Naufragio
Apro gli occhi e trovo il
mio volto riflesso nel-l’acqua cristallina e quieta. Ho dormito profon-damente,
ma la stanchezza ancora m’impedisce qualunque movimento, mi sento un peso
morto
Osservo il mio volto sul fondo del mare e rimango stupefatto allo
scoprire una forte luminosità nei miei occhi. Sono ancora pieni di vita. Alzo
lentamente la testa e mi accoglie un orizzonte arancione schizzato di viola, è
un tramonto meraviglioso che mi riempie di gioia e provoca una smorfia che
vuole essere un sorriso. C’è dentro di noi, poveri mortali, una forza
spirituale che va ben al di là del dolore o della volontà. Do-po tanto fuggire
dalla devastazione e poi il naufra-gio nel mare per lunghi giorni, c’è ancora
speran-za nel mio volto solcato da molte amarezze. In questi ultimi vagabondi
giorni nell’oceano ho sentito tutta la fragilità con la quale noi esseri umani
attraversiamo il fiume della vita, ed allo stesso tempo con forza inumana ci
aggrappiamo all’esistenza.
Siamo salvi! Un mare così
quieto è un paradosso rispetto a quello di poche ore fa, che furioso inondava
la nostra barca e sembrava volerci in-ghiottire aiutato da un vento
violentissimo che ci sbatacchiava da un lato all’altro. È stato un vero
combattimento all’ultimo sangue, abbiamo mante-nuto a galla la nostra barca
senza cedere; ero come impazzito e forza di tirare fuori l’acqua che ci
inondava lentamente, l’unica cosa che mi preoccupava e che significava
sopravvivere. Mi sono addormentato esausto quando, poche ore fa, abbiamo avuto
una tregua, e piano piano la tempesta si è placata. Il dondolio della barca mi
ha provocato una tersa sensazione di tranquillità, e l’orizzonte infinito e
maestoso si è quindi portato via i pochi pensieri che riuscivo ancora ad avere.
Dopo l’uragano, è arrivata
fortunatamente la quiete. Silenzio. Tutti i miei compagni dormono, sento
accanto a me il corpo leggero di mio figlio Julio che respira sereno. Anche lui
è esausto. Quanto sono forti i ragazzi e come tante volte riescono a superare
le dure prove alle quali la stupidaggine degli adulti li sottopone! Chissà cosa
il destino gli sta preparando
Mi piacerebbe offrirgli un futuro di pace,
finire con le guerre, ma sfortunatamente l’uomo è più attratto dalla violenza e
dal terrore che non dalla ragione. È una corsa infinita per il potere, per
sottomettere gli uni agli altri e per il possesso, di qualunque cosa si tratti:
terre, animali, metalli, beni
e a qualunque prezzo, anche se per ottenerlo si
debba finire la vita di tanti indifesi.
Ma il tempo trascorre
lentamente, e anche se prova in ogni modo ad allontanare i fatti rimasti
sepolti nel passato, molti di essi rimangono così impressi nelle persone che,
anche se non li vai a cercare, ti compaiono improvvisamente limpidi e freschi,
e si presentano alla memoria con dovizia di particolari. Infatti spesso mi
ritorna in mente, come fosse stato ieri, la causa del nostro fuggire per il
mondo in cerca di un luogo dove approdare. Era una sera cupa, e volavano gli
uccelli di malaugurio quando sono arrivati i nemici che, silenziosi e di
nascosto, hanno distrutto la nostra terra e seminato il terrore. La mia gente
impre-parata all’attacco, letteralmente sorpresa, combat-teva senza forze. È
stata una lunga notte di dispe-razione: nel caos si sono alzate fiamme nelle
strade e nelle case e ovunque lingue di fuoco avvolgevano corpi dolenti che
correvano disperati. Mia moglie era lì, in mezzo a quell’inferno; è stata lei
l’ultima persona che ho visto mentre sfuggivamo all’incendio. Dietro a una
nuvola di fumo, nel vedermi tornare indietro nelle fiamme a riprenderla, mi
urlava disperata di scappare e mettere in salvo il nostro piccolo figlio. Poi,
la sua sagoma si è persa in mezzo al fuoco e dietro ad essa tante altre:
uomini, donne e bambini in preda alla pazzia del dolore oppure ormai arresi di
fronte alla morte.
Fuggimmo così, feriti e
dolenti, io, mio figlio, alcuni amici e mio padre. Se qualcun altro è riuscito
a sopravvivere come noi, sarà uno dei tanti sfollati in giro per il mondo.
Ho perso tante persone care
in quella notte maledetta e mi porto dietro sogni ricorrenti dove vedo
comparire un sole divino dal quale escono i miei amici fraterni, che mi vengono
incontro e, avvolti nell’alone di un fuoco dorato, mi consolano dicendo che ora
stanno bene. Tutti hanno una espressione placida e io mi sento meno in colpa;
c’è fra loro anche mia moglie, che sorridente guarda piena d’amore nostro
figlio. Così mi sveglio sentendo più alleviata la ferita lasciata dal vuoto di
tanti esseri e dalla tremenda sconfitta. Mi piacerebbe pensare che è stato
soltanto un brutto sogno, vorrei dormire in un letto morbido e svegliarmi di
nuovo nella mia casa, in quegli spazi cui già sentivo di appartenere per sempre
e dove ritorno ogni tanto con i pensieri.
Ma oggi è un altro giorno, e
siamo finalmente arrivati in questo paese. Italia, nome tante volte ascoltato,
luogo di gente modesta e sensibile che comprensiva della nostra disperazione ci
riceverà a braccia aperte; la nostra nuova terra, dove forse metteremo radici.
Ma dobbiamo scuoterci di dosso le amarezze, per intraprendere una nuova vita.
Spirito positivo, soprattutto, è quello che dovremo avere per fonderlo coi
nostri corpi sani e pronti a lavorare. E innanzitutto abbiamo con noi un grande
tesoro, la nostra identità e la nobiltà di cuore.
Sento Leonid che mi sussurra
qualcosa, è meglio avvicinarmi a lui.
– Come stai?
– Ah, mi muovo appena
Ma
hai visto che fortuna, la tempesta si è fermata. E che tramonto!
– Ecco, appòggiati a me,
così puoi metterti seduto.
– Mi sento meglio di quel
che pensavo, ho dormito profondamente. Hai visto, siamo vicini alla riva!
È euforico, ha ragione. In
lontananza riesco a intravedere le palme, che prima mi erano sembrate gabbiani
in volo. Leonid mi si avvicina di nuovo all’orecchio:
– Stiamo attenti, non
dobbiamo farci vedere, aiutami a remare verso gli scogli, e poi aspettiamo il
buio scendere a terra.
La notte sarà propizia per
toccare la riva. Penso già al piacere di camminare nella sabbia tiepida e
morbida. È meraviglioso essere ancora vivi, i colori del tramonto contrastano
col prolungato buio pesto della tormenta che ci ha accompagnato per tanti
giorni e sembrava non avere fine. Passano le ore e la luna s’illumina nel cielo
come uno splendido sorriso, la sua luce bagna il volto di Julio, che dorme
ancora indisturbato e tranquillo, con quel suo viso così sereno che sembra un
piccolo dio accovacciato nelle braccia del Sonno. Mi sento molto felice di
averlo vicino, è cresciuto così in fretta diventando un ragazzo serio e curioso.
Io invece, nonostante la mia vita intensa e piena di emozioni, mi sento sempre
uguale, come se il tempo si fosse fermato da quando lui è nato. Vedo alcuni
capelli bianchi nella mia testa, ma dentro di me il cuore e lo spirito sono
sempre irrequieti e giovani.
Respiro profondamente questa
aria calda profumata di sale ed alghe che mi inebria e mi rende tanto felice.
Ah, quante persone perse, andate a vivere nei ricordi e nei sogni, quante
emozioni e lacrime versate
Per fortuna abbiamo ancora l’amore.
Sono passati molti mesi dal
nostro arrivo sulle coste italiane, e l’accoglienza è stata tutt’altro che
facile e cordiale. La prima sera siamo scesi dalla nave e abbiamo mangiato
pesce arrosto, e bevuto del vino. Poi ci siamo nascosti nelle grotte e, appena
riprese le forze, uno degli uomini è andato a controllare com’era la vita nei
dintorni e nella città più vicina. Tutti noi altri siamo rimasti lì nascosti,
provvedendo a trasportare viveri e vestiti con molta cautela. L’attesa di
notizie aveva creato molta insofferenza nei miei compagni, non si poteva
nemmeno tentare uno scherzo che subito qualcuno si offendeva: c’era molta
tensione nel-l’aria, sicuramente sfogavamo il continuo suc-cedersi di pericoli,
gli ultimi durante il naufragio. Stare insieme in uno spazio ristretto, era
diventato complicato. Io, nella funzione di capogruppo, mi sforzavo di
mantenere alto il morale, ma da solo nella notte mi sentivo titubante e in
certi momenti mi venivano meno le forze.
Una sera, quando ero più
sfiduciato che mai per quella sorta di ostilità che percepivo nell’aria, deluso
e afflitto sono andato a dormire. Quella stessa notte ho sognato mio padre
raggiante che, nonostante abitasse ormai il mondo dei morti, mi incitava a
continuare con energia la mia vita, e mi diceva di non cedere davanti agli
ostacoli, di non fermarmi mai perché fra non molto sarei arrivato al traguardo
descritto nel libro della mia vita. Abbiamo allora cominciato a camminare in
una distesa verde, e passeggiando ho visto alcuni amici che mi riconoscevano e
mi salutavano; poi, in mezzo a un bosco in lontananza, ha attirato la mia
attenzione una donna incantevole, vestita di morbidi veli svolazzanti e
celesti, che vagava come in cerca di qualcuno. Era Alizãh, la mia dolce Alizãh!
Ho cercato di correrle incontro ma lei si è volatilizzata d’incanto, ed io mi
sono sentito così commosso che, svegliandomi di scatto, ho trovato i miei occhi
bagnati di pianto. Dopo quella notte, la mia forza d’animo riprese vigore
magicamente.
Un giorno poi, di mattina
presto, finalmente tornò Antonij, il nostro emissario. Lo abbiamo subito
accerchiato per ascoltare le sue notizie; tutti erano di nuovo compatti e
cordiali.
Antonij, il nostro compagno
tanto a lungo atteso, e ci raccontò molte cose interessanti:
– Cari amici, durante questi
lunghi giorni ho osservato come vivono da queste parti, anche se per conoscere
più a fondo le persone del luogo so che sarebbe necessario vivere vicino a loro
più a lungo. Ma ho aguzzato i miei sensi per osservare e percepire il loro modo
di vivere e così ho potuto osservare diverse cose. La vita qui non è semplice
come credevamo, e la gente anche se sta bene, non riesce ad apprezzare quello
che ha; uomini e donne con una casa, un lavoro e nessuna mancanza né di
alimenti né di vestiti, stanno sempre a lagnarsi, vorrebbero avere qualcosa di
più. Tanti sono anche molto impauriti da tutto, dal presente. Credono che il
loro stato di benessere possa essere effimero, che il lavoro all’improvviso
possa mancare, e che l’arrivo di tante persone diverse da loro, li possa
danneggiare; perciò anche se sembrano cordiali, stanno sempre in guardia. Sono
preoccupati anche dalle storie di paesi lontani come il nostro che parlano di
guerre, morti e infamie. E a forza di vivere con tutte queste insicurezze e
paure sono diventati egoisti. Questi nativi, accettano soltanto quegli
stranieri che fanno comodo, gente disposta a fare i lavori che loro ripudiano.
D’altronde, ci sono pure altri stranieri veramente da guardare con orrore,
delinquenti che fanno fortuna trafficando con la miseria della propria gente,
facendosi pagare a caro prezzo il trasporto dei disperati che scappano dalla
propria terra, o riducendo in schiavitù le più giovani fra le loro compagne. Le
autorità dal canto loro, rispetto agli arrivi di gente indeside-rata, cercano
di tranquillizzare la popolazione parlando di chiudere le frontiere e
controllare le coste, ma, in verità, sarebbe un lavoro impossibile e non sanno
che pesci prendere. Tra l’altro, sono ben interessati a faccende più
redditizie; questi gruppi di potere, attraverso la loro amministrazione, si
spartiscono privilegi e controlli su tutto, dalle proprietà delle terre, alla
gestione di piccoli spazi per la vendita. Fra loro vigono regole implicite,
anche non scritte, che non riflettono i veri bisogni della gente e lasciano le
cose così come sono, e tutti ormai si adeguano cercando di cavarne profitti.
Diciamo che una logica molto semplice vige in questa specie di casta di
comando: legami di sangue o d’amicizia, cioè nepotismo. Perciò chiunque sia
senza una tradizione di relazioni o di sangue è trattato come un figlio di
nessuno, un diverso. A maggior ragione, poi, gli stranieri. Inoltre questi,
come potete ben immaginare, sono ancora lontani da un qualsivoglia progetto di
convivenza.
“E camminando per le strade
della città, si capisce anche come alcuni di loro si sono adattati, dividendosi
piccoli territori. Agli angoli delle strade, uomini venuti sicuramente da terre
africane vendono cianfrusaglie, e guai ad altri forestieri che pretendano di entrare
in competi-zione. Un giorno, mentre osservavo curioso della merce esposta per
terra, ho percepito gli sguardi insospettiti del gruppo: mi riconoscevano come
uno straniero, e perciò un potenziale rivale. Nelle campagne c’è una situazione
simile, gente di terre lontane raccoglie frutta e verdura, lavorando molte ore,
il più delle volte mal pagata. Molti nemmeno comunicano con i nativi, non hanno
mai imparato la lingua del posto, e forse nemmeno vogliono saperne niente della
gente che dà loro lavoro, come al di là di un muro di parole, una frontiera
culturale. Per fortuna invece, nei mercati ho visto dell’altro: gruppi di donne
di varie cultu-re, parlare fra di loro in una sorta di nuova lingua comune a
tutte, mentre i loro bambini giocavano e si divertivano fra di loro.
“Infine, è una terra bella e
prodigiosa, piena di risorse naturali e non so quanto gli abitanti se la
meritino.”
– Ecco amici – ha poi
concluso Antonij serio e un tanto melodrammatico. – Questo è ciò che ho visto
coi miei occhi, che è però molto meno di quel che ho percepito con la mia
anima.
Poi Antonij è rimasto
meditabondo, e i compagni gli hanno portato da bere e da mangiare.
Io, mi sono allontanato da
tutti per riflettere: dovevo aspettarmela una situazione così? Definiti-vamente
no, ho anche pensato che il nostro amico avesse un po’ esagerato. Arrivato su
un alto scoglio, davanti al mare, mi sono seduto per deci-dere cosa fare, mi
sentivo impaziente dovevamo uscire al più presto da quel nascondiglio che ci
soffocava. Forse bisognava lottare, imporci con la violenza fino a guadagnare
uno spazio in questo mondo di paure e di egoismi. Ma prima di agire con
aggressività dovevo offrire alla gente del posto l’opportunità di accoglierci
pacificamente. Subito, senza perdere tempo, mi sono messo a scrivere una
lettera ai signori del potere nella quale mi presentavo con il titolo onorifico
che avevo nella mia terra e chiedevo un incontro per poter trasmettere un po’
di quella saggezza che avevo ereditato dai miei antenati, e accennavo anche ad
alcune proposte strategiche per una politica di buona amministrazione. Mi
dilungai anche nelle descrizioni dei motivi che ci avevano spinti fin qui.
Finita le lettera rimasi ancora un po’ sulle rocce. Volevo godermi un po’ di
sole e pensare ai miei progetti futuri. Sentivo anche tante energie positive
che mi guidavano.
Sono rimasto a lungo lì
seduto. Guardavo la schiuma sulla cresta delle onde e all’improvviso ho sentito
l’abbraccio del vento tiepido che spazzava leggermente la sabbia. La brezza
marina mi riportò al pensiero la mia amata Alizãh. L’amore per quella
misteriosa donna mi ha avvolto come per sortilegio, sono rimasto inebriato dal
suo essere, dall’esotico profumo delle sue maniere incantatrici; preziosa
creatura dall’andatura regale, magica oasi nella mia desolazione di tristezze e
malinconie che ha colmato i miei desideri più sublimi e ha donato al mio corpo
una particolare sensualità. Lei, per mia fortuna, ha corrisposto sempre
quest’intenso sentimento che sembrava fosse infinito. Avrei desiderato passare
insieme a lei tutta la mia vita, ma il mio destino non era di lasciarmi
dondolare eternamente nel labirinto dell’amore, altri impegni meno felici mi
attendevano. E a certi comandi del desiderio non si può disobbedire. Dov’era
ormai più il suo sorriso solare, il suo dolce sguardo? Il mio cuore palpitava
felice al suo ricordo. Allora non sapevo ancora che, impazzita dal dolore per
la mia partenza, si era tolta la vita.
Sono sulla collina, vedo mio
figlio raggiante. Per lui e per tutti i miei amici è un giorno di gran festa.
Sto per sposare un’altra donna e ciò in un certo senso sigillerà la pace fra
tutte queste genti, ma quanto abbiamo faticato per arrivare fin qui.
Ho aspettato invano qualche
risposta alla mia lettera. Le notizie giuntemi dicevano che l’uomo più potente
di questi paraggi era d’accordo ad accoglierci in pace, ma che era stato fatto
da parte e messo a tacere da una maggioranza dubitante delle mie origini. La
comandava un giovane forte ed arrogante che si sentiva il diretto erede del potere,
e come risposta ci è arrivato un perentorio invito ad andarcene con esplicite
minacce d’ogni sorta di ostilità contro di noi, persone non gradite. Niente da
fare, bisognava per forza entrare in quella lotta meschina nella quale si
dibattevano spesso gli uomini di queste terre. La pace, sembra-va scritto, la
si doveva ottenere con la violenza. La gente non capirà mai senza sperimentarlo
sulla propria pelle, quanto squallore ed orrore accompa-gnano le vicende
belliche. Le tante guerre fra famiglie, fra diverse etnie e popoli hanno
riempito di orrore la storia del mondo, ma noi mortali siamo troppo meschini e
vulnerabili per riuscire mai a fermare questa pazzia, abbiamo dato inizio a una
lunga battaglia che si è fortunatamente conclusa con la nostra vittoria, anche
se accompa-gnata, come sempre accade, dal tetro spettro della morte.
Sento Leonid, il mio fedele
amico, che mi chiama:
– Enea, cosa indugi ancora?
Lavinia ti aspetta nel palazzo e tutti quanti vogliamo festeggiare.
Ho sognato di nuovo mio
padre Anchise, che mi parlava tra clivi solcati da un fiume dorato ed
orgoglioso mi diceva che sarebbe lì sorta un giorno una meravigliosa città. E
che era mio compito ridare dignità a questa terra.