Eccola di nuovo, puntuale.
Ha raggiunto le mille ombre che, senza nome né storia, scandiscono ogni giorno
i minuti che ci separano dal posto di lavoro, con i loro gesti così
rassicuranti, rapidi ma immobili, uguali a sé stessi.

La sua ombra dialoga qualche
istante con le amiche, si intrattiene, tergiversa, si confonde con loro. Infine
ne emerge, fulgida concreta reale.

Non so quando sia successo,
né se sia il suo o il mio mondo il primo ad aver penetrato l’altro. So, invece,
che non appena incontrata la sua figura pesante sul margine della ciclabile di
lì a poco saranno le otto, “l’impiegato” mi passerà velocemente a sinistra e
dovrò affrettarmi per non perdere il treno.

Lei sale con me e scende con
me; facciamo lo stesso tratto, a volte una di fronte all’altra. Non è per me né
l’ “impiegato” , né la “commessa”, fuggevoli istantanee di luce per compiacere
gli occhi o la mia fantasia  di bambino
che allucina il seno per soddisfarne il bisogno.

Lei no. Lei esiste davvero
anche oltre il cartello “Reggio Emilia” e le scale zozze di segatura della
stazione. Lo so per certo.

Torna dal lavoro.

Lavora di notte e vende il
suo corpo alla Bruciata1. L’ho vista al casello
Modena Nord; il corpo nero e lucido stretto in una retina dorata come un
insaccato, che se vendesse al chilo la toglierebbe dalla strada.

È generosa di ventre e
fianchi come un vacca al pascolo. Immagino i suoi vitelli in un luogo lontano,
affidati alle cure dei nonni o di altri, e privati delle stesse mammelle che
riempiono senza amore bocche ingorde.

E mi torna l’indignazione di
Claudia e il labbro arricciato di schifo sui denti, perché “adesso si lavano
anche nei bagni di GrandEmilia”;2 il massimo sforzo per chi non tollera un
capello o un filo sulla giacca. Per quei milioni di claudie che confondono le
opinioni con i fatti, come quando si giocano certi numeri ed uscendone altri si
ha l’illusione che avremmo potuto azzeccarli con la semplice volontà.

Ed eccola ancora, in orario
per il regionale-delle-diciotto-e-cinquanta. Torno dal lavoro pregustando un
balsamico pediluvio.

Lei, invece, vi si reca.

Ha il viso bianco di cipria
e nel trucco, come nella mitezza dei lineamenti, ricorda vagamente un panda.
Qualcuno getta lo sguardo lontano dalla forzosa e un po’ patetica messa in
piega. Altri si guardano dall’aura di contagiosa sfortuna e cercano posto
altrove. Se non possono fare altri-menti siedono al suo fianco con l’aria
imbarazzata di chi, in ascensore, non può evitare il contatto. Sorrisi di
complice e crudele compassione fra sconosciuti con un occhio alle unghie
d’argento e l’altro alla busta di plastica che le strozza il polso. La busta
bianca, ampolla segreta di chissà quali malèfici influssi e, di certo,
dispensatrice di piaceri diabolici, contiene la retina dorata e pochi effetti
personali; ma non i documenti sottrattile con l’inganno.

Lei, innesto sul tronco
sconosciuto, tace. Non si vergogna nemmeno più. Guarda fuori e attende la
stazione.

Vorrei parlarle, ma non lo
faccio. Nemmeno io lo faccio.

La immagino sui banchi
dell’Università a pavoneggiarsi del privilegio dello studio, mentre sogna per
il figlio che verrà un futuro da ingegnere; e strade, scuole, ponti per il suo
Paese. E immagino che, d’improvviso, si desti dal sonno molle, squassata
dall’amarezza di chi ha faticato per rompere il guscio e scopre che il malleolo
è marcio.

Vigliaccamente, senza
spendere un grammo in faccia, mi limito a sperare che esista per lei un’altra
vita, una seconda occasione da cui le claudie e noi beati dovremmo forse
guardarci, perché il caso non ha memoria.

Note

1 Quartiere fieristico a Modena.

2 Centro commerciale di abnormi proporzioni sito a ridosso
del quartiere  fieristico.


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