I colori
della cultura italiana

Panorama del
3 ottobre  ’96 ha pubblicato la lettera
di una lettrice che commenta la nomina di Denny Mendez a miss Italia:

Qui ci fanno digerire di tutto, anche una miss
Italia nera. Questa bella ragazza ci rappresenterà nel mondo per un anno
intero, e ci sarà chi, non conoscendo bene la geografia, crederà che le nostre
fanciulle sono color cioccolato.

Lasciando
da parte l’assurdità dell’esistenza di concorsi  di bellezza, la diversità della miss Italia “da digerire”
rappresenta un fenomeno culturale che è utile analizzare poiché ci porta a
rispolverare un passato italiano che viene spesso ignorato. Donna Elvira,
l’autrice della lettera a Panorama, sottolinea il biancore dell’identità
razziale degli italiani che contrasta con l’esperienza di centinaia di migliaia
di italiani che dalla fine del secolo scorso sono emigrati dall’Italia.

La
relatività del colore della pelle come costruzione culturale è evidente nella
storia degli italiani in America che, tra i termini  dispregiativi, hanno avuto anche guinea usato
precedentemente proprio per chi proveniva dall’Africa. Le accuse contro gli
italiani in America all’inizio del secolo sono echeggiate nelle accuse verso
gli immigrati in Italia che vengono rappresentati come portatori di
delinquenza, di malattie, e sfruttatori dei propri connazionali, una pratica
che gli scrittori italo-americani, da Pietro Donato a Helen Barolini raccontano
come una delle pratiche e delle piaghe dell’emigrazione italiana negli Stati
Uniti.

Il
problema quindi non è tanto conoscere la geografia, come afferma Donna Elvira,
ma quella parte della storia italiana che le scuole sono restie a insegnare.
Sembra che Denny Mendez rappresenti simbolicamente quella identità italiana che
mette in discussione ogni tentativo di sotterrare il passato e riproporre il
ridicolo mito dell’arianità italiana.

Ho
appena terminato di insegnare ai miei studenti americani proprio un corso sulla
storia e la letteratura dell’emigrazione italo-americana e i paralleli con la
situazione attuale in Italia sono emersi innumerevoli. Vorrei soffermarmi in
particolare su un fenomeno culturale: la nascita della letteratura
italo-americana.

I
primi testi che emergono negli anni venti (Rosa Cavalleri, Pascal d’Angelo,
Constantine Panunzio) sono testi autobiografici che tentano di costruire
immagini di italiani che distruggono gli stereotipi contro di loro e
rappresentano una mediazione tra la cultura italiana e quella americana. Sono
atti di recupero di una tradizione orale italiana, mitizzazione di un’infanzia
vista attraverso gli occhi della nostalgia, e testi scritti grazie alla
collaborazione con un esperto linguistico che o trascrive la narrazione orale
dell’immigrato come nel caso di Rosa Cavalleri (e ne modifica inevitabilmente
anche il contenuto), o “corregge” le inesattezze linguistiche prima della
pubblicazione. Questi primi testi autobiografici sono alla base di quella che è
ora una letteratura italo-americana in costante espansione che ha acquisito
livelli di complessità stilistica e tematica, ma che è indissolubilmente legata
a quei primi tentativi di autorappresentazione.

Questi
primi passi verso l’acquisizione di una visibilità culturale da parte degli
italiani in America riflettono esattamente i passi iniziali di quella che
possiamo chiamare letteratura italofona o letteratura degli immigrati in
Italia. Iniziata attraverso collaborazioni con scrittori italiani ed esperti di
lingua, questa letteratura sta gradualmente acquisendo nuovi livelli di
complessità e di indipendenza da un controllo dall’esterno. Scrivere se stessi
e raccontare la propria storia vuol dire anche scrivere la Storia
dell’immigrazione in Italia e mettere in evidenza proprio la Storia e le storie
del paese e popolo ospitante. La specularità tra esperienza di emigrazione
italiana e recente immigrazione in Italia offre un’importante chiave di lettura
sia dell’altro che dell’alterità che è inerente ed è parte fondamentale
dell’identità italiana.

I
tre concorsi per scrittori immigrati organizzati dall’associazione Eks&Tra
contribuiscono alla raccolta di materiale che compone la memoria letteraria
della recente immigrazione. I brani inviati cominciano a tessere una trama
consistente di testimonianze sulla vita dell’immigrato che si stanno
gradualmente allontanando da toni prettamente autobiografici. Naturalmente
questo cambiamento non è lineare; già nella prima edizione del concorso, si
distingue il testo non direttamente autobiografico di Tahar Lamri “Solo allora,
sono certo, potrò capire”, centrato su temi e preoccupazioni di una seconda
generazione di immigrati che è divisa tra influenze occidentali assorbite nella
sfera pubblica e tradizioni non-occidentali presenti nel privato. Il vincitore
della sezione prosa del concorso 1997, compie una operazione parallela a quella
di Lamri, narrando un ritorno temporaneo in Africa dopo gli studi in Europa. Il
racconto “Quando attraverserò il fiume”, di Kossi Komla-Ebri è introdotto da
proverbi del suo paese. Questo racconto è linguisticamente ibrido, dato che
all’italiano sono accostate parole in lingua originale, ed è “itinerante” nel
contenuto, dato che il protagonista aggiunge al suo viaggio di ritorno un altro
viaggio all’interno di sé stesso, della propria tradizione, un viaggio guidato
dalla figura del padre. Questa esplorazione del passato è anche un viaggio nel
futuro, come annuncia il titolo, attraverso la nostalgia ed un nuovo
linguaggio. La “Parola è una cosa sacra”, afferma il narratore e descrive le
capacità terapeutiche del linguaggio del suo paese di origine, ma la storia
viene narrata in un diverso contesto linguistico che crea una continuità tra
contesti diversi e funge da mediatore tra culture e tradizioni. La Parola
diventa quindi una potente arma di unione e non-separazione; una unione che può
essere proiettata verso il futuro.

Il
racconto, vincitore del secondo premio, è creato dalla collaborazione tra due
donne, Martha Elvira Patiño e Pilar Saravia che con ironia e originalità
guardano alla realtà dell’emigrazione e al fenomeno della vendita di illusione
a chi è solo e lontano da luoghi familiari. “Lo sportello dei sogni” esprime
però una propria originale filosofia verso chi predice il futuro e truffa i
clienti. In fondo, in quel modo, si acquistano momenti di felicità che rendono
il presente meno drammatico per i molti personaggi di questo racconto che
aggiungono una dimensione corale alla storia della protagonista che si trova
nella posizione di proibire o permettere l’attività di una chiromante,
venditrice di illusioni. Nel racconto “Cronaca di un’amicizia”, pubblicato nel
volume Mosaici d’inchiostro che raccoglie i pezzi selezionati nel
concorso del 1996, Anty Grah crea una protagonista che funge da osservatore, ma
non da giudice, e mediatore tra la vita di una donna, le sue esperienze di
immigrazione, e il lettore. la struttura del racconto di Anty Grah è mantenuta
ed ampliata dalle due autrici Patiño e Saravia che riescono anche ad infondere
umorismo ed ironia nel raccontare storie di immigrazione.

Il
vincitore del terzo premio per la prosa è Jorge Canifa Alves che sceglie di
raccontare in prima persona attraverso la voce di una donna di Capo Verde.
Questo processo di ventriloquizzazione della propria esperienza espressa
attraverso la vita di un altro, o un’altra, era già comparso nei racconti di
Christiana de Caldas Brito (“Ana de Jesus”, 1995), Paul Bakolo Ngoi
(“L’immigrata”, 1995) e Youssef Wakkas (“Io Marokkino con due kappa”, 1995), ma
anche nei libri di Mohsen Melliti e Saidou Moussa Ba. Questo allontanarsi dalla
propria esperienza diretta e mediare la voce di un altro aggiunge un livello di
complessità alle narrazioni di immigrazione. Agua, la protagonista della “Casa
di Acqua” di Jorge Canifa Alves, conta tra i suoi antenati una bisnonna
italiana che spinta alla migrazione dall’Italia aveva “in mente” l’America ma
si fermò a Capo Verde. L’emigrazione di Agua verso l’Italia, anche se pure lei,
come la bisnonna, ha “in mente” l’America, ricalca al contrario i passi della
bisnonna per ritrovarsi proprio dove la bisnonna era partita. Questa struttura
circolare che abbraccia un secolo descrive eloquentemente i cambiamenti
storico-economici di una Italia che è mutata, ma i cui legami con le
conseguenze dell’immigrazione rimangono sempre attuali. La storia del proprio
paese è narrata da Agua parallelamente alla propria storia personale; il
racconto sulla indipendenza coloniale e dittatura si aggiungono alla storia di
Agua bambina e dei suoi sogni che vengono distrutti dai compromessi inevitabili
con la realtà. La narrazione si arricchisce di realismo magico quando anche “la
casa di acqua”, una casetta per i giochi costruitale dal padre, diventa
interlocutrice capace di rispondere alle domande di Agua stessa e di
“dialogare” per risolvere i dubbi della giovane donna. Dopo l’esperienza
dell’abbandono da parte di un uomo senza sogni che la lascia quando è incinta,
Agua parte per l’Italia dove la sua storia, differentemente da molte altre
scritte da immigrati riesce a raggiungere un lieto fine.

Uno
degli aspetti più innovativi che compaiono in questa nuova edizione
dell’antologia legata al concorso Eks&Tra, è il comparire di evidenti
influenze letterarie italiane tra i testi partecipanti. Già il vincitore del
premio per la poesia del ’96, Gezim Hajdari, aveva rivelato echi Ungarettiani
nelle proprie composizioni, quest’anno, Michele Akira Yamashita racconta la sua
doppia identità di giapponese e italiano mettendo le due parti di sé a
confronto in dialogo rifacendosi alle operette morali leopardiane. Premiata
dalla giuria, la scrittura di Yamashita apre anche un nuovo capitolo nella
letteratura italofona che dovrà essere dedicato alle opere della seconda
generazione di immigrati che saranno fautori di complesse ibridizzazioni
culturali tra la cultura del privato e del pubblico.

La
giuria vuol anche segnalare le poesie di Gezim Hajdari che ha generosamente e
fedelmente contribuito al concorso letterario di ogni anno. Il primo premio per
la poesia viene quest’anno assegnato a Rosana Crispim che accomuna alle
meditazioni sul movimento verso l’ignoto di ogni atto di migrazione,
l’importante presenza della tematica di genere e racconta i propri desideri di
donna che trasgredisce dai modelli tradizionali femminili. “Non ho scelta”, la
poesia di Samuel Kalejaiye racconta, come quella della Crispim, l’inevitabile
movimento verso occidente di chi appunto “non ha scelta”, ma sottolinea anche
il desiderio inevitabile del ritorno al passato, al paese che si è lasciato
alle spalle, alla vita del luogo in cui si è nati che diventa mito visto attraverso
l’esperienza dello straniero in occidente. Il terzo premio per la poesia è per
Gustavo Lechini, uruguayano, ma, come ci indica il suo cognome, molto
probabilmente legato all’Italia attraverso una passata emigrazione familiare
dall’Italia all’Uruguay. Sfortunatamente, per Gustavo Lechini l’Italia è
diventata sia luogo del ritorno alle origini familiari che un’ultima tappa
prima della morte. La sua poesia “Rinascerò”, vede la morte come una rinascita,
un volo icarico attraverso l’acutizzazione di ogni senso per dichiarare
l’invincibilità di quella energia eterna in cui si trasformerà dopo la morte
fisica. L’anno scorso, il premio letterario era dedicato a Jadranka Hodzic,
giornalista di Sarajevo, morta suicida sulla spiaggia di Rimini. Quest’anno la
poesia di Lechini ci ripropone il tema della morte che per malattia, violenza,
o suicidio fanno parte della realtà dell’immigrazione sia quella italiana del
passato sia quella verso l’Italia nel presente.

Concludere
l’introduzione a questo volume che raccoglie molti testi, tutti straordinari,
premiati  o meno, vuol dire riaprire il
discorso sulla letteratura di immigrazione verso il futuro sia di altri
concorsi Eks&Tra che di altri romanzi, testimonianze e poesie di immigrati
che spero compariranno sempre più numerosi sugli scaffali delle librerie.
Infatti l’altro, la diversità non è tanto qualcosa da “digerire”, come afferma
Donna Elvira, ma uno specchio a due facce che distrugge la separazione tra un
“noi” e un “loro” ed apre uno spazio comune tra Storia e storie passate e
presenti.

 

 


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