Premessa
Questo
libro contiene le opere vincitrici della II edizione del concorso letterario
per immigrati Eks&Tra. La giuria multietnica composta da docenti
unversitari e scrittori (Graziella Parati, Shirin Ramzanali Fazel, Saidou
Mousssa Ba, Khaled Fouad Allam, Armando Gnisci) ha premiato i seguenti autori:
Prosa
1.
Yousef Wakkas (Siria). Wakkas porta in giro le strutture narrative e
favolistiche orientali e occidentali introducendo pezzi di realtà allucinata
(guerra del Golfo, raccolta del pomodoro nel napoletano) negli interstizi del
racconto. Ma soprattutto imbratta, strapazza, contamina abusa e intacca la
lingua italiana: modo del narrare, sintassi e lessico. Finalmente!
2.
Anty Grah (Costa D’Avorio). Racconta la storia di un’amicizia fra donne in
tempi e paesi diversi e costruisce delle identità femminili in trasformazione.
Sono identità sempre ridefinibili viste attraverso gli occhi di una adolescente
in crescita, che è testimone delle esperienze positive e negative di un’altra
donna.
3.
Modou Gueye (Senegal). Un racconto venato di umorismo dove le strutture della
tradizione narrativa orale permettono di costruire un personaggio che si muove
agilmente come mediatore tra culture: quella del villaggio senegalese, quella
della periferia di Dakar e quella del “profondo Nord” lombardo.
Menzioni:
Mohamad Khalaf, Amor Dekhis, Rosete de Sá.
Poesia
1.
Gezim Hajdari (Albania). La metafora dell’ombra permette alla poesia di Hajdari
di tenere aperto il transito tra l’esilio e la solitudine, il paese dei morti e
la richiesta di comprensione. Il poeta non chiede nulla, egli è sempre lo
straniero e lo spaesato, ma accasa gli uomini e le donne in ogni paese.
2.
Clementina Ammendola Sandra (Argentina). Emigrare “è come far passare un’anima da un corpo all’altro”. Con questi
versi, al cospetto della scienza sociale, la poesia
pone il problema dell’esperienza dell’emigrazione. Così
facendo sottrae senso alla teoria e accresce il senso alla domanda:
“l’identità, la cultura, / la libertà, l’assenza, / con che mezzi si possono
contenere?”.
3.
Gladys Basagoitia Dazza (Perù). L’autrice scrive versi che rispecchiano i suoi
numerosi ruoli: biologa, impiegata, madre, casalinga, poetessa. La poesia
diventa così lo spazio della memoria e il luogo in cui la consapevolezza di una
vita vissuta e degli affetti lontani si alternano nell’atto stesso di scrivere.
Menzioni:
Rosete de Sá, Gabriela Lavinia Ninoiu, Mohamad Khalaf.
È
stato inoltre assegnato un premio speciale alla memoria della giornalista di
Sarajevo Jadranka Hodzic.
***
Serba,
croata, bosniaca? Sono di Sarajevo. È facile tornare, se sai dove. Tutto d’un
tratto capisci che in realtà non appartieni più a nessuno, nemmeno a te stesso.
(Jadranka Hodzic)
Jadranka
Hodzic, giornalista di Radio Sarajevo per vent’anni, da tre profuga in Italia,
non ha retto al crollo dei suoi ideali: una pacifica convivenza tra i popoli
della ex Jugoslavia. Da Sarajevo trasmetteva cronache di vita cosmopolita,
senza distinzione tra etnie e religioni. Ha scelto di morire in riva
all’Adriatico, il mare che la divideva dalla sua città. Jadranka era stanca, voleva riposarsi un
po’; il suo ultimo sguardo è stato per Sarajevo, cercando di immaginare, al di
là dell’orizzonte, una patria che non esiste più. Jadranka era una di noi. Questa antologia è dedicata a lei, alle
sue lotte, alla sua esistenza. Raccogliamo gli insegnamenti che ci ha donato
con la sua vita, che sono guida per l’associazione e per il premio Eks&Tra.
“Incontro
fra culture diverse: quale possibile identità?” è stato il tema della seconda
edizione del concorso letterario per immigrati Eks&Tra.
Un
interrogativo sospeso, che pervade intere esistenze annullate d’un tratto dalla
guerra, dall’odio, da egemonie che invadono le menti fino a contorcerle nella
sofferenza.
Oppure
indica uno scambio, un mettersi in gioco che richiama alla profonda conoscenza
di sé stessi, per capire la diversità che è in ognuno. L’incontro tra culture è
un viaggio nella memoria.
Per
un africano “guardare” l’Europa è un’angoscia spaventosa. In definitiva,
infatti, non si tratta dell’Europa, ma di noi stessi. In che modo potremmo
realmente guardare l’Europa senza esserci prima reimmersi dentro il nostro
antico sguardo sul mondo. (…) Chiederci di raccontare il mondo come fanno i
nostri più grandi griot è prima di tutto chiamarci ad essere noi stessi, a
valutare di conseguenza la nostra cultura, a darle la parola, cosa che nessuna
“indipendenza” ci aveva lasciato finora sperare. Chiederci di raccontare il
mondo significa soprattutto chiamarci a mobilitare la nostra cultura e a
renderla più penetrante come la parola di un griot.
(da
Sguardi venuti da lontano a cura di Alain Le
Pichon e Letizia Caronia, Studi Bompiani).
È
un passaggio dal passato al presente, che modifica, lacera, tormenta ed infine
restituisce l’io più profondo arricchito dalla gioia e dalla sofferenza
dell’incontro, di ogni incontro. Il futuro è tracciato in ogni persona; è
l’accettazione del fatto che nulla potrà essere come prima; è la consapevolezza
che tutto sarà più e insieme meno di
prima.
Un
dilemma, un bivio, una scelta: accogliere o rifiutare il cambiamento, qualunque
esso sia, senza sapere prima quale potrà essere l’esito. È la scommessa che
accetta consciamente o inconsciamente chi emigra, ma anche chi viene a contatto
con l’immigrazione. C’è chi affronta la nuova realtà; c’è invece chi si apparta
e si aliena. E il nuovo orizzonte è l’integrazione; da raggiungere oppure da
fuggire.
“Incontro
fra culture diverse: quale possibile identità?”. Un interrogativo che hanno
raccontato in tanti: uomini e donne di Paesi diversi con culture diverse.
Nonostante differenti radici, un’unica consapevolezza: identità è camminare
nella memoria. Un’emigrazione dentro sé stessi a volte dolorosa, a volte gioiosa,
mai insignificante, così come viene raccontata negli scritti raccolti in questa
antologia.
Identità
diverse, che acquistano un senso solo mettendosi in rapporto le une con le
altre. Come le pietruzze di un mosaico. L’immagine compare solo quando tutti i
tasselli sono a posto.
Così
anche la vita spesso viene trascinata in rivoli indecifrabili, il cui
significato si recupera solo
immergendosi dentro sé stessi.
“La
mia vita mi ha portato a scoprire la mia identità umana,” scrive Yousef Wakkas,
vincitore del primo premio per la narrativa. Wakkas è rinchiuso in carcere.
L’unico modo per uscire dalle pareti della cella è scrivere:
Come
immigrato detenuto identità significa innanzitutto il richiamo al dialogo tra
le diverse culture e poi effettuare un piccolo passo al di fuori del cerchio
soffocante del carcere tramite la scrittura. Adoperarsi per una società
multiculturale all’interno delle carceri non è un’impresa facile, in primo
luogo a causa delle stesse strutture, e poi per la diversità immensa tra Oriente
e Occidente dovuta, in un certo senso, ad un distacco durato per molti secoli,
accompagnato da scontri e da metodi poco ortodossi per cancellare le culture
degli altri. Alla nuova generazione vorrei augurare tanta comprensione verso il
diverso. Solo così potremo accorciare la distanza fra i popoli.
Rimini,
maggio 1996
* Giornalista e
presidente dell’Associazione Eks&Tra, via Covignano 165/b, 47037 Rimini,
tel. 0541/392951-790075, fax 0541/392951.
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