La letteratura d’immigrazione ossia la forza della parola
Le ali della mia
disperazione
sbattono sulle
pareti di un mondo terribile
il silenzio che
si ripete nella mia dimora
mi uccide
sono il poeta più
triste dei Balcani
nella carne
e nel sangue
di giorno sto con
voi e di notte emigro laggiù
portato da
un’ombra
qualcuno cerca di
cancellare la mia Voce
ma essa sta lì,
dove è stata:
in nessun luogo
e in nessun tempo
appesa al
crepuscolo.
(Gezim
Hajdari)1
Questi versi
esprimono benissimo la lacerazione e il dolore dell’immigrato, sballottato in
pensieri fra il paese di adozione e la terra natia: il poeta albanese Gezim
Hajdari non è fra i vincitori del concorso quest’anno, ma mi pareva lo stesso
doveroso ricordarne le parole in questi giorni in cui proprio nei suoi Balcani
piovono le bombe ostili e muoiono centinaia di innocenti mentre oltre un
milione sono i profughi che errano nei paesi vicini, incerti sul domani. Non
importa sapere chi ha ragione o chi ha torto, i conflitti non sono così
semplici; ma intanto, al linguista che sono, viene la rabbia di sentirsi
impotente a fermare la barbarie
che pure viene presentata come ineluttabile.
Per me rimane assurdo:
Non c’è altra verità
che il dolore,
non c’è altra realtà
che la sofferenza,
dolore e sofferenza
sono
in ogni goccia
d’acqua, in ogni filo d’erba,
in ogni suono di
voce viva,
nel sonno e nella
veglia, nella vita,
prima della vita e
forse anche dopo la vita
(Ivo Andric’)2
La letteratura
purtroppo non ha ancora messo fine ai conflitti bellici, ma intanto uno dei
grandi meriti del concorso Eks&Tra è di superare le barriere etniche e
culturali. Ed era ora, urgentemente, se non vogliamo perdere la dignità umana.
La frase “Quanto è
bello questo paese, peccato che ci siano tanti italiani” è un vecchio cliché
attribuito allo snobismo del turista straniero che vorrebbe trascorrere
indisturbato le proprie vacanze in terra altrui. Gli stranieri amano moltissimo
l’Italia, è vero, ma non altrettanto gli italiani.3
Da una ricerca del
CENSIS risulta, però, che è vero anche il contrario: gli italiani non amano gli
stranieri, almeno quando si tratta di immigrati. Il 48,3% degli italiani
ritiene che una convivenza multietnica sarebbe fonte di conflitto sociale. Cosa
ancora più grave, l’immigrazione viene vista come il quarto problema nazionale
(26,6%), dopo la disoccupazione (63,9%), la mafia (44,7%) e la droga (26,8).
L’immigrato in
quanto diverso viene sempre più visto come un pericolo (
). La diffidenza
deriva in gran parte dagli scarsi contatti fra italiani e stranieri: solo il
22,6% degli immigrati dice di frequentare spesso gli italiani, mentre il 23,5%
denuncia una sostanziale indifferenza e il 33,5% sostiene di non avere mai
alcun rapporto. Ecco perché è dura da combattere l’equazione, sbagliata e
pericolosa, “immigrazione = illegalità e criminalità”.4
L’immigrato è quindi
pericoloso quasi alla pari con la droga, pare proprio incredibile.
I concorsi di
letteratura per immigrati vogliono combattere queste tendenze, perché alla base
sta la ferma convinzione che un mondo multiculturale e plurietnico costituisce
l’unica soluzione ai conflitti sempre più aspri e sempre più numerosi che
dividono la società moderna. Il tema di quest’anno si prestava perfettamente a tale
scopo: Frontiere di parole. Parole oltre i confini. I partecipanti forse non
sono stati eccessivamente numerosi, una cinquantina tra fedeli delle edizioni
scorse e nomi nuovi, alcuni addirittura scrittori esordienti. Ma
complessivamente hanno presentato duecento opere letterarie, provocando più
volte discussioni contrastanti fra i membri della giuria.
Alla domanda se sono
tutti poeti o scrittori nati risponderei risolutamente di no, anche se poi è
molto difficile capire perché scrivono, chi o che cosa li fa scrivere. Ricerche
condotte all’Università di Lovanio (K.U. Leuven) hanno dimostrato che il
movente principale sta nella forte emozione, nello shock provocato
dall’emigrazione stessa. Non è possibile stabilirlo con certezza – non si può
rovesciare la storia – ma è probabile che molti emigrati non avrebbero mai
scritto versi o testi in prosa se fossero rimasti in patria, e se lì avessero
trovato normali possibilità di vita e di lavoro. Fra gli immigrati scrittori
del Belgio, numerosi sono quelli che sono autori di una sola raccolta di poesie
o di novelle. Hanno scritto per sfogare questa carica emotiva che li ha segnati
così profondamente, poi – avvenuta la catarsi – riprendono il trantran della
vita quotidiana, pur sempre difficile per l’immigrato, e tacciono. Il vero
poeta non tace, perché ha qualcosa da dire e sente in sé quest’urgenza di
scrivere per comunicare.
Resta naturalmente
che si deve trattare di poeti veri. L’emigrazione spinge forse a scrivere, ma
naturalmente non basta per essere scrittori: prima o poi bisognerà anche
affrontare il problema della qualità, del livello letterario. Una giuria non ha
l’appannaggio del giudizio infallibile, come nemmeno lo ha la critica
letteraria, ma l’una e l’altra possono dare delle indicazioni preziose. Quest’anno,
per esempio, vi erano più versi meritevoli, ma non è stato assegnato nessun
premio alla sezione poesia, proprio perché la giuria ha stimato che non era
stata raggiunta questa soglia di qualità. E non si trattava di vizi di forma,
ma di scarsa forza poetica.
Un altro merito del
concorso è quello di agevolare la strada che porta al pubblico. L’immigrato
scrittore che ha da dire qualcosa grida la sua esperienza di vita: i suoi
dolori e le sue gioie; ma troppo spesso resta una vox clamantis in deserto, senza
ascolto, senza recettori perché deve superare diffidenze e barriere
linguistiche e culturali ingenti. Ho interrogato in queste settimane più
italiani sui due nomi citati sopra, Hajdari e Andric’. Tutti erano convinti,
come temevo, che fossero dei poeti stranieri tradotti, ed anche dopo le
necessarie spiegazioni avevano difficoltà ad accettare che il primo si
esprimesse ormai normalmente in italiano. Quando ci si chiama Gino Rossi è
logico, ma con nomi come Imed Mehadheb, o Jadelin Mabiala Gangbo, tutti e due
fra i premiati di quest’anno, sembra meno evidente. Ecco perché è estremamente
importante disporre di canali per presentare gli autori più meritevoli al
pubblico dei lettori: la circolazione delle opere vale molto di più che
qualsiasi premio finanziario.
Qual è il messaggio
di questa letteratura? È anzitutto un messaggio di pluralismo culturale.
Studiando dall’estero la storia d’Italia, sono sempre rimasto affascinato dal
famoso detto di Massimo d’Azeglio: “Fatta l’Italia, occorre fare gli italiani”.
I manuali di storia non ci dicono a chi sarebbe spettato tale compito, né a che
punto si è arrivati oggi. Personalmente ho qualche idea solo per quanto
riguarda la diffusione della lingua nazionale in questo secolo e mezzo (o
quasi) di storia italiana, ma qui importa meno. Quale che sia, però, il punto
d’arrivo, con più di un milione e duecentomila immigrati (registrati) oggi la
società italiana è da rifare, e l’osservazione vale per qualsiasi altra società
contemporanea. Nella maggior parte dei paesi viviamo in un mondo plurietnico,
ma con una psicologia ancora decisamente ancorata ai concetti di nazione
ottocenteschi. L’altro c’è, ci tende la mano e con i suoi scritti in italiano
manifesta la voglia di superare gli ostacoli della comunicazione, magari riservando
il proprio idioma per trasmettere emozioni ai propri figli. Lo esprime con
parole molto tenere la poesia seguente:
Altra lingua
Sei giunto al
paese dei tuoi sogni
sorridi
non bastano i
sorrisi
si chiudono le
anime e le porte
accettando la
sfida
fai tua la
estranea melodia
attraversi
frontiere
conservi la
canzone di tua madre
per cantarla ai
tuoi figli
(Gladys
Basagoitia Dazza)5
Di fronte all’invito
dell’altro non basta la tolleranza, bisogna accettare ed accogliere.
L’immigrato lancia un appello che va accolto, e l’immigrato scrittore, o in
genere l’immigrato artista (scultore, pittore, cantante
) è in grado di farlo
con maggior forza, perché usa un linguaggio universale, la lingua dell’arte che
da sempre ha superato le frontiere, e che è forse l’unica ad andare davvero con
le sue forme e con le sue parole oltre i confini.
Note
1 Poeta
albanese, nato nel 1957 a Lushnje e
costretto a lasciare il paese nel
1992. Nel 1996
ha vinto il primo premio al
concorso Eks&Tra e nel 1997 il premio Montale. Per le sue poesie si vedano,
oltre alla presente, le altre antologie curate da R. Sangiorgi e A. Ramberti e
pubblicate dall’editore Fara di Santarcangelo: Le voci dell’arcobaleno (1995);
Mosaici d’inchiostro (1996); Memorie in valigia (1997); e Destini sospesi di
volti in cammino (1998).
2 Poeta e
scrittore jugoslavo di espressione
serba, premio Nobel nel 1961, cit.
nel dossier
“La tragedia del Kosovo” in “Qui
Italia. Mensile d’informazione e cultura della comunità italiana”, anno 6, n.
55 (maggio 1999), p. 1.
3 Non è
soltanto un fenomeno turistico. Qualche
anno fa ho indagato sulla
motivazione che sta
alla base dello studio
dell’italiano all’università e scrissi: “Colpisce poi anche la quasi completa
dissociazione fra paese e popolazione. È l’Italia che attira, richiama,
avvince
non gli italiani. Sono veramente pochissimi gli studenti che
dimostrano interesse per la società italiana, o che vogliono studiare la lingua
per capire la mentalità e gli abitanti del paese” (cfr. S. Vanvolsem, “Motivazioni
e aspettative dello studio dell’italiano all’università”, in B. Barbalato e
M.-R. Blommaert (a cura di), L’italiano nelle Fiandre, Brussels, V.U.B, 1997,
pp. 47-70 [Onderzoek en praktijk in het taalonderwijs. Studiereeks Instituut
voor Taalonderwijs, n. 4]). Da parte di studenti che si accingono a diventare
italianisti è per lo meno sorprendente.
4 I dati e
la citazione provengono dal dossier
“Immigrazione in Italia. Italiani
e stranieri non si
parlano” composto da A.
Evangelisti per “Qui
Italia.
Mensile d’informazione e cultura della comunità italiana”, anno 6, n. 55
(maggio 1999), p. 22.
5
Poetessa nata nel 1935 a Lima (Perù), ma con cittadinanza
italiana, partecipante anche a questa quinta edizione del concorso.