Premessa
Questo
libro contiene le opere vincitrici e selezionate della III edizione del
concorso letterario per immigrati Eks&Tra. La giuria – composta da: Erminia Dell’Oro (nata e
vissuta 20 anni in Asmara, ha scritto articoli sulla guerra di liberazione
eritrea; fra i libri ricordiamo: L’abbandono, Torino, 1991; e Asmara
addio, Milano, 1993); Armando Gnisci (prof. di letteratura comparata e
italianistica all’Università La Sapienza di Roma, ha fra l’altro pubblicato Letteratura
comparata: storia e testi, Roma, 1995); Saidou Moussa Ba (scrittore
senegalese, ha pubblicato presso l’editore De Agostini: La promessa di
Hamadi e La memoria di A); Graziella Parati (prof. di letteratura
italiana contemporanea, letteratura comparata e cultura italo-americana al
Dartmouth College di Hanover, USA; fra le
pubblicazioni: “Intellectual Witnesses of Exile”, Italiana, 1996;
“Testi migranti”, Via Dogana: Rivista di politica, 1996) – ha premiato:
Narrativa
1.
“Quando attraverserò il fiume” di Kossi Komla-Ebri (Togo). La potenza della
Parola è il tronco che la memoria recupera per potersi scaldare contro il
freddo della nostalgia. I proverbi, la saggezza ed il consiglio della
tradizione orale africana tornano a farsi racconto.
2.
“Lo sportello dei sogni” di Martha Elvira Patiño e Pilar Saravia (Messico e
Perù). La coralità femminile di questo racconto traccia una mappa della memoria
di immigrazione che intreccia legami tra passato e presente capaci di collegare
la vita di molte donne tra delusione e illusione, tra sogni e realtà.
3.
“La casa di acqua” di Jorge Canifa Alves (Capo Verde). Introdotto da un canto
del popolo papago, questo racconto contiene una vicenda femminile filtrata
attraverso un velo di realismo magico. La voce dell’autore si trasforma
nell’esperienza di una donna e del suo rapporto con la cultura e la famiglia
d’origine.
Premio
speciale della giuria: “La mia tradizione in Valigia” di
Michele Akira Yamashita (italogiapponese). Con echi leopardiani delle
ottocentesche Operette morali, l’autore ha creato un ibrido formale e di
contenuto in cui dibatte con rigore il proprio duplice legame con culture e
idenità diverse, ponendo domande che si pro-ettano in un presente e in un
futuro interculturali.
Menzioni:
Amor Dekhis, Youssef Wakkas, Mohamed Ghonim, Sandra Clementina Ammendola, Laura
Helena Martos, Aleksandra Caci, Sinan B. Wasswa, Anty Grah, Reso Eklidi (Nuri
Shyqyri), Ikhifa Iyere, Modou Gueye, Rosana Crispim da Costa.
Poesia
1.
“Attendo che il mare” di Rosana Crispim da Costa (Brasile). Da un cammino
d’acqua (per mare, porti, isole) emerge la voce del femminile che si fa sicura
attraverso la fermezza del desiderio.
2.
“Non ho scelta” di Samuel Ayotunde Kalejaiye (Nigeria). Con determinazione l’autore
critica i limiti dell’ospitalità occidentale che obbliga e non lascia scelta.
Le ripetizioni verbali creano il ritmo incalzante di questa poesia narrata che
costruisce in modo quasi tangibile le sbarre che imprigionano identità ai
margini.
3.
“Rinascerò” di Gustavo Lechini (Uruguay). Dovunque sono in festa gli amici di
Gustavo, dall’orto di Isacco al tramonto di Nettuno (cittadina e pianeta). Egli
da allora è energia ed è pronto a rinascere.
Menzione
speciale per Gezim Hajdari (Albania). Proposte senza
titolo, le poesie di Hajdari proseguono il suo narrare ermetico della
solitudine e del viaggio in Occidente dove il poeta ha raccolto echi
ungarettiani filtrati dal suo passato “straniero”.
Menzioni:
Yassin Radwan, Karl Ines, Gladys Basagoitia, Josemar Costa, Vera Lucia de
Oliveira, Mina Boulhanna, Zezuca Araujo Barros, Gabriela Lavinia Ninoiu, Nagib
Mahmud, Georges-Roger Makoundou Laugy, Abdelkader Daghmoumi.
* * *
Tema
ricorrente nei racconti e nelle poesie
qui raccolte è il viaggio, l’itinerante ricerca dell’identità di ogni
individuo.
In
questo viaggio è implicito il confronto, l’incontro come lo scontro con
l’altro, con il diverso da noi, che spesso ci ricorda ciò che di noi stessi
temiamo o vogliamo nascondere, e non parlo di un qualcosa di fisico, ma di
qualcosa che appartiene allo spirito, sentimenti e comportamenti, spesso
giudicati, dalla nostra società come devianti, inopportuni. Ma se riusciamo a
superare la paura del diverso, allora in questo confronto ci viene concessa la
preziosa opportunità di scoprire come, al di là delle differenze di pelle, di
lingua e di costume, esista un sentimento comune ad ogni uomo, in ogni tempo e
in qualsiasi paese si trovi; come i sentimenti siano sempre gli stessi così
come le passioni; un viaggio per ritrovare valori che ci appartengono, ma ormai
sopiti, sacrificati al ritmo frenetico che ci caratterizza, sensibilmente
percepito come elemento di contrasto tra la nostra cultura e quella degli
immigrati.
“L’uomo
nero è stato colto di sorpresa e si è trovato a seguire il binario di una
civiltà che segue ritmi rapidi e aggressivi, mentre egli viene da dove il tempo
è sempre stato a sua disposizione” (Sinan Wasswa).
Tra chi vive il distacco con dolore e chi
riesce ad integrarsi superando i pregiudizi altrui, un unico elemento torna
incessantemente: la valigia, non un oggetto comune, ma un vero e proprio
scrigno dove conservare ricordi, sapori e odori appartenenti a luoghi lontani
dai colori intensi e dagli abbracci solidali. La valigia come simbolo della propria
identità da stringere al petto fino a farle toccare il cuore (Mohamed Gohnim),
in una simbolica fusione con l’unica traccia, l’unico frammento che resta della
propria identità culturale, dei propri affetti. Ma “una valigia troppo piena è
un impedimento per chi vuole cooperare: è il modo migliore per imporre agli
altri e non imparare nulla” (Michele Akira Yamashita).
Ogni esperienza di vita offerta al nostro
ascolto, contiene frammenti di individui e di comunità, legati inevitabilmente
alle loro tradizioni, al luogo d’origine, agli affetti. Le voci di uomini e di
donne emergono dal mare indistinto dell’emarginazione per gridare la propria
solitudine, ma anche la propria rabbia e la nostalgia per un futuro che mai gli
sarà concesso. La memoria e i ricordi diventano l’unico rifugio possibile; la
libertà e la terra abbandonata diventano mito la cui evocazione ferisce, fa
soffrire: “Non mi dispiace per gli anni che se ne vanno, ma per quelli che non
possono tornare, quelli perduti” (Aleksandra Caci).
Dall’introspezione
del racconto biografico ai complessi incassamenti di dialoghi e di tempi
mistici, lontani, sino alle visioni oniriche e agli accostamenti “insoliti”, ma
divertenti ed ironici, possiamo godere di questa diversità dei modi del narrare
e lasciarci trasportare, sia dalla ricchezza e dalla sensualità di queste
immagini, che dalla saggezza degli insegnamenti sottesi ad ogni proverbio, ad
ogni leggenda che ci conduce in una dimensione rituale fatta di un profondo
rispetto per l’altro e per i membri della propria comunità di appartenenza; un
mondo dove la natura, gli uomini e le divinità formano un tutto indissolubile
in piena armonia; un mondo dove vige la legge della solidarietà “l’unica che
permette di sopravvivere” (Kossi Komla-Ebri).
Si
ringraziano i membri dell’associazione Eks&Tra, i membri della giuria e
tutti coloro che hanno in vari modi contribuito alla realizzazione di questo
volume; fra gli altri ricordiamo: Barbara Mondaini, Claudia Rubbini, Jag,
Walter Toni, Francesco Ramberti.