La vicina del piano di solitudine

 

L’alba è penetrata nelle tende chiuse

l’allarme di una sveglia risuona

nei silenti meandri del sonno

e la vicina, vicina del secondo piano

nella penombra delle sue palpebre semichiuse

e nel gesto della mano che ferma la suoneria

ritrova di nuovo la mattina.

Dalle cellule della memoria giunge

l’amaro rimasuglio di un sogno

che si dissolve nello spandersi, lento,

della nebulosa massa del torpore

e nell’apparire le linee che si congiungono

nella semplice geometria della realtà:

un libro semiaperto;

una giacca sulla poltrona;

la buia presenza degli armadi… e…

la fretta… fretta…

la fretta del risveglio

nella voce macchinosa della strada

la fretta di un ultimo rotolio

nella goduria degli attimi delle lenzuola

e il mattino…

(che ondeggia nelle pieghe delle tende

come i flutti plumbei delle acque

ai margini di un remoto orizzonte

dove il mare sfocia nel cielo

e la morbida linea di un volo

si cancella dal lento assalto della nebbia)

e il mattino…

le spine gialle del mattino

premono contro le palpebre chiuse

e tra i vapori del sonno

sorge la rotaia di nuovo giorno

cadenzato dalle fermate degli stessi appuntamenti:

il calore della tazza;

delle vesti d’accostare

un po’ d’acqua sulla pelle tirata

dai rivoli asciutti di lacrime

un po’ di colore sulla bocca

raccolta in un broncio

poi, per un istante

il vecchio portone risuona

dell’ultimo eco del rumore dei passi

che si perde nel clamore della strada

e la vicina, vicina del secondo piano,

scompare dietro la curva del viale

tra le pieghe della città.

 

Tra le pieghe della città

l’inverno è sospeso come un magone

i gatti, pigramente

trascinano le loro esistenze per i cortili

i piccioni appaiono di tanto in tanto

nel grigio dei loro voli corti

e il flusso vagante di uomini e macchine

è rappreso nella sua costanza stanca

come se con tutto quest’andirivieni

si giungesse mai a nessun fine.

 

È una piccola linea di colore

ficcata

nell’affollato quadro polveroso dei tram!

Un rilfesso labile che incede sulle vetrine

tra oggetti e cartellini di sconto!

Quell’immagine che scivola accanto agli altri

e sosta un poco

nel ruolo di amica, o parente,

davanti a bicchieri colmi o piatti odorosi.

È la mano il cui ricordo

non è rimasto nella stretta di nessuna mano!

Un’impiegata, serena, tediata

che si vende per una paga mensile

e nei mercati baratta forse un sogno

con tovaglie ricamate e uccelli di cristallo!

È una passante la vicina

la vicina del secondo piano

che ogni giorno, al tramonto, riemerge dalla città

nella curva del viale

il vecchio portone risuona di nuovo

del rumore dei passi, strascicati

grevi dei rimbombi della solitudine

che riaffiora!

 

Le tende sono impregnate di livide ombre della sera

lo schermo acceso del televisore

chiazza la penombra della stanza

di un azzurro alone discontinuo

e la vicina, sul balcone, accanto ai vasi

langue in una molle melanconia

e nel ripasso della giornata

passata nell’usuale lotta

per la sua parte di lavoro, di amore, di amicizia.

Guarda il viale che si riempie di notte

e nel suo pezzo di cielo,

quel riquadro frastagliato dall’assalto disuniforme
di

                                       [palazzi,

attende fiduciosa

il passaggio di una stella cadente

la vicina, vicina del secondo piano

la vicina del piano della solitudine.

 

 

 


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