Un tramonto

 

Quando arrivammo a
Sperlonga, la prima cosa che fece Anila fu togliersi le scarpe e correre a
bagnarsi i piedi nel mare. Poi si fermò a guardare a lungo l’infinito.

Intanto io decisi di cercare
un luogo dove stendere gli asciugamani e mettere a riposare i nostri corpi. La
ricerca fu difficile, poiché quasi tutta la spiaggia era privata. Finalmente
trovai un tratto di sabbia libero. Anila, dopo essere uscita dalla sua estasi,
e allontanando lo sguardo dal Mediter-raneo, mi cercò. Le feci un cenno, corse
verso di me con le scarpe in mano e con una luce negli occhi che non le
conoscevo.

 

Ci togliemmo i pochi vestiti
che portavamo, ad eccezione del costume da bagno, e decidemmo di fare subito un
tuffo. Per dieci minuti abbondanti nuotammo e godemmo di quell’acqua fresca e
salata. Cercai di fare degli scherzi infantili ad Anila; le schizzavo d’acqua
il viso o mi im-mergevo a cercare i suoi piedi, ma era inutile “animarla”, era
come distratta.

Quello che più mi stupiva di
lei, quel giorno, era il suo silenzio, poiché da quando la conoscevo la parola
era il suo forte.

Quasi sempre, quando la
incontravo, mi raccontava molte cose:

– Ieri ho passato una buona
serata di lavoro e uno stupendo pomeriggio all’università.

E mi parlava molto della sua
Albania; della famiglia, delle feste, del mangiare. Una volta, mentre facevamo
la fila alla mensa dell’università e ci stavano servendo la pasta, mi disse:

– A volte mi manca molto il
cibo del mio paese.

 

Ma ora era diverso, non
parlava, o meglio senza dire parola mi stava parlando della sua Albania.

 

Dopo il bagno lasciò cadere
il suo bel corpo vestito di mare sopra la sabbia e si addormentò. Rimasi a
contemplare il suo volto giovane ed espressivo. Una ad una, vennero alla mia
mente tutte le cose che sapevo di lei. “Tutto” quello che aveva vissuto dal suo
sbarco in Puglia, tre anni prima. Tentai anche di ricordare i suoi occhi
arrossati e le sue guance bagnate di quella sera in cui mi rivelò che faceva la
professione più antica del mondo.

– In tre anni qui, ho
vissuto molto più che in diciassette in Albania.

Poi con un forte abbraccio
mi fece sentire suo amico.

 

Il sole era diritto sopra la
nostra testa quando Anila si risvegliò bruscamente. Vedendo che la osservavo,
mi regalò un dolce sorriso e si tranquillizzò un poco.

– È ora di mangiare – le
dissi.

Non rispose. Avvicinai i
nostri pranzi e li distribuii su una piccola tovaglia. Per mezz’ora le nostre
bocche furono occupate a divorare un paio di panini, alcune albicocche, un po’
d’acqua e una birra fredda. Dopo mangiato decisi di dormire un po’.

Mi svegliai, una nuvola mi
impediva di vedere la posizione del sole, per cui mi era difficile capire che
ora fosse e quanto avessi dormito. Guardai alla mia destra, c’era solo
l’assenza di Anila.

La cercai con gli occhi.
Giocava con alcuni bambini a costruire casette di sabbia. Uno di loro lottava
cercando di riprodurre la torre di Pisa, un altro diceva che la sua costruzione
era più originale. Anila aveva costruito una piccola villa con un bel giardino
e una piscina salata nel mezzo. Tutti erano molto impegnati nelle loro cose.

La nuvola lasciò in pace il
sole. Scoprii che era tardi, vale a dire che avevo dormito abbastanza. Nel
frattempo Anila si era fatta dei nuovi amichet-ti e aveva costruito la sua
casa.

All’improvviso i bambini
decisero di distruggere la loro opere e di fare un ultimo tuffo in mare. Anila
li imitò, e tornò nuovamente a perdersi nei suoi pensieri.

I bambini andarono a cercare
i loro genitori e io mi misi a fare il tifo per un gabbiano che voleva pescarsi
la cena, dopo tre tentativi l’uccello raggiunse l’obiettivo.

Era un pesce grande color
argento. “Starà a posto per un giorno pensai”, pensai.

Anila mi si avvicinò, si
sgrullò i capelli sul mio viso e di colpo interruppe il suo silenzio:

– Sono belli i gabbiani.

Molto, le risposi.

– Anche il mare è bello, la
spiaggia, i bambini, gli amici.

Poi tacque per un attimo e
guardando il tramonto sul Mediterraneo concluse:

– Ma non sono i miei
gabbiani, né il mio mare, né la mia spiaggia, né i miei bambini, né i miei
amici…

 

 

 

 

 

 

 


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