Lo sportello dei sogniTC "Lo sportello dei sogni"
Finalmente,
dopo alcuni mesi passati a pensare e riflettere, mi sono decisa ed eccomi qui.
In verità, andare a verificare l’attività di un’altra persona, fare questo
lavoro fra la spia e la delatrice, non mi piace affatto, ma ho avuto molte
pressioni in tal senso. D’altra parte potrò conoscere la famosa Consuelo
C’è
intorno a lei tutto un alone magico che mi intriga molto e sono proprio curiosa
di sapere come fa a imbrogliare tante persone e allo stesso tempo lasciarle
contente. Almeno sto facendo una gradevole passeggiata con annessa bella vista
sull’autobus che fa la litoranea: guardare il mare è sempre piacevole, con le
sue onde giocherellone, spumeggianti e ridenti; sempre grandioso, possiede la
dolce magia di riportarci in luoghi lontani dall’altra parte della sua immensa
distesa; e questo vento tiepido che mi accarezza il viso
Manca solo il forte
profumo salato delle spiagge di Callao per sentirmi a casa. Alcuni vecchi
italiani mi hanno detto che anche qui, tempo fa, si percepiva quel forte odore
di salmastro e alghe; penso che forse questo è il prezzo della modernità, anche
se mi mette paura cominciare a parlare come gli anziani. Aveva ragione papà,
diceva che è solo l’età che fa vedere le cose diverse, che fa pendere la
bilancia del sentire, perché il bello e il brutto, come il bene e il male,
coesistono sempre. Meno male che c’è il mare a tranquillizzarmi. Non riesco a
capire come mai sono così rilassata nonostante ciò che è successo: mi starò
abituando alla sofferenza? Sono passati appena tre mesi dalla terribile
notizia, ancora ho presente nelle orecchie la voce spenta di mio fratello che
mi annunciava: “Cara Soledad, la nostra Letizia se n’è andata”, e poi cercava
le parole più dolci per dirmi che la mia adorata cugina era morta. Io ho
sentito un colpo al cuore e la tristezza mi ha trapassato la pelle fino a
sentire freddo nel più profondo del mio essere. Lui, poverino, da laggiù voleva
farmi reagire e mi chiedeva di non piangere. “Come è successo?” urlavo e la
verità è che non me ne importava niente, soltanto volevo parlare ancora con
lei, anche se sapevo che ormai era impossibile
Ecco cosa succede quando le
persone amate muoiono: lasciano il rimpianto di non averle potute salutare, e
l’angoscia di non aver fatto sapere loro quanto erano importanti per noi. E
poi, nella lontananza, non hai i parenti per parlare dei cari che se ne vanno,
non sai se è vero, non puoi andare al funerale perché è difficile, lontano,
costoso; per non dire la pesantezza del ritorno in un’Europa che se ti accetta,
lo fa a malincuore. E poi che incubo passare il controllo in aeroporto, col
permesso di soggiorno che deve essere sempre pronto con te, e magari per la
fretta l’hai dimenticato; sentire gli sguardi dei poliziotti, che ti scrutano e
non sanno nemmeno perché, non capiscono che ci vieni a fare in questa loro
terra; alcuni comprendono la disperazione che ti porti dietro, altri hanno
paura che tu sia un potenziale ladro di lavoro per loro, per i loro figli. Ecco
i tanti perché che mi hanno fatto decidere di non partire, lasciandomi addosso
il senso di colpa. Appena riattaccata la cornetta, Letizia si è fatta presente
nei miei ricordi. Mi pareva di vederla col suo sorriso solare, quando correvamo
insieme per la campagna dietro a quel cavallo magro e vecchio che lo zio
utilizzava nei pascoli; eravamo allora delle spensierate adolescenti che
sognavano il ballo di paese e i ragazzi. Più tardi, insieme alla famiglia, lei
aveva lasciato la campagna per trasferirsi in città; lo zio cercava un lavoro,
non c’era acqua abbastanza per irrigare le coltivazioni, la terra arida non
dava più i suoi frutti
noi ascoltavamo ma non è che capissimo bene
l’importanza di queste cose. Ci scrivevamo sempre, ogni vacanza lei era da noi,
o io da loro, perché i nostri genitori erano molto uniti. Poi Letizia si era
sposata, così giovane e carina. Aveva avuto due figli e ora loro, ancora
piccini, sono senza la mamma: morire così giovane, per colpa di un destino
tragico, a causa di una rapina a mano armata, ammazzata in una città che si
dichiara pacifica, e che però sembra in stato di guerra. Me lo diceva mio
fratello al telefono, mentre io piangevo silenziosa e incredula, “qua è sempre
più comune che ti uccidano per sottrarti pure un paio di scarpe, certe volte
esci di casa e ti chiedi se farai ritorno; ma è meglio non pensarci”.
Che
difficile la vita, e mica sto parlando del Libano, la terra di Samira. Dove
sarà lei adesso? Ricordo ancora la mia sorpresa quando, poco dopo averla
conosciuta, le chiesi cosa facesse in questo paese, e lei, dolce, mi ha
risposto con tanta naturalezza: “Ho dovuto lasciare Beirut perché non
sopportavo più il rumore delle bombe e gli spari”.
Sono
rimasta a bocca aperta, era una delle prime storie che queste mie amiche mi
raccontavano. Samira, per fortuna, era riuscita a lavorare come giornalista
corrispondente per il suo paese, e parlammo a lungo della sua indagine sulla
prostituzione delle donne africane arrivate in Italia. Allora, nel ’93, si
sapeva di circa cinquemila donne dell’Africa che venivano con la speranza di
lavorare e poi in molte finivano sul
marciapiede; riuscivano a ottenere il visto nella città di Lagos, anche
le non nigeriane. Tra le tante, abbiamo conosciuto più a fondo la storia della
languida Victorine: era così amareggiata nonostante i suoi soli ventitré anni,
ma sempre altera, con quella maniera di portamento elegante che hanno le
giovani africane. Ci raccontò cose incredibili, ho ancora nella mente la sua
voce dal forte accento:
Sono
arrivata a Lagos dopo tre lunghi giorni di viaggio. La mia città, Makurdi, è
vicina alla frontiera col Camerun; era corsa voce che lì era possibile avere il
visto per Francia o Spagna, io l’ho ottenuto per l’Italia. Pensavo di lavorare
in una boutique, e però sapevo bene che potevo finire a fare la prostituta, non
ero così ingenua come altre. Ma, in fin dei conti, volevo lasciare la povertà e
i maltrattamenti sofferti, e qui in Italia, in mezzo ai guai, ho capito che i
miei avevano rubato pure la mia sessualità quando ero appena bambina, seguendo
tradizioni odiose che non si sa quale diavolo malvagio se le sia inventate. Non
sapevo esattamente perché, ma sentivo rabbia contro la mia terra, contro i miei
che mi trattavano come un animale e così, di nascosto, ho deciso di partire, di
dimenticare; ero in ansia, però avevo chiaro il mio obiettivo: fare un po’ di
soldi e poi tornare trionfante come una regina, come nelle favole, fare la
signora, mettere su un negozietto e, perché no, sposarmi e avere una famiglia
E invece il destino mi aveva preparato tutt’altro; prima sono caduta nella rete
della delinquenza: arrivata a Torino, mi hanno levato il passaporto e hanno
detto che solo quando avessi pagato tutto il costo del viaggio e le trattative
mi avrebbero ridato la mia libertà.
Così
sono entrata a fare parte delle donne sfruttate e maltrattate, mi hanno chiusa
dapprima in una casa in campagna per 20 giorni, per farmi capire che qui io non
esistevo, e mi hanno portato alcuni connazionali come primi clienti. Ero molto
desolata: sapevo che sarebbe stato difficile, ma fu peggio di quanto avrei mai
potuto immaginare, ero come entrata in un film dell’orrore. Poi, quando
lavoravo per la strada, e dovevo salire sulle macchine dei clienti, avevo
sempre paura, ho pure pensato di chiedere aiuto a quegli uomini, ma, appena
accennavo qualche parola di sconforto, si allontanavano
Così sono passati tre
anni e adesso che ho pagato i miei debiti, lavoro per me stessa, da sola. Devo
dire che sono riuscita a uscire dalle mani di quella banda di sfruttatori, ed è
già qualcosa di buono. La mia malinconia non è per il lavoro che faccio, quello
ormai è una maniera di sbarcare il lunario; però mi sento stanca, e ho paura di
essermi presa qualche malattia: rischi del lavoro si dice fra noi, e ho anche
pensato che se muoio forse è meglio
Senz’altro più riposante. Ogni tanto mi
tiro su grazie a Denise, l’unica amica che ho conosciuto, a parte te e Samira
che mi avete aiutato a sistemare il soggiorno. Era Denise che mi diceva di non
pensare alla morte; lei che mi confortava nonostante i suoi guai, che pure sono
pesanti. Sapete? Lei, nigeriana come me e il marito, ha tre figli, due sono qui
in Italia, mentre l’altro è in Costa d’Avorio con la nonna; ma poveraccia, le è
capitato un marito schifoso, un figlio di puttana che fa il traffico di donne,
un magnaccia come quelli che mi hanno portata qui, ma che in più fa prostituire
la moglie. Denise mi ha raccontato che quando vanno gli amici del marito a casa
sua, lui la obbliga a servirli con prestazioni sessuali, e certo si fa pagare.
Ormai nella sua casa è un via vai di questi uomini africani. Denise all’inizio
si voleva ribellare, però lui quasi l’ammazza di botte; e adesso è proprio
“inguaiata”
Si è innamorata di un
giovane musicista di Costa d’Avorio con il quale ha una relazione, e da poco ha
saputo che è incinta. Immaginate se lo viene a sapere il marito! Li ammazza a
tutti e due! A proposito, dirò a Denise di venire da voi. Sì, voi dovete
aiutarla: è disperata e non vuole che quello stronzo del marito le porti via i
figli.
Poveretta,
era così avvinta dalle tristi vicende dell’amica, che Victorine si era
dimenticata delle sue. Mi ricordo che subito mi misi in contatto con Denise, ma
fu molto difficile guadagnare la sua fiducia, in modo che si confidasse con me;
mi disse poi che una tal Consuelo l’aveva convinta; infine abbiamo lavorato
insieme nella preparazione della sua partenza. Che corse per ricavare i soldi,
e sempre di nascosto dal marito! Fortunatamente, dopo pochi giorni, poté
scappare con i figli. Ho saputo che si è sistemata in Costa d’Avorio con la
madre; ogni tanto la sogno e spero di avere presto sue notizie. Vorrei sapere
se è nato un bambino o una bambina.
Ma
eccomi arrivata, spero di trovare le parole giuste per presentarmi
all’enigmatica Consuelo; seduta davanti a lei le chiederò: “Signora, mi dica,
come è possibile che lei sia diventata la samaritana dei tanti extracomunitari
della zona? Dicono anche che lei abbia il dono o la formula magica per
provocare dei bellissimi sogni. Mi faccia una fattura per convincermi
” Mmm,
no. Per niente gentile fare così, persino un po’ aggressivo. Allora le posso
dire: “Guardi, in verità è che sono venuta perché abbiamo dubbi, i miei capi ed
io, sulla serietà del suo lavoro e dovrò scrivere alcune note informative su di
lei
” No, nemmeno: sembra oscurantismo da caccia alle streghe. Meglio pensarci
mentre aspetto che mi riceva. Ora mi sento un po’ nervosa, sembra che l’effetto
sedativo del mare sia passato.
–
Buon giorno, sono Soledad e vorrei parlare con la signora Consuelo.
–
Piacere, io sono Anita. La signora l’aspettava da ieri; ma si accomodi, perché
ci sono altre persone prima. Mi segua
La chiamerò quando sarà il suo turno.
Sono
appena entrata in quella deliziosa saletta di profumi esotici, incenso e
poutpouri, e decorata in stile orientale, pensando come sia possibile che già
sapesse del mio arrivo, quando mi sento chiamare.
–
Soledad! Oh la là, che bella sorpresa! Vieni, siediti vicino a me e dimmi qual
buon vento ti porta qui.
–
Miche
la! Come stai
Ah, c’è pure Armida! Ciao Armi.
–
Benvenuta! E cosa ci fa qui la nostra “guida amministrativa”? Lavori sempre
agli uffici per l’immigrazione, Soledad? – chiede Armida parlando piano, come
per non disturbare.
–
E certo, dove altro mi prendono? Mica è facile trovare lavoro al giorno d’oggi.
Perché vi trovate qui ragazze?
–
Ah cara, meno male che sei qui, devi sapere
Mentre
Michela parla con la sua voce in falsetto, penso alla sua vita, alla mia, a
quel tono di voce melodrammatico, che tante volte, per la verità ho cercato di
tenere lontano. Alle mie paure, che mi hanno fatto scrivere sulla porta in
ufficio: “Qui informiamo soltanto sui problemi di documentazione”, con
l’esplicita intenzione di non dover ascoltare tutte le lamentele degli
stranieri. E, nonostante ciò, sono sempre lì ad ascoltare, e faccio di tutto
per risolvere almeno i loro problemi burocratici, nel paese dove è difficile
farlo anche per gli stessi cittadini. Però mi porto comunque dietro tante
storie tristi senza soluzione, e alcune mi fanno ricordare fasi della mia vita
che vorrei dimenticare, come mi fanno male le botte prese da Denise, o da
chiunque altra, perché pure io le ho ricevute senza potermi difendere. E quando
un uomo picchia una donna non c’è giustificazione che tenga: è soltanto
vigliaccheria. Io, la cocca di papà, alla quale lui ripeteva, quasi prevedendo
il mio futuro: “ricorda sempre che una donna non si tocca nemmeno con il petalo
di una rosa”; io, figlia delle femministe, intellettuale emancipata, mi sono
ritrovata tante volte disperata e sola, ricevendo maltrattamenti dalla persona
che mi aveva dichiarato amore eterno, dovendo azzittire la mia rabbia e
ingoiare le mie lacrime, per paura e per non svegliare mio figlio. La paura
Che cosa tremenda è la paura, il terrore che un giorno ti possano ammazzare di
botte e non sai nemmeno perché. Questo non l’ho mai detto a nessuno, dovevo
dirlo a Letizia, solo lei mi avrebbe capita, però non ne ho avuto la forza e
sono partita. Meglio fuggire. Ho preso mio figlio e sono partita senza destino,
verso l’ignoto
–
Soledad, mi stai seguendo? – domanda Michela un po’ seccata – Hai capito cosa
sono venuta a fare qui?
–
Ah no, scusa, mi sono distratta. Questa musica in sottofondo mi ha fatto
ricordare il Perù. Ma dimmi cosa sei venuta a fare.
–
Beh, dove eri rimasta tu? Al mio matrimonio con Vanessa la bruna?
–
Dunque, in verità, l’ultima volta che t’ho vista fu quando sei partita per il
Brasile, perché dovevi riportare altri documenti.
–
Ah, quel brutto periodo
è stato proprio difficile, sai? Ti ricordi che mi
prostituivo? Anche se sempre vestita da donna
Ti ricordi, tu sei stata carina
ad aiutarmi col permesso di soggiorno; ma poi ho avuto l’espulsione, e quando
le cose sono diventate insostenibili ho preferito partire per conto mio; dal
Brasile ho iniziato tutte le pratiche necessarie per ritornare. A Rio sono
riuscita a operarmi; adesso sono ancora più donna. Avvicinatevi, che vi
racconto tutto.
Michela
comincia a parlare in confidenza, con quella sua voce rauca che diventa via via
sempre più sottile e effeminata. È davvero diventata molto bella, tutta piena
di gioia.
–
Per te Soledad forse sono la stessa, ma io mi sento un’altra, guardate: i
capelli, il seno e soprattutto quella cosina, la più importante
Ah, lo sapete
birichine che cos’è? Io sono stata un caso di natura distratta, il medico me
l’ha spiegato, sono nata con un corpo da maschio al quale non appartenevo. Io
sono una donna dentro, è una questione anche di ormoni, e, operandomi, adesso
mi sento fuori come sono dentro. Ma per me era importante, e adesso mi sento
meglio. Ho anche capito molte cose, per esempio che i veri degenerati sono
quelli che la sera ti cercano per fare cose matte, come ho scoperto anche che
quelli che più si burlano di me, sono loro degli omosessuali repressi, ed è
incredibile come oggi mi facciano pena. Comunque io dovevo tornare in Italia
per una ragione molto importante: mi ero innamorata. Sono riuscita a entrare di
nuovo in questo paese, e per essere in regola mi sono sposata con Vanessa. E,
che ironia, per farlo ho dovuto, io, travestirmi da uomo!
–
Vanessa
la conosco io?
–
E no cara
è una prostituta italiana in pensione, una di quelle furbe e
ambiziose. Lo sai quanto mi ha fatto sganciare? Mi ha chiesto dieci milioni.
–
Cosa? – chiede Armida sorpresa – Dieci milioni? Oh, dios mio, e tu li hai
pagati?
–
Beh, siamo arrivati a un accordo, è scesa di due, e così
–
Ma da dove ottieni tanti quattrini? – sbotta Armida esaltata. – Io lavoro come
un mulo, pulisco le scale, vado a elemosinare alimenti per i miei figli in
parrocchia, e tu paghi milioni come se fossero bruscolini.
–
Per favore Armida, non te la prendere così. – Cerco di calmarla. Poi, per
fortuna arriva Anita, chiamandola. È il suo turno.
–
Va bene. Adesso vado a sognare un pochino, che ben mi manca. Ma, per la
miseria, otto milioni per sposarsi
Armida
si allontana piano, con il suo piccolo corpo e il viso rugoso, si capisce che
sono giorni difficili per lei, ed è molto scontrosa.
–
Oh, Soledad – dice Michela mortificata, e con quel suo tono melodrammatico che
tanto la fa sembrare una protagonista di telenovelas. – Ma che ho fatto di
male? Non mi piace ferire nessuno, e meno che mai un’immigrata come noi.
Poverina, ma cosa le succede?
–
Beh, non è che ha una vita serena, come d’altronde succede a tante donne che
vivono in un paese estero
Io l’ho conosciuta nel ’90, era arrivata in Italia
cinque anni prima; è venuta da noi per fare il ricongiungimento familiare dei
figli, c’era in atto una delle tante sanatorie all’italiana. Ci siamo date da
fare preparando tutti i documenti necessari e, dopo alcuni mesi, tutto è andato
liscio e sono arrivati i suoi tre figli. Che allegria per tutti! Sai, una donna
che ha dovuto lasciare in patria i propri figli è qualcosa d’innaturale, che ci
obbliga a riflettere; ed è purtroppo il caso di molte donne che lavorano come
collaboratrici domestiche in Europa. Pensa alle tante filippine, ti potrei
parlare di decine di casi.
–
Ah, Soledad, meno male che io non posso avere dei marmocchi
Ma tu che ne dici,
riuscirà mai un giorno la scienza a inserire tutto un apparato riproduttore
femminile dentro un uomo?
–
Ma sei pazza? Speriamo proprio di no. A me le sperimentazioni genetiche non mi
vanno proprio a genio.
–
Sei una retrograda, non so come faccio a sopportarti.
–
Mamma mia che vocaboli, ma dove hai studiato?
–
Cara, l’Università della vita è più grande di quello che tu possa immaginare,
se tu sapessi tutti quelli che mi sono capitati per la strada, dagli intellettuali
di sinistra fino ai bigotti moralisti di parrocchia. Incredibile, no? Ma,
tornando ad Armida, se una ha con sé i figli, il marito e tutto il necessario
per essere contenta, cosa le succede per essere così amareggiata?
–
È che questa storia che andava come una favola ha cominciato a zoppicare,
perché il marito si è dato al vizio di bere. E, come suole succedere in queste
storie, l’alcolismo porta con sé la perdita del lavoro, la mancanza di denaro e
tutta la sequela di problemi che puoi bene immaginare. L’ultima volta che l’ho
vista aggirarsi per l’ufficio, portava occhiali scuri; quell’ubriacone a quel
tempo la malmenava, e le aveva messo le mani addosso pesantemente.
–
Oh Dio, ovunque sento dire di uomini maneschi: come mai, perché?
–
Ah, questo veramente non te lo so dire. Ma sembra vero che ci sono in giro un
sacco di complessati che scagliano le loro frustrazioni sopra i più deboli.
–
Ma
Che per caso ho toccato un tasto dolente? Oh cara
–
Senti, smettila di dire sempre cara, mi sembri quelle donnette ipocrite
che fanno finta di baciarsi e avvicinano soltanto le guance, come schifiltose.
–
Ma Soledad, perché te la prendi con me, così mi farai piangere. Non mi piace
essere aggredita, e davvero tu per me sei cara.
Capisco
di essere stata ingiusta.
–
Scusami, hai ragione, sono molto agitata.
–
Su, dai, continua, dimmi che è successo dopo ad Armida.
–
Beh, visto com’era conciata, un mio collega l’ha portata all’ospedale e poi a
farsi consigliare se era opportuno sporgere denuncia. Ma lei credo abbia continuato
a subire i maltrattamenti.
–
No Soledad, ti sbagli, prima che arrivassi tu, mi stava dicendo che viveva da
sola coi suoi figli.
–
Allora le cose forse sono cambiate, meno male. Deve essere stato difficile per
lei lasciare quell’uomo.
–
Ammazza però, ha ragione Armi: io ho buttato tanti soldi mentre per lei deve
essere duro mantenere da sola tre bambini. Vorrei darle una mano, offrirle la
mia disponibilità, sarei felice di curare i suoi figli. Sai che mi piacerebbe
fare la baby-sitter?
–
Beh
senti, ora non te la prendere, ma, sinceramente, chi affiderebbe i figli a
una prostituta, che prima era un uomo e poi è diventata donna? E non solo:
sposata con un’altra donna. Certo, Michela, che sei sempre un’ingenua,
nonostante la tua forte esperienza di vita.
–
Soledad, che pensieri limitati, e guarda che già non faccio più quella vita. La
mia vita è cambiata da così a così – e fa il segno di ruotare il palmo della
mano.
È
buffo quando noi stranieri entriamo nella mimica del paese in cui abitiamo,
sembra che scimmiottiamo certi gesti. Anch’io quando mi ritrovo a farlo, mi
sento un tantino ridicola.
–
Davvero? E allora cosa fai per vivere
O ti mantiene Vanessa?
–
Magari. Vanessa dovrà soltanto darmi il divorzio. Se chiedo ai giudici il divorzio per incompatibilità di sesso, me lo
daranno?
–
Ah, Michela, sempre spiritosa.
–
In verità, ti confido una cosa, sto facendo un corso di parrucchiera per cani.
–
Ma dai, stai scherzando
–
No davvero. Sono sicura che questo lavoro avrà un grande successo, basta guardare
come gli italiani trattano le bestie. Certi amici miei, vedendo tutti i comfort
riservati ai cani che vivono nelle famiglie, dicono che in Italia è meglio
nascere cane che essere extracomunitario
–
Ma piantala, mi fai proprio ridere.
–
Meno male che ridi, avevi una faccia molto seria quando sei entrata, adesso ti
vedo più rilassata.
–
Già ti ho chiesto scusa, vuoi che mi metta in ginocchio? – Mi sento veramente
più tranquilla e poi questa presenza di Michela, che sempre mi inquietava,
adesso la trovo di grande conforto.
–
Dunque, dopo il mio “matrimonio” ho potuto avere il permesso di soggiorno e ho
continuato a lavorare. Sono venuta da Consuelo, perché stavo proprio a terra.
Alcune mie amiche mi avevano parlato di lei, e ti giuro che è stata una meraviglia.
–
Ma cosa ti ha fatto?
–
Prima di tutto, mi ha guardato con dolcezza. Il suo sguardo soave mi ha
permesso di fidarmi e così le ho potuto raccontare tutta la mia vita, mi sono
sfogata. Lo sai, per un momento la mia vita tragica da fotoromanzo o da cronaca
stava come lì sospesa davanti a me, e ho capito che dovevo affrontarla e non
fare finta che tutto fosse causa del destino. Non so bene, è stato come una
terapia magica, mi sentivo leggera e contenta di vivere, accettando la mia vita
come un’opera fatta da me, non dagli altri. Mi sono tolta di dosso i pensieri
negativi che ti assalgono quando scegli di fare questo o l’altro nel corso
della tua esistenza. Consuelo mi ha dato un the alle erbe, mi ha fatto un
massaggio e io mi sono addormentata; mi ha svegliato dopo due ore. Avevo
sognato tutto quello che ho desiderato sempre: una vallata dove correvo leggera
come una piuma e in lontananza un uomo, che mi amava e mi aspettava con la
braccia aperte.
–
Ah, che cosa sorprendente, ma il the conteneva qualche droga?
–
No, figurati, è impossibile, ha tutti i documenti in regola. Lei è
fisioterapista e non so che altro, ma dicono che è vissuta a lungo con gli
sciamani del Brasile: è per questo che sa la mia lingua. Inoltre conosce i
segreti delle terapie cinesi: secondo me utilizza la magia bianca
–
E oggi, sei ritornata per sognare ancora.
–
No, ascolta! Come nel sogno, mi sono innamorata! Ho conosciuto Pierluigi in una
discoteca. Io ballavo e lui mi si è avvicinato. In verità sono stata un po’ io
a fare la civetta, ma poi è nato l’amore; Soledad, lui mi ama. Non ci crederai,
è un uomo molto bello, giovane, e ricco.
–
Ma, veramente, mi sembra proprio una favola.
–
E che non lo sai, come dice Pier, che la realtà è più sorprendente delle
favole?
–
E anche più crudele e cattiva. Ma adesso cosa farai?
–
Per ora viviamo insieme, certo la famiglia di lui, che sono dei ricconi, lo ha
cacciato di casa e diseredato.
–
Mica lavorerai per mantenerlo
–
No, ti dico che il mio destino è cambiato. Pier adesso lavora in un laboratorio,
fa il chimico, e poi non ha problemi perché ha molti contatti; come ti ho detto
sto facendo il mio corso di parrucchiera per cani, e appena finirò metterò su
un negozietto
Ah Soledad, sono felicissima!
Rimango
senza parole, si tratta di una storia molto carina. E il mio sorriso risponde
certo meglio di qualunque parola. Intanto riappare Anita che chiama Michela, e
dietro di lei Armida, cambiata, come nelle nuvole, molto tranquilla che ci
saluta con un sorriso.
E
bacia Michela.
Mentre
sto qui ad aspettare, ho capito che Consuelo è per davvero una donna
straordinaria come giustamente la qualificano tutti quanti la conoscono. Ecco
il perché desta tanto sospetto, per trattarsi di una persona che si dedica agli
altri dimenticando sé stessa. Sento di conoscerla da sempre e di non avere più
nemmeno bisogno di vederla. È una proiezione di me stessa, uno specchio che mi
complementa. Insieme lavoriamo come una squadra, lei finisce con la sua
terapia, con l’ascoltare i veri problemi, il lavoro burocratico che io ho
cominciato; Consuelo è anche l’amica che mi mancava: ho trovato a chi confidare
i miei pensieri intimi e i tanti dubbi, ho trovato la persona giusta per
dialogare. Ho capito che la sua magia sta nella saggezza, nella solidarietà e
nella pazienza di sapere ascoltare, in un mondo che corre veloce e cattivo e
non ha più tempo per lo spirito, per l’amicizia, per l’amore. Sono venuta qui
con il compito di smascherarti cara Consuelo e sei tu che mi hai tolto la
maschera di persona tranquilla e sempre disponibile che avevo addosso, mi hai
aiutato a tirare fuori parti nebulose del mio passato che devo affrontare per
riconciliarmi con questo periodo difficile. Bene, ho tutti gli elementi per
fare una buona relazione su di te ai miei superiori; proporrò anche di
appoggiare il tuo lavoro in qualche maniera, per mantenere vivo questo
“sportello dei sogni”.
Forse
tornerò a trovarti per lasciarmi andare ai sogni. La realtà oggi mi ha regalato
già abbastanza sensazioni sorprendenti.
Arrivata
a casa squilla il telefono, è Victorine insolitamente allegra:
– Soledad, ascoltami! Ti volevo salutare,
parto oggi stesso. Apri bene le orecchie: sono andata da Consuelo, pure tu
dovresti andarci, quella donna è davvero forte. Le ho raccontato la mia vita,
mentre lei attenta mi ascoltava senza battere ciglia, e alla fine mi ha detto:
“Sei così disgraziata che il giorno che troverai un bel ragazzo che ti vorrà
bene e lo bacerai, lui subito diventerà un rospo”. Ho avuto da lei il più bel
conforto che si possa desiderare e mi ha detto di stare tranquilla, che il mio
rospo prima o poi lo avrei trovato. Poi, passato un po’ di tempo, una notte di
poco lavoro, stanca di camminare, me ne sono andata al bar, quello dell’EUR, ce
l’hai presente, e mi sono presa un mandarinetto. E lì, c’era un uomo che mi
guardava con insistenza; ho provato una emozione particolare, non volevo che mi
si avvicinasse per contrattare. E invece mi è venuto vicino per parlare, per
conoscermi: non voleva il mio corpo, povero corpo violato e venduto, voleva
solo conoscermi, conoscere me! Ed io adesso, insieme a lui, sto cercando
qualcosa di buono nel mio spirito. Non so come andrà a finire, ma ce ne andiamo
via di qui, penso che non ti chiamerò più. E, a proposito, lui non somiglia a
un rospo. Bello, non ti pare? Quando andrai a trovare Consuelo ringraziala da
parte mia. Non sono potuta andare a salutarla di persona, e lei non ha il
telefono. Ciao Soledad.
Certo
Victorine, lo farò con tanto piacere, la prossima volta, fra qualche giorno,
andrò a conoscere Consuelo di persona. Adesso so cosa vorrei sognare. E potrò
riabbracciare Letizia.