L’impostore

 

Di sicuro si chiamava Pap
John, era vestito con un grande bubu bianco, il famoso “tre pezzi” che si usa
in tutta l’Africa dell’ovest tra le persone che se lo possono permettere. Bubu
che contrastava però con le babbucce troppo lunghe che portava ai piedi; di
quelle babbucce che annunciano l’arrivo del proprietario molto prima che questi
arrivi. I capelli ad ogni modo erano bene in ordine, il viso cercava di
esprimere saggezza utilizzando quel poco di barba che spuntava in fondo al
mento. Era un disgraziato; rubava, si ubriacava una sera su due, e la sua
attività preferita era imbrogliare la gente. Insomma era un disgraziato,
l’abbiamo già detto. Girava nei villaggi dove c’era poca gente che lo conosceva.
O meglio dove non lo conosceva nessuno.

Pap John arrivava a metà
mattina a Diok–ul. Il caldo era ancora sopportabile ma non avrebbe tardato a
diventare intollerabile per chi si fosse attardato sulla piazza centrale del
villaggio. Seduto su di uno sgabello incastrato tra le radici di un baobab, un
vecchietto lo osservava.

– Come ti chiami di cognome,
compare? – lo salutò il vecchietto.

– Mi chiamo Khadim Mbaké.

Il cognome Mbaké risuonò
nella testa quasi calva del vecchietto alla quale il proprietario tolse subito
il cappello. A questo gesto seguì una genuflessione; infine il vecchietto prese
le mani del forestiero e vi mise sopra la sua fronte. Sulla faccia di Pap
apparve un sorriso bonario.

Visibilmente soddisfatto, il
vecchietto accompagnò il forestiero a casa sua, nella camera più fresca.

– Cosa posso offrirti,
marabù?

Il vecchietto faceva
rapidamente mente locale su ciò che si trovava nella possibilità di offrirgli.

– Se mi puoi portare un po’
d’acqua – rispose Pap John con un tono di voce sommesso e molto basso. L’acqua
faceva parte delle cose che il vecchietto si trovava nella possibilità di
offrire; molto sollevato si precipitò ad attingere un bel boccale d’acqua
fresca dall’orcio che teneva interrato dietro casa.

Mentre il sedicente marabù
rinfrescava la sua gola alcolizzata con l’acqua dell’orcio, il vecchietto
cominciò a pensare che il suo ospite non si sarebbe nutrito solo di acqua di
fonte e si diresse verso la capanna di sua moglie.

– C’è un forestiero nella
nostra camera fresca che di cognome fa Mbaké, io pensavo…

– Khewalla! – La moglie del
vecchietto non gli lasciò il tempo di finire la frase.

– È venuto proprio in casa
nostra?

– Sì, sì, da noi. Vedi di
dire ai bambini di non fare rumore. Anzi, mandali a giocare da Kumba.

– Sì, vado subito.

La moglie si diresse
velocemente verso il cortile.

– Aspetta, Ndey. E al
mangiare hai pensato?

– Vado subito ad acchiappare
un pollo.

Una sberla si abbatté sulla
nuca della malcapitata moglie.

– Vai immediatamente a
sgozzare il montone e fatti aiutare dai vicini!

Il vecchietto tornò nella
camera fresca. Aspettava fiducioso, accovacciato per terra accanto al letto
dov’ era comodamente sprofondato Pap John, le parole del marabù. Dopo un tempo
passato nel più assoluto silenzio, il vecchietto si accorse che l’ombra del
chiodo da preghiera conficcato nel muro indicava che era giunta l’ora delle
orazioni. Fece passare ancora in po’ di tempo prima di decidersi di far
cortesemente notare al suo ospite che era ora di rivolgersi ad Allah
onnipotente. Si sentiva molto imbarazzato.

– Mi perdoni, signor marabù;
il mio chiodo indica che è l’ora della preghiera, certo non mi permetterei di
disturbarla…

– Nessun disturbo – lo
interruppe Pap che intanto pensava a come riparare la palese dimenticanza. La
sua faccia da smarrita diventò subito grave non appena gli balenò in mente la
risposta da dare al vecchietto sempre accovacciato ai suoi piedi.

– Stavo comunicando
direttamente con Allah – disse con voce cupa e appena udibile – ma se lo
desideri posso pregare insieme a te. Per quanto riguarda il tuo ritardo sulla
preghiera, non devi temere, il Signore Allah ti perdonerà.

Il vecchietto felice sia del
perdono promesso che dell’onore di poter pregare accanto ad un marabù così
importante si diresse verso la porta per andare a procurarsi una zucca d’acqua.
Si accorse in quel momento che il suo marabù stava già cominciando a pregare.

– Stavo andando a prenderti
l’acqua… – osò dire con un filo di voce.

– No, no. Non c’è bisogno di
fare le purificazioni; ho ricevuto questo ordine direttamente da Munkar e
Nakir. Anche tu, che sei stato vicino a me, ne sei esentato.

Rincuorato, il vecchietto
cominciò a pregare con fiducia. Fiducia che non avrebbe certo avuto se si fosse
ricordato quel passaggio del Corano dove si spiega che Munkar e Nakir sono solo
gli angeli incaricati di scrivere quello che le persone fanno di bene e di
male. Si sorprese solo un altro po’ quando il dichiarato Mbaké cominciò a
recitare ad alta voce, con un arabo da minestrone, i versetti. Non osò dire
niente per timore di fare un’altra figura da ignorante.

Uno schiaffo si abbatté
infatti sulla guancia di suo nipote che era entrato in ritardo per unirsi alle
preghiere. Nonostante il ritardo però, il nipote masticava discretamente il
Corano e non tardò a mettersi a ridere quando si accorse della minestra
religiosa che usciva dalla bocca del marabù. Questo gli valse solo un altro
schiaffo e giudicando la ricompensa più che sufficiente, il nipote smise di
prendere in giro il marabù. La preghiera terminò senza altri intoppi.

 

Tornato a stravaccarsi sul
divano, Pap John chiese poi al vecchietto se non poteva presentargli nel
villaggio qualcuno di più giovane. Non fece in tempo a finire di dire:

– Mi piacerebbe incontrare
qualcuno della mia età… – che il vecchietto era già scattato in piedi.

– Moda! – Pensò ad alta
voce.

– No, Moda è un poco di
buono! – Si fece sentire la voce della moglie Ndey che sicuramente aveva
origliato fino a quel momento dal cortile di dietro.

– Ma cosa dici? – il
vecchietto imbarazzato ribatté dalla stanza.

– Quel disgraziato frequenta
gente di malaffare!

Pap John drizzò le orecchie.

Il vecchietto stava per
rivolgersi al suo marabù per scusarsi quando venne preceduto.

– Questo Moda andrà
benissimo. Il compito di un marabù come me è anche quello di aiutare la gente a
tornare sulla giusta via.

Moda arrivò nella stanza
dopo qualche minuto, incredulo che un marabù lo avesse mandato a chiamare.
Squadrò subito il marabù con curiosità tralasciando di salutare il vecchietto e
sua moglie. Subito Pap balzò in piedi:

– Piacere, mi chiamo Mbaké.

– Io… Io sono Moda Diop.

Era evidente l’imbarazzo del
giovinastro di fronte a quello che lui credeva un marabù. Il seguito dei saluti
di Moda furono tutto tranne quelli che normalmente si fanno a un marabù.

– Vieni, andiamo fuori –
propose Pap – voglio fumare un po’.

Moda che non aveva mai un
soldo in tasca per comprarsi le sigarette, si diresse fuori contento di poter
scroccare una fumata. Il vecchietto non fu neanche preso in considerazione
nonostante quest’ultimo continuasse a cercare di intavolare un discorso
cominciando da: “Questo marabù è venuto a casa mia e…” Fu molto se lo degnarono
di uno sguardo quando uscirono. Incrociarono un sedere di donna enorme con una
donna annessa mentre mettevano un po’ di distanza tra la casa del vecchietto e
loro.

– Qualche colpetto lo darei
volentieri! – si fece sfuggire Moda. – Ma… tu cosa… ne pensi? – aggiunse
ricordandosi che si trovava in presenza di un marabù.

– Dice il versetto 158 del
Libro Diounouss: “Guardate le donne con dolcezza ma senza approfondire”–
rispose il marabù.

Andarono a fumare in un
recinto di manghi.

– Prepariamo la medicina –
disse Pap John.

– Quale medicina? – rispose
Moda che nonostante tutto si sentiva ancora intimorito per la vicinanza del
marabù.

– Quella che fa dondolare il
cervello.

Moda vide con un certo
imbarazzo il marabù tirar fuori un grosso pezzo di hascisc.

– Dice il versetto 541 del
Libro Diounouss: “È bene servirsi di tutto quello che si conosce per
avvicinarsi al Signore”.

Dopo poco Pap dovette prendere
dalle mani di Moda il rotolino di carta che quest’ultimo evidentemente non
faceva secondo le Divine Leggi e in pochi secondi accese un cannone imponente.

– Ti fa male la testa?–
chiese Moda dopo una decina di tiri.

– No – rispose il marabù.

– Neanche a me! – si
affrettò a dire Moda mentre cercava di capire cosa ci facessero in cielo tutte
quelle stelle alle tre del pomeriggio. Tra le stelle poi, precisamente sul
mango di fronte, si stavano dondolando due donne. Mentre si chiedeva se fossero
più reali le donne o le stelle, il marabù si dirigeva verso quel mango.

– Andiamo a giocare insieme
a loro, Moda. Ricordati solo che bisogna toccare le donne con dolcezza ma senza
approfondire.

Moda si ricordava qualcosa
riguardo al guardare e non al toccare, ma non era nelle condizioni di accettare
altro che la guida del marabù. Si diressero verso il mango. Il gioco delle due
donne consisteva in questo: una doveva provare a catturare l’altra con le gambe
mentre l’altra cercava di sfuggire. Quella che doveva catturare si dondolava
per le braccia da un ramo in avanti e indietro, l’altra non poteva uscire da un
cerchio tracciato per terra. Il cerchio era tracciato in modo da rendere
possibile la presa con le gambe della prima lasciando all’altra l’opportunità
di schivare la presa senza uscire dal cerchio.

– Come andiamo, amiche? –
disse Pap John avvicinandosi al mango. – Chi sta vincendo?

La donna appesa al ramo
lasciò la presa e rispose al saluto con altrettanta scioltezza.

– Possiamo giocare anche
noi? – incalzò Pap.

Le due donne si
abbandonarono a una risata che era a metà tra lo scherno e la civetteria.

– Venite pure! – fu comunque
la risposta finale ma l’aspetto dei due uomini non era certo seducente e le due
donne, che avevano già intuito i servizi che Pap avrebbe proposto, rifiutavano
di immaginarsi in quella situazione.

– Bene – Moda si rivolse a
quella più piccolina, che stava nel cerchio – facciamo le coppie: io gioco con
te e la tua amica prova con Mbaké.

L’effetto del nome Mbaké fu
immediato. I giochi cominciarono e la mente delle due donne corse subito là
dove si era rifiutata di andare pochi istanti prima. Finito il gioco, dopo la
mente, toccò al corpo e la capanna della donna piccolina servì perfettamente
allo scopo.

 

Dal grande cespuglio che
stava a fianco del cammino che riportava i due uomini verso casa, venne fuori
il rumore di una salamandra che si scuoteva.

Pap John ebbe un’accelerata
brusca nella sua andatura, anzi diciamo che stava proprio scappando.

– Ma io non ho mai visto un
marabù correre… – disse Moda.

– A meno che non faccia un
po’ di allenamento per tenersi in forma! – replicò il marabù.

– Allenamento o paura? – osò
dire Moda che dopo l’episodio nella capanna della piccolina, si sentiva molto
meno in soggezione.

– Quando corri perché hai paura,
se ti salvi sei un campione – disse il marabù. E aggiunse: – Come vedi,
l’allenamento c’entra eccome.

– Ma i versetti che usate
per sconfiggere le presenze malefiche, non funzionano perché ci troviamo in
mezzo alla savana o perché hai appena finito di “toccare senza approfondire”
con le due donne di prima?

– Il sapone non si lava da
solo – rispose con semplicità Pap John – non potevo proteggermi da me stesso
contro quel facocero.

– Facocero?! Guarda che era
al massimo una salamandra.

– No, no. Era un facocero.
Tu non lo sai. Io posso vedere dentro i cespugli perché sono in contatto con il
divino.

Camminarono per un po’ in
silenzio.

– Dove ci troviamo? – chiese
ad un certo punto il marabù.

– Mi sembra il secondo piano
della terra – rispose Moda.

– Secondo me siamo sulle
onde del mare – disse il marabù – e quella tromba d’aria che ci sta seguendo è
certo la mutazione del diavolo di facocero che abbiamo incontrato prima.

In effetti una piccola
tromba d’aria stava sollevando polvere e cartacce dietro di loro. Un sentimento
di paura si insinuò nel cuore del povero Moda.

 

Dato che Pap John si era
imboscato dietro le case vicine per espletare le sue funzioni fisiologiche,
arrivò dal vecchietto prima Moda e subito fu accolto dalle domande del padrone
di casa:

– Il marabù, dov’è? – chiese
ansioso. – Perché hai quella faccia? Dove siete stati? Dove l’hai portato? Cosa
gli hai fatto fare? Perché non è con te? Dove l’hai visto per l’ultima volta?

– Respira l’odore delle
stelle, fratello… Mbaké l’ho visto per l’ultima volta dietro le case più giù,
lungo la strada.

Il vecchietto prese a
camminare avanti e indietro con passi pesanti.

– Lo sapevo! Lo sapevo che
non dovevo lasciarlo nelle mani di un disgraziato come te!

– Ma se sei tu che l’hai
nominato per primo! – intervenne la moglie.

– Sì, l’ho nominato ma
sapevo che non andava bene… L’ho nominato così… Per nominare qualcuno… Lo
sapevo! Lo sapevo!

– Non serve a niente saperlo
senza dirlo. È come un albero senza frutto – disse severamente entrando il
marabù che aveva sentito solo i due ultimi “lo sapevo” e che pensava ancora al
suo improbabile facocero.

– Perdono, perdono, perdono…
Ma meno male che sei tornato sano e salvo – il vecchietto si sentiva già molto
sollevato constatando che il suo Mbaké era lì e non sembrava eccessivamente
sconvolto.

– Se sono salvo è solo per
merito mio che ho mantenuto la calma per tenere alla larga quella bestia
orribile.

– Be’… – esitò un po’ il
vecchietto – non è così pericoloso…

– Non è pericoloso?! – Pap
si sedette. – Come no! Faceva dei rumori terribili dentro al suo cespuglio
maledetto, poi ha cercato di inseguirmi trasformato in tromba d’aria! E secondo
te non è pericoloso?!

Il vecchietto cominciava a
squadrare Moda con una certa preoccupazione.

– Chiedo perdono, perdono… Io
non sapevo che fosse così, non sapevo davvero…

– Come non lo sapevi? Hai
appena finito di dire che lo sapevi! – Pap John faceva la voce dura. – E voi
potete vivere così, con quel facocero in quel cespuglio!

– Facocero? Quale facocero?
– il vecchietto tornò a scrutare Moda con preoccupazione crescente mentre
quest’ultimo cercava di minimizzare le parole del marabù con alcune mimiche
facciali che avevano come unico risultato quello di insospettire ancor di più
il vecchietto.

– Se c’è una cosa che mi dà
fastidio è l’ignoranza animale come la tua! – gridò il marabù. – Ti ho detto
che quella bestia ci ha perseguitato dai campi fino a qui!

– “Ci” ha perseguitato?

– Me e Moda, asino!

– Ma… se Moda era con te…
chi ti ha perseguitato? – il vecchietto non capiva più niente.

– Il fa–co–ce–ro!! – urlò il
falso Mbaké. – Ed io andrò a cercare ospitalità in una casa dove ci sia gente
più sensibile – concluse alzandosi.

– No. Io darò l’allarme. Ho
capito: c’è un facocero nel grande cespuglio. Ndey! Fai chiamare tutti gli
uomini!

 

In men che non si dica Ndey
aveva già allarmato tutto il villaggio. C’era un facocero nel grande cespuglio!
Coltelli, bastoni, zappe, badili, catene di biciclette arrugginite e perfino
vecchi fucili da “ex–tirailleur” finirono nelle mani degli uomini del villaggio
che poco a poco, con cautela stavano circondando il grande cespuglio. Quando
saltò fuori la salamandra, più morta che viva dallo spavento; tutti
istintivamente cercarono con lo sguardo il marabù. Ma Pap non c’era già più.
Assieme a Moda si era infilato in una festa dentro una capanna periferica del
villaggio.

Dentro la capanna c’erano i
tappeti stesi al centro della stanza più grande. Gli uomini vi erano tutti
seduti sopra. Un registratore suonava delle cantilene religiose: si stava svolgendo
la festa dell’attribuzione del nome all’ultimo nato di casa. La padrona di casa
non volle in un primo tempo fare entrare Moda, conoscendolo di fama come un
poco di buono.

– È con me! – sentenziò Pap
John.

– Non lo conosco… – ribatté
la donna.

– È Mbaké, il marabù ospite
del vecchio Abdou, l’ho visto stamattina. Intervenne uno degli ospiti.

– Ti prego umilmente di
scusarmi. Non immaginavo che tu fossi…

– Non importa! – troncò il
marabù mentre la padrona di casa si spendeva in mille scuse e salamelecchi.

Moda non osò seguire il
marabù quando lo vide dirigersi verso la stanza delle donne. Stavolta però non
era l’elemento femminile a fare muovere il marabù, bensì l’odore dei bignè che
veniva da quella stanza. Il grande piatto dei bignè troneggiava sul tavolo
basso in mezzo alle donne che si apprestavano a portarlo nella stanza degli
uomini. I bignè avrebbero fatto il loro ingresso di là non appena si fosse
svolta l’attribuzione dei nomi alla minuscola bambina che giaceva in un cesto a
fianco della donna più anziana.

– Che bambina fortunata –
pensò una delle donne – il primo ad attribuirle il nome sarà il marabù venuto
da lontano…

I suoi pensieri si
interruppero quando vide la mano del marabù affondare nel piatto dei bignè e
ritirarla colma di palline fragranti.

Dopo un primo momento di
imbarazzo, un’altra donna tentò una risatina:

– Che simpatico il nostro
marabù!

– Sono uno che sa stare con
la gente, donne! – esclamò Pap. – Sono un marabù moderno – e sorrise
soddisfatto mentre tornava nella stanza degli uomini.

– Prego marabù, accomodati
qui.

Il padre della neonata fece
sedere Pap sulla pelle di capra in mezzo ai tappeti. Delle grida di gioia
accompagnarono l’entrata nella stanza della donna anziana con il cesto della
bambina.

Mentre Pap John si riforniva
di bignè per la seconda volta, gli zii ed il padre della neonata si riunivano
per decidere il nome da darle.

Uno di loro avrebbe poi
soffiato all’orecchio del marabù il nome scelto perché lo attribuisse
ufficialmente alla bambina.

– Pap John – disse il marabù
ad alta voce prima che il consiglio di famiglia avesse finito di discutere – si
chiamerà Pap John.

Ci fu un attimo di panico
tra i parenti; ognuno inseguì per qualche frazione di secondo i suoi pensieri.

– Ma non ha aspettato che
gli dicessimo il nome!

– Perché ha parlato prima di
noi?

– Ma si sarà reso conto che
è una bambina?

– Che brutto nome, poi, Pap
John!

– È un nome da maschio…

– Aiuto! E chi se la vorrà
sposare una che si chiama Pap John?

– Cosa facciamo adesso?

– Non possiamo certo cambiare
il nome adesso che un marabù glielo ha attribuito davanti a tutti.

– Ma siamo sicuri che sappia
quello che fa?

– Be’, se lo ha deciso un
marabù, vuol dire che questo nome viene dall’alto.

– E il via per sgozzare la
capra?

– Adesso quando la sgozziamo,
che il nome lo ha già proferito?

– Che sia un’innovazione
religiosa anche questa?

– Mia moglie mi ha detto che
questo è un marabù moderno.

– Sarà… Così. Viene
dall’alto.

La capra fu comunque
sgozzata e cominciò la distribuzione delle vivande già preparate in attesa che
si cucinasse la bestia.

Gli anziani della famiglia
presero la parola per esprimere la loro soddisfazione per una nascita secondo
le leggi sacre e per auspicare grande felicità e rettitudine alla futura
ragazza. Finché chiesero al marabù di parlare.

– Discepoli miei… – cominciò
Pap John che non sapeva cosa dire.

In quell’istante si udì il
verso del treno la cui linea passava vicino al villaggio.

– Discepoli miei – riprese
inaspettatamente ispirato – dovete sapere che la saggezza ci viene dagli
episodi che la vita ci propone. Tempo fa ero in una stazione ferroviaria. Di
quelle ancora costruite secondo lo stile francese. Roba solida, non so se mi
spiego. In mezzo ai venditori di arachidi, di pane e insalata, di uova sode,
vedo arrivare un signore che si ferma davanti alla coda del botteghino dei
biglietti e si spazientisce. Un altro signore, vestito in giacca e cravatta, lo
avvicina e gli propone di comprare un biglietto senza fare la coda. “Ma io
viaggio solo in prima classe!” risponde il primo un po’ seccato. “Come no! Con
questo biglietto si può anche mangiare gratis sul treno!” ribatte quello in
giacca e cravatta tirando fuori dalla sua tasca un biglietto scaduto che porge
al signore impaziente. Io naturalmente ho capito subito che si trattava di un
biglietto scaduto, ma uno che non ha l’occhio ispirato, facilmente può essere
tratto in inganno. E così è stato per il disgraziato che comprò il biglietto al
signore in giacca e cravatta. Salgo sul mio treno e dopo un po’ chi ti vedo? Il
signore impaziente che prende posto nel mio scompartimento. Il treno parte.
Dopo un po’ arriva la signorina che prende le ordinazioni per il pranzo in
carrozza. “Cosa c’è?” chiede il nostro amico. “Cosa desidera mangiare, signore?
Pollo con patate o pesce con riso mafé?” – “No, no. Portatemi pure tutti e due,
che problema c’è?” – “Come desidera”, e la signorina se ne va un po’ stupita.
Quando sono arrivati i piatti, la signorina gli chiede cosa vuole bere:
“Aranciata?” – “Sì” – “Birra?” –“Sì” – “Vino” – “Sì” – “Caffè” – “Se mi portate
il caffè di Touba, sì grazie”.

– Dopo che il mio compagno
di viaggio ha spazzolato tutto quanto, bibite comprese, la signorina gli dà il
conto. Ma il signore non capisce: “A cosa serve questo?” – “Fanno diecimila
franchi, signore.” – “Ah, ho capito. Ma io non devo pagare, ho un biglietto che
dice che è tutto gratis”. E il disgraziato mostra il suo biglietto scaduto.
Allora la signorina va a chiamare il controllore che appena arriva si rende
conto che il biglietto è scaduto e succede il finimondo. Grida, insulti, pugni
e sputi finché il controllore chiama un certo Alì. Alì arriva nello
scompartimento e lo riempie della sua gigantesca persona, con il volto
sfregiato e dai lineamenti brutti, brutti da fare spavento. Non volendo finire
mangiato crudo da Alì, senza esitare, il signore apre il finestrino e si butta
dal treno.

 

Il marabù aveva finito. Una
soddisfazione da protagonista riempiva il suo animo mentre constatava il
silenzio totale che regnava ora tra gli astanti.

I pensieri più controversi
tornarono ad infestare le menti dei presenti.

– Ma che cos’ha raccontato?

– Cosa c’entra con la
nascita di mia figlia?

– Non ho capito qual è il
consiglio che ci vuole dare.

– Sono rimasto molto
ignorante sulla nostra religione. Non ho capito niente.

– Ma i marabù non davano
consigli su come vivere la propria religiosità?

– Ho capito! Il treno
rappresenta la vita: ognuno deve salire con il biglietto buono!

Quando tutti furono
intimamente convinti dello spessore della parabola di Pap John, uno zio chiese:

– Ma quando questo signore
si è buttato dal treno, che fine ha fatto?

– Io non ho visto più nulla.
La faccia orrenda di Alì aveva riempito la vista di tutti noi.

– E qual è l’insegnamento
che ne dobbiamo trarre?

– Dobbiamo saper riconoscere
un biglietto vero da un biglietto falso – concluse Pap con un tono che indicava
la fine del dibattito.

Vi risparmiamo la serie di
interpretazioni che l’ultima sentenza del marabù suscitò nella famiglia della
neonata. La festa si concluse con una serie di cantilene religiose che facevano
da sottofondo ai mormorii dei parenti mentre il sedicente marabù accuratamente
si preoccupava di non lasciare nulla nei piatti che le donne portavano nella
stanza dei tappeti.

Il sole quella mattina era
leggermente offuscato da una nebbiolina leggera; gli invitati alla festa della
sera prima e i cacciatori del facocero inesistente indugiavano allungati sulle
loro stuoie prima di affrontare la giornata su due gambe. Fu in quel momento
che sulla piazza del villaggio apparve un personaggio bruttissimo, dalla faccia
da pugile, enorme, con due gambe che parevano due colonne egizie e due mani che
sarebbero potute servire da remi per una scialuppa in mezzo alla tempesta. Si
rivolse all’anziano che vendeva il pane e comprò una pagnotta esagerata, la
fece riempire con il contenuto di due scatole di sardine del Marocco e cominciò
a divorarla. Tra un boccone e l’altro finalmente aprì la bocca.

– Sto scercando ‘n scerto
Pap Scion…

I presenti che nel frattempo
si erano radunati attorno al venditore di pane, ci misero un po’ a capire che
il gigantesco personaggio non stava borbottando con sé stesso ma si rivolgeva a
loro.

– Non conoscece ‘n scerto
Pap Scion?…

– Chi stai cercando,
compare? – gli chiese un giovanotto.

– Sto cercando un figlio di
cane che si chiama Pap John – disse la creatura abnorme che nel frattempo aveva
finito di ingozzarsi del suo panino. – Se per caso si trova in questo
villaggio, non vi consiglio di tenerlo nascosto. Cordialmente.

I presenti erano a disagio.

– Davvero non ne abbiamo mai
sentito parlare, compare – disse una donna che era riuscita a conservare la
calma. – Ma perché lo cerchi? Che cosa ha fatto? – aggiunse.

– Sono un impiegato delle
ferrovie. Il tipo che cerco è salito su di un treno, in prima classe,
pretendendo di viaggiare con un biglietto stampato ai tempi dei francesi! E
come se non bastasse voleva pagare con quel biglietto anche tutto il cibo che
ha ingollato durante il viaggio.

– Papà! Papà! Questa è la
storia del marabù di ieri sera! Avevi ragione: quel marabù è proprio in gamba.
Conosce tutte le storie di questo paese.– Disse un bambino a quello che
evidentemente era suo padre.

– Sì, i marabù sono
informati dall’alto. Le cose le sanno senza vederle. Aggiunse un uomo.

preoccupano di vegliare sui
fatti del mondo. E ci proteggono contro i lestofanti.

– Ci insegnano la strada
della verità con i fatti del giorno che loro solo possono sapere!

– Infatti è per quello che
adesso il nostro ospite sta dormendo; è perché di notte si occupa di noi e del
nostro spirito – disse una donna indicando Pap John che smaltiva la sbornia
della sera prima all’ombra di un albero nima.

– Comunque non sta dormendo.
Sta elevandosi verso il Signore Allah e per questo deve tenere gli occhi chiusi
– propose un signore piuttosto anziano.

I commenti sulla perspicacia
e la spiritualità del marabù si susseguirono per un po’.

– Pensate che l’uomo che sto
cercando portava gli stessi vestiti del vostro marabù – disse ad un certo punto
il gigante dirigendosi verso l’albero nima.

– Non lo disturbi, per
carità. Sta parlando con il Signore… Per noi – lo fermò una donna grassa.

– Ma che Signore? – disse la
bestia umana scostando la donna grassa con una grazia insospettata. – Ve ne
racconterò delle belle su questo impostore…

Dopo le spiegazioni del
gigante i commenti dei presenti fioccarono.

– L’avevo capito subito che
non poteva essere un vero marabù.

– Io ho capito che era un
imbroglione perché non si era fatto accompagnare da nessuno.

– Sì, non aveva discepoli.

– Io ve l’avevo detto.

– E adesso mia figlia si
chiama con quel nome orrendo per tutta la vita!

– Te l’avevo detto di non
sgozzare il montone!

– Io ho capito che non era
un marabù quando ci ha mandato a cacciare la salamandra.

– È chiaro! Uno che va in
giro con Moda. Ve l’avevo detto!

Insomma, tutti l’avevano
detto, tranne il marabù che, immerso nei sogni, immaginava di essere sotto una
sontuosa tenda in mezzo al villaggio circondato dai Baye Fall, uomini
importanti, credenti che di solito quando prendono la parola, nessuno può
fiatare. Lui invece parlava. Lui, Pap John parlava e i Baye Fall andavano a
picchiarsi la testa contro i muri, contro gli alberi, piangendo in segno di
devozione. Le lacrime di uno dei Baye Fall andarono addirittura a bagnargli i
capelli.

Quando aprì gli occhi per
l’acqua che Abdou il vecchietto gli stava versando in testa, si accorse di non
essere circondato da Baye Fall, ma da tutti gli abitanti del villaggio. E in
mezzo agli abitanti spiccava la faccia enorme e sfregiata di Alì.

 

 


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