sfruttando? Cosa vuoi che gliene importi dell’Africa? È diventato
un assetato di soldi e di potere! Non vedi che lui non capisce più niente da
quando sa che tramite te può arrivare ovunque?! E se anche diventasse primo
ministro stai pure tranquillo che non aiuterà né l’Africa né nessuno dei tuoi
compagni!”
Caterina cominciava a
scaldarsi e Gora si propose di accompagnarla a casa.
Non capì esattamente cosa
scattò, fatto sta che invece di salutarla sul portone di casa, Gora si ritrovò
nella stanza di Caterina. Stesi sul letto, erano circa le tre di notte quando
Gora aprì delicatamente le gambe di Caterina. Ma nell’attimo stesso in cui le
stava per fare sentire la propria virilità, Caterina si sentì come tagliata da
una lama di coltello dal basso in alto e lanciò un grido tremendo di dolore.
Gora si ritrasse spaventato e dopo qualche istante il signor Brancaleoni
accorrse nella stanza della figlia che aveva sentito urlare.
***
L’accusa fu quella di
violenza carnale e violazione di domicilio. Aggiungiamo che il visto turistico
di Gora era abbondantemente scaduto e che quindi si trovava in situazione di
clandestinità: non c’è nulla da stupirsi se Gora si ritrovò in prigione senza
aver avuto la minima possibilità di difendersi.
“Sono sette giorni che sei
qui e non hai ancora aperto bocca, figliolo,” lo apostrofò un vecchio africano
che si trovava in cella con lui, “da dove vieni?”
“N’Diaye-Boumy, Senegal.”
Gora rispose solo per un senso di rispetto verso chi era più anziano di lui.
“E perché non vuoi parlare?”
continuò il vecchio: “Cosa ti è successo?”
“Sono un farabutto.” Gora si
rinchiuse nel suo silenzio.
“Io vengo dalla Guinea. Mi
hanno portato qui perché ho aiutato degli immigrati a venire in Italia.” Il
vecchio sorrideva incutendo un senso di pace e serenità e Gora prese a
guardarlo con meno diffidenza.
“Tu hai fatto qualcosa di
sporco,” disse infine il vecchio scrutando Gora nel profondo degli occhi.
Gora si sentì letto come un
libro aperto e si decise a raccontare tutto al guineano. Dal patto con gli
spiriti, alla pelle di cane, alle invidie del villaggio, all’incontro con
Brancaleoni e sua figlia, fino all’ultima sfortunata notte quando la persona
che credeva di aver aiutato lo aveva rinnegato in tutto e per tutto.
“A proposito, hai saputo che
Brancaleoni è primo ministro da ieri?” sogghignò il vecchio. “Ma tu non devi
stare qui dentro. Vedi, anch’io ho fatto il patto con gli spiriti,” aggiunse,
“con quelli positivi,” concluse.
“Certo che non voglio stare
qui dentro, ma ho perso gran parte dei miei poteri perché ho rotto il patto
quando sono stato con quella ragazza,” disse Gora dopo un primo momento di
stupore.
“Lo so. Io però posso farti
uscire.” Il vecchio continuava a sorridere trasmettendo una fiducia solare.
“E come?”
Il vecchio si fece portare
una penna e della carta. Scrisse in arabo due fogli separati: uno lo mise sotto
il cuscino di Gora e immerse l’altro in una bacinella d’acqua. Dopo due giorni,
quando le scritte erano completamente scomparse, prima di versare il liquido
davanti alla porta della cella, chiese a Gora: “Sei pronto a rinunciare per
sempre ai tuoi poteri?”
“Sì.” Nel tono di Gora non
c’era alcuna esitazione.
Il giorno dopo, quando
arrivò l’ordine di scarcerazione per Gora, questi si voltò verso il vecchio
prima di uscire dalla cella: “Ma tu perché non esci?”
“Il mio compito non è ancora
finito,” sorrise una volta di più il guineano; “non sei l’unico ad avere questi
problemi.” Il vecchio accompagnò con lo sguardo Gora che si allontanava nel
corridoio accompagnato dai secondini.
Approfittando del fatto che
Brancaleoni era ormai costantemente impegnato, Gora riuscì a rivedere Caterina:
una citofonata, un treno e la stanza di Gora a Varese.
“Non credevo di rivederti
più,” disse Caterina dopo un lungo vuoto di parole scandito dalla musica
senegalese di sottofondo che proveniva dalla stanza vicina dove i compagni di
Gora stavano riposando dalle fatiche della giornata.
“Sono contenta di vedere che
stai bene. Ti chiedo scusa, quel grido non era da me. Non so da dove sia
uscito,” aggiunse Caterina.
“E la denuncia?” chiese Gora
stringendo la mandibola.
“Mi avevi spaventata. Quando
mio padre mi ha chiesto di firmarla, non sono riuscita a dire di no,” ammise
Caterina abbassando lo sguardo.
“Non ti devi vergognare, è
stata colpa mia.” Gora la guardava dolcemente come un bambino che si vuole
proteggere. “C’era qualcosa in me di troppo brutto
che non devi chiedermi di
spiegare. Non potrei. Adesso è finito, però.” Ci fu un silenzio. “Per sempre.”
Terminò Gora.
Qualche timido abbraccio
qualche lacrimuccia, qualche carezza, le parole dolci di Caterina e le mani
audaci di Gora: questa volta quando si congiunsero, non accadde nulla che non
fosse meraviglioso.
La mattina dopo quando Gora si
svegliò trovandosi accanto Caterina ancora addormentata, sentì qualche cosa di
nuovo dentro il petto. Una sensazione che non ricordava di aver provato mai. Si
continuarono a vedere per un po’ finché una sera Gora non sentì che doveva
parlarle.
“Mi sono reso conto che mi
trovo molto bene con te, Caterina,” cominciò mentre si trovavano sotto il
portone di casa di lei.
“Anch’io sto bene con te,
Gora,” replicò Caterina con un sorriso ingenuo.
“Ecco, io so che tu mi
chiederai che intenzioni ho
” continuò Gora, sempre meno sicuro di sé. “Io
avevo pensato di portarti in Senegal
ecco, ci sono chiaramente dei problemi
dovremmo parlarne insieme
sai
la mia famiglia
”
“Guarda che io non ho
nessuna intenzione di venire con te,” lo interruppe Caterina. “Io sto bene
quando ci vediamo, ma la mia vita è un’altra. Se dovrai tornare un giorno al
tuo villaggio, io resterò qui e serberò sempre un bel ricordo di te.”
***
Sull’aereo che lo riportava
in Senegal, Gora sfogliava svogliatamente il giornale distribuito ai
passeggeri; non poté però non notare la notizia in prima pagina che diceva:
“Caduto il governo Brancaleoni.”
La signora Weuly entrò nella
boutique di sartoria di Ndiobenne con un tessuto pagne ripiegato in mano
e si rivolse al sarto che occupava l’ultimo tavolo in fondo a sinistra.
“Avrei bisogno di un vestito
con questo pagne, quanto tempo pensa che possa prenderle?”
Gora alzò la testa dalla
macchina da cucire e sorrise alla signora: “Venga di là che le prendo le
misure. Tra quattro giorni il suo vestito sarà pronto.”