La crocieraTC
"La crociera"

 

Appena vide Alfonso, Aziz
tirò via la chiave dalla apposita casella nel pannello appeso dietro e la pose
dinanzi a sé. Tuttavia, al suo rientro in quell’albergo a una stella, Alfonso non
fece a meno di chiamare a qualche metro di distanza:

“Aziz, la mia chiave!”

“Prego, professore!” Aziz
fece scivolare la chiave sulla superficie di vetro che copriva il banco della
portineria, una specie di scatola cubica. Ci stava dal pomeriggio, a volte
inchinato sul registro a riportare qualche nome d’ospite, e a volte al
centralino per passare alle camere le chiamate che a quell’ora giungevano a
catena, per colpa di quegli studenti, chiacchieroni che non erano altro. Solo
qualche anno prima, egli non avrebbe mai immaginato di dover svolgere
l’attività di portiere e tantomeno con una busta paga misera che includeva
vitto e alloggio. Il suo paese gli aveva promesso il paradiso, al suo ritorno
dopo aver concluso gli studi di ingegneria: invece ecco che, con un colpo
maledetto, il destino lo aveva affogato in un mare bollente di sangue, negli
attentati, negli assassinii quotidiani.

Si trasformò in dolore,
immobilismo, voglia di fuga, quella che avrebbe dovuto essere la grande gioia
del futuro. Quel titolo gelosamente custodito in valigia, piano piano assunse
l’aspetto di un ricordo, di una lettera di un amore finito all’improvviso. E
lui, dopo aver ripetuto per anni quegli stessi gesti, stava lì, adesso, a
eseguirli in modo meccanico e senza sbagliare una virgola. Mentre la sua testa
girava intorno alle ferie che avrebbe goduto tra poco, durante la bassa
stagione, quando gli ospiti erano rari o solo quei pochi permanenti (come il
gruppo di studenti o, appunto, Alfonso) che vi alloggiavano per lunghi periodi,
e all’albergo non occorreva tanto personale.

Troppi pensieri
scombussolavano Aziz. Il problema non era di trovare un’idea originale per come
trascorrere quelle due settimane di riposo, ma di dotarsi di uno spirito forte
per affrontarle nella maniera migliore: avrebbe fatto un salto dai suoi
laggiù, dal momento che non li vedeva da quasi due anni, e poi le ferie
coincidevano con la seconda metà del ramadan e quindi, con la bella
festa conclusiva dell’aid.

“Sì, altro che un salto!
magari!” gli sfuggì a voce alta, l’esclamazione.

“Che hai detto, Aziz?” fece
Alfonso.

“No, niente era solo … scusa
professore,” rispose Aziz un po’ smarrito, ma senza vergognarsi di aver parlato
da solo. Alfonso, che trascorreva il suo soggiorno nell’albergo quando veniva
chiamato a fare le supplenze in una scuola elementare nella periferia di
Firenze, era abbastanza alla mano, non creava imbarazzi. E presto fra i due, si
era stabilito un rapporto di spontanea e amichevole comunicazione. Un po’ per
scherzo, un po’ perché per Aziz uno che insegna è sempre un professore,
continuava a chiamarlo così, come all’inizio della loro conoscenza.

Alfonso sparì nell’ascensore
e subito la mente di Aziz tornò sull’argomento. Si agitò per il solo fatto di
pensare al suo viaggio. “Maledetto aereo,” borbottò. Per un attimo, si
dimenticò che, in quella scatola, stava lavorando, prese la cornetta e digitò
un lungo numero di telefono.

“Sono Aziz!”

“Ooh, caro cugino, come
stai? Stai bene! Fai bene a chiamare, mi fa davvero piacere sentire la tua
voce! Come te la cavi! come te la cavi con la vita laggiù? Perché non sei
venuto a visitarmi? Mi farebbe piacere. Qui a Parigi, tu lo sai, sei sempre mio
ospite …”

Il susseguirsi rapido e
stridulo delle parole, per un attimo, diede ai nervi ad Aziz che, mentre ascoltava
il cugino, si chiese chi diavolo gli avesse suggerito di fare quella
telefonata: “Mah, penso di andare a casa …”

“Davvero, ma sai che
scenderò anch’io, ci voglio passare il resto del digiuno, e naturalmente l’aid!
Allora cerca di fare presto, in modo che ci incontriamo. Fra una settimana
scendo, sai! ho già fatto la prenotazione. Vado in macchina e così prendo la
nave, da Marsiglia. Potevi passare da me, avremmo fatto un bel viaggio sulla
nave. Ma sto scherzando, ci mancherebbe!

Un bel viaggio sulla nave non suonò affatto come uno
scherzo, ma come una salvezza alle orecchie di Aziz che urlò: “Con la nave,
davvero!” Una riflessione istantanea si incise nel suo cervello, disse poi: “Ma
perché no? Potrei anche passare per la Francia! Magari ci vediamo direttamente
lì al porto.”

“Ma come? Non è un po’
scomodo per te, venire fino a Marsiglia per ripartire subito? È un lungo
tragitto. Scusa, non ti conviene l’aereo?”

“No!” tagliò serio Aziz. “Ci
voglio provare! Dammi solo il nome della nave, l’ora di partenza e la data.”

“Mercoledì, non domani,
quello prossimo, alle ore diciotto. Liberté, si chiama la nave.
Questa sì che è un’idea originale!” Si stupì l’altro rassegnan-dosi: “Mi fai
sapere, allora?”

Comunque fosse, l’idea gli
cambiò quell’umore fosco di prima. Subito, quella scatola cubica di portineria
divenne un immenso salotto aperto sul mondo. Dopo aver riposto la cornetta del
telefono, a voce bassa, prese a canticchiare una melodia del suo paese. Ma da
buon extracomunitario, presto, si ricordò di dover farsi stampare quel fottuto
e sgradevole timbro sul passaporto, senza il quale, in alcun modo avrebbe
potuto mettere piede nella patria corazzata degli ex colonizzatori. Stirò
le grosse labbra e serrò i denti. Tuttavia la con-cretizzazione di quella
ipotesi divenne un desi-derio assediante che bruciava tutte le energie del suo
corpo. Non c’era tempo da perdere, e con ottimismo la mattina dopo, si recò in
Piazza Ognissanti, alla sede del consolato francese.

Mentre si arrampicava per le
scale al reparto visti, al primo piano, riconobbe quella sensazione di
insicurezza che l’aveva accompagnato tutte le volte che si presentava alla
questura per motivi di soggiorno, alla sua ambasciata per il rinnovo del
passaporto, o in qualunque altro ufficio che rilascia documenti essenziali, pur
essendosi convinto di disporre di tutte le carte in regola nella cartella che
teneva sotto braccio. In situazioni del genere, puoi venire seccatamente
respinto e ti trovi nei guai fino al collo.
Si fermò a qualche metro dallo
sportello che era assediato da gente con motivazioni simili alle sue. Le
conversazioni ininterrotte ricordavano un pollaio chiuso e stretto, tutti
sussurravano, non parlavano. Aziz si guardò intorno e vide molte facce, diverse
fra loro: ma qualcosa in comune appariva su tutte quante, erano tese. Per un
attimo credette di vedere sé stesso nello specchio. Notò mani che afferravano
fogli e passaporti di ogni tipo, in quel carosello di cittadinanze di tutto il
mondo capì solo che la prevalenza di maghrebini era evidente. Si fece varco per
raggiungere lo sportello, quasi a colpi di gomitate. La saliva appiccicosa, gli
rendeva amara la bocca.

“Vorrei chiedere un visto,
un visto di …”

“Cittadinanza?” Gli troncò
la frase, la funzionaria da dietro lo sportello. Era di media età, ma elegante
e snella. Tratti fini e piacevoli le definivano il viso, proprio come quel tipo
che gli algerini avevano come immagine di una donna francese di classe.

Aziz, interrotto, aprì bene
gli occhi e la guardò, un po’ sbigottito. Avrebbe voluto specificare che si
trattava di un visto di transito:

“Sono algerino,” disse
soltanto e spinse il pas-saporto nella buca dello sportello.

Lei senza sfogliarlo, si
affrettò:

“Passaporto e permesso di
soggiorno validi almeno sei mesi, visto di reingresso, busta paga o una lettera
del suo datore di lavoro se è lavoratore dipendente, certificato accademico se
è studente, biglietto aereo di andata e ritorno, prenotazione dell’albergo o un
invito di una persona residente, due foto tessera.” Elencò meccanicamente tutto
d’un fiato, diede un’occhiata al documento: “Ma lei è algerino … un momento!”
Chiamò un col-lega giovane, e dopo avergli dato qualche indi-cazione, delegò la
pratica a lui.

“Lei è algerino, dunque ci
vogliono altre formalità,” disse il funzionario giovane. “Bisogna che facciamo
un’inchiesta presso la nostra ambasciata nel suo paese. Risulta che è studente,
lei!”

Aziz disse di avere finito
gli studi, e che il passaporto gli era stato rilasciato quando fre-quentava
ancora l’università. Fece vedere un foglio di lavoro. Riprese lo spirito per
spiegare meglio la sua vicenda: “Vorrei solo un visto di transito, devo
prendere la nave da Marsiglia. Non passerò neanche una notte in Francia. E
vorrei soprattutto sapere quanto tempo ci vuole, perché conto di viaggiare entro
una settimana.”

“D’accordo, tuttavia
dobbiamo fare quest’inchie-sta, lei sa di quanto sta succedendo nel suo paese.
È stato assassinato un altro francese … la notizia è di stamani.”

“Mi dispiace!” fece Aziz
sottovoce, stringendosi fra le sue spalle magre, riuscì appena a pro-nunciare:
“E quanto ci vorrà?”

Il giovane notò
l’espressione di amarezza nel richiedente e si fece tenero: “Purtroppo non
pos-siamo fare altrimenti. Manderò un telegramma, appena si ha la risposta,
avrà il suo visto.”

“Devo viaggiare la settimana
prossima … c’è poco tempo!”

“Con un telegramma avremo la
risposta subito, in uno due giorni, vedrà,” disse il francese e concluse:
“Poiché si tratta di un visto di transito, ci vuole il titolo di viaggio dalla
Francia verso il suo paese. Nessun invito. Nessuna prenotazione d’albergo.” Gli
diede il formulario, una domanda prestampata, e un altro foglio in cui erano
elencate tutte le condizioni per il visto, e, con una croce, contrassegnate
quelle richieste a Aziz.

“Potrei riempirlo ora, ho già
tutti i documenti, manca solo il biglietto, lo porterò dopo, se non le
dispiace?”

Il funzionario acconsentì.
Aziz si ritirò indietro con la carta in mano. C’era un unico tavolo in
quell’angusto spazio, occupatissimo da altre persone. Aziz riuscì a liberarsi
uno spazio su una specie di mensola, appesa lungo il muro. Frettolosamente
riempì il formulario con una calligrafia da medico.

Dunque, tutti i requisiti
imposti dalla Francia, Aziz li possedeva e uscì contento. La piazza che lo
accolse all’improvviso sembrava aprirsi così spaziosa su ogni lato! Camminò
passando accanto alla pattuglia dei carabinieri con un sorriso che gli stirava
le labbra carnose. Accelerò il passo esattamente come un cittadino indaffarato
verso il centro della città, in cerca di agenzie. Visitò tutte quelle che gli
vennero in mente in quel momento, ma nessuna vendeva biglietti per la rotta che
chiedeva.

“Qualche possibilità ci deve
essere!” disse a sé stesso, e affrettando il passo, ritornò di nuovo al
consolato: “I francesi mi daranno informazioni esatte.”

“Guardi, non ho idea,
davvero.” Per un attimo, lo deluse lo stesso giovane funzionario. “Ma provi a
informarsi all’Air France. Sicuramente sapranno indicare una soluzione.”

Finalmente l’Air France lo
mandò al posto giusto, dove si vendevano biglietti per navi in partenza dalla
Francia, anche verso il suo paese. Era un’agenzia piccola nascosta nei piani
superiori di un grosso palazzo.

“Ma prenotiamo soltanto per
la Liberté, che fa due volte al mese Marsiglia/Algeri e viceversa. Disse
la ragazza dietro la scrivania, con occhi neri, un taglio dei capelli alla garçon.

“È quella che parte il
mercoledì alle diciotto?

Ella puntò gli occhi su un
opuscolo, ci mise circa un minuto prima di pronunciarsi: “Sì, è praticamente
fra una settimana, la prossima partenza è da Marsiglia.”

In un batter di ciglio gli
sembrò di aver già percorso metà della strada. Cominciò ad immaginarsi una nave
bianca che solcava la superficie piana e azzurra del Mediterraneo. Vide
l’arrivo, e in compagnia del cugino in macchina, si vide attraversare monti e
pianure, campagne e città nei colori accesi del suo paese. Una sorta di amnesia
benefica rimosse le preoccupazioni: gli imprevisti gruppi armati con i loro
blocchi stradali falsi diffusi, qua e là, sul percorso che conduceva a casa
sua; qualche probabile minaccia; lui, come un libro scritto da penne libere,
come il trucco nitido di una donna, come il germoglio primaverile di una rosa,
lui che era segnato studente ancora sul documento, e viveva sulla terra del
satana occidentale, portava pelle nociva, da smacchiare. Con la sciabola che
impiegano per negare la vita perfino agli allievi, nelle scuole elementari. A
tutto ciò egli non pensava, soltanto traboccò di gioia ed ebbe gli occhi
scintillanti.

“Vorrei un’andata e ritorno
sulla stessa nave. L’andata per mercoledì prossimo, il ritorno due settimane
dopo.”

La ragazza girò il monitor
del computer verso di sé e prese a digitare: “Vediamo se c’è un posto!”

La frase della ragazza
giunse all’udito di Aziz come un razzo pieno di incertezze, una sorte che
poteva compromettere la sua impresa sul nascere. Si mise a guardarla impaziente
e con le dita a battere discretamente sulla cartella.

“Ci sono solo posti a sedere
…”

“Non importa!” Aziz la
interruppe, sospirando con ritegno.

Importava solo di poter
prendere quella nave. Con il biglietto pronto in mano, bastava aspettare la
benedetta risposta. Sia positiva! Infilò il titolo di viaggio nella sua
cartella e per la terza volta si fece vivo in consolato.

La sera non mancò di
richiamare il cugino:

“È fatta al novanta per
cento. Appena avranno il verdetto da Algeri, avrò il visto. Hanno detto in uno
due giorni.”

“Quale verdetto? Algeri che
c’entra?”

“Dalla loro ambasciata,
laggiù. Insomma fanno un’inchiesta su di me. Che non debbo risultare un
fondamentalo-integralo-terrorista o fondamentalisto-integralisto-terrorista. In
alcun modo devo risultare portatore di uno dei tre elementi, come ho capito io
…” Aziz udì una lun-ga serie di risate all’altro capo del filo.

“Speriamo che sia vero, uno,
due giorni …”

“Ma sono francesi, non credo
che dicano bugie. Non c’è motivo. Quindi avrò il tempo di fare le mie cose.”

“Insciallah!”

Quella sera, dentro la
portineria, Aziz andava svelto dietro al lavoro. Gestiva le chiamate e con
slancio distribuiva le chiavi sempre con un sorriso amichevole alla gente.
Quando rientrò Alfonso, gli lanciò un grido di saluto.

“Ti vedo bene oggi,” si
meravigliò Alfonso.

“Qualche volta la vita è
bella,” disse Aziz. “Vado a casa mia! mercoledì prossimo, anzi martedì, perché
passo dalla Francia.”

“Aah, ecco perché ti vedo
cambiato stasera. Sei contento, allora?”

Aziz tirò verso l’alto le
sue sopracciglia, schiacciando la fronte: “Ma faccio il viaggio in due tempi.
Passerò una notte in treno, il giorno dopo prendo la nave per 24 ore. Sarà un
po’ lungo, ma un viaggio sa sempre di qualcosa di piacevole.” Il telefono lo
interruppe. Con una mano tenne la cornetta all’orecchio e con l’altra digitò un
numero. Poi disse: “Buona notte professore!” quando questi stava per sparire
nell’ascensore.

Nel momento in cui
incominciarono a diventare rari gli squilli del telefono, Aziz si dedicò al
quotidiano di quella giornata. Lesse in modo dettagliato la mappa meteorologica
che riguardava i giorni successivi. In un mese come febbraio era difficile che
le notizie promettessero così presto un bel tempo durante il suo viaggio: “Sarà
una bella crociera, sotto un bel sole? Perché no?” pensò. “Da dopo domani andrò
al consolato a vedere del visto, e se non è pronto, non è grave, ci saranno
ancora i giorni di riserva.”

Fiducioso, Aziz preferì
occuparsene all’ultimo momento. Stabilì un elenco complesso di cose da
comprare, come regali per i suoi, per i parenti e per gli amici. Per due
pomeriggi consecutivi andò di corsa in giro per i negozi. Viveva in quell’umore
colmo di particolari emozioni, ed il tempo scivolò come una freccia.

“Buongiorno, ho fatto la
richiesta di visto alcuni giorni fa, sono Aziz Benmensour, algerino di
cittadinanza …” disse Aziz al telefono, a due giorni dalla partenza.

“Non è ancora pronto.”

“Ma … mi è stato detto in
due giorni … non sarà per qualche altra ragione?”

“No, ma non possiamo
rilasciare il visto prima di avere l’esito dell’inchiesta da parte della nostra
ambasciata nel suo paese.”

A queste parole Aziz
riattaccò. Disorientato e perplesso in quel frangente non fu capace di fare
ulteriori domande. Rimase sconcertato sulla sua sedia, a battere con le dita
sull’apparecchio del centralino telefonico. Il suo ottimismo gli impose allora
di non lasciarsi scoraggiare per la risposta negativa. Di nuovo, compose il
numero del consolato.

“Buongiorno, ho chiamato
poco fa, per il visto, sono Aziz Benmensour. Mi avevate detto che entro due
giorni sarebbe stato pronto …”

“Non è pronto, non abbiamo
…” lo interruppe la stessa voce di prima che venne a sua volta interrotta con
decisione.

“Mi avevate detto che la
risposta sarebbe arrivata entro due giorni, sono cinque giorni, invece, da
quando ho fatto la richiesta. La mia prenotazione è fra due giorni, ho bisogno
del visto al più tardi domani mattina.

“Senta, signore, purtroppo
non abbiamo avuto nessuna risposta da laggiù. Aspetti un momento.” Seguì una
musica di attesa. “Pronto, infatti, abbiamo fatto un telegramma. Ora ne manderò
un altro, penso che avremo presto la risposta. Provi a passare domani in tarda
mattinata.”

“La ringrazio.”

Mentre riponeva la cornetta,
pensò: “I giorni di riserva che potevano essere utili, non ho saputo
sfruttarli. Avrei dovuto incominciare a sollecitare un paio di giorni prima.”

Non si rese conto di come
avesse finito il suo turno di lavoro, e come avesse percorso l’intera città,
camminando. Quando penetrò nell’entrata dell’albergo, con le gambe a pezzi,
nella portineria, oltre al collega che l’aveva sostituito, c’era anche Alfonso
appoggiato dal lato esterno. I due gridarono un forte: “Ehh!”

“Così hai proprio deciso di
fare sul serio,” fece Alfonso.

Aziz scosse la testa e
incominciò a essere insicuro riguardo ai suoi progetti: “Devo fare una
telefonata e ritorno.”

“Vieni giù in mensa!” fece
Alfonso.

Aziz prese l’ascensore per
la sua stanza. Guardò le buste dei regali disordinatamente ammucchiate vicino
il letto. Un colpo disinvolto del piede chiuse la porta sbattendola. Prese il
telefono e sentì un peso grigio invadere la sua anima, mai come in quel giorno,
da quando s’era appassionato alla sua impresa fantasticando sulla nave bianca.
La chiamata, che incominciò ad assomigliare a un’ossessione, aveva la solita
destinazione. Al cugino raccontò le novità con un tono depresso.

“Te aspetti fino a domani,
se no, prendi l’aereo, no?” Suggerì il cugino.

“Già, quasi ho scartato
questa possibilità. È perché avrei voluto viaggiare tranquillo, nella nave, non
mi piace volare. Ora chissà se troverò un posto.”

“Ma stai scherzando! Con il
troiaio che hanno scatenato quei camicioni lunghi, gli aerei ci vanno vuoti!”
fece il cugino ridendo: “Ma scusa, allora dimmi, non ti piace proprio volare?”

“Mi mette angoscia!” fece
Aziz sottovoce.

“Che io sappia, tu hai
volato varie volte. Ma quante volte hai preso l’aereo?” fece il cugino ora più
serio.

“Per varie volte, in termini
di voli singoli, non viaggi, 25, 30 volte!”

Il cugino scoppiò in
un’altra risata: “Dovresti essere abituato, e poi vai in vacanza, a vedere la
madre, il padre, tutta la famiglia, i parenti. Mangerai i nostri buoni piatti,
vedrai il paese, ehhh. Dai tirati un po’ su!”

Aziz sentì indebolire i suoi
nervi, nel seguire il ragionamento dell’altro, sostenuto da risate incuranti.
Un improvviso caldo gli coprì il capo. Il cervello sembrava svuotarsi della sua
sostanza. Per poco non faceva il patto con il padre di tutti i diavoli,
tagliando la comunicazione e richiudendo nel cassetto il progetto. Proseguì
invece dicendo: “Certo, certo,” ad ogni frase del cugino.

Conclusa la telefonata, si
lasciò cadere sul letto, e ci rimase per alcuni minuti prima di uscire dalla
stanza. Avvertendo una ripresa di forze nelle gambe, si dimenticò
dell’ascensore, e scese le scale di tutti i piani, fino a quello sotterraneo.

Quando entrò nella mensa
dell’albergo, vide Alfonso occupare un tavolo da solo, e in disparte il solito
gruppetto di studenti che mangiava bisticciando. La bassa stagione si spiegava
nel vuoto evidente della sala. Prima di fare quell’inesistente fila, con il
vassoio, Aziz si accomodò al tavolo di Alfonso, e chiese: “Che menù c’è?”

Alfonso indicò il piatto
dinanzi a sé, la bocca piena: “Cosa vuoi che ci sia! soliti piatti, pasta al
pomodoro, al sugo, al burro, pollo arrosto … c’è la solita minestra. Non vedi?”

Aziz sorrise e si alzò a
prendere la sua cena. Subito dopo aver cosparso di parmigiano la pasta al
pomodoro, incominciò a mangiare e non disse una parola finché non ebbe ripulito
il piatto. Alzò la testa e si accorse che Alfonso lo guardava con profondo
stupore. Aziz fece una smorfia di incomprensione.

“So che mangi veloce, ma oggi
hai tirato la quinta! Fa male mangiare in questa maniera.”

“Sto divorando, non
mangiando.” Aziz respirò. Rallentò il ritmo poi per il consumo del cibo
restante. “Questo mio viaggio comincia a diventare una storia fastidiosa. E
raccontò la faccenda del visto e dell’indicibile inchiesta che non si
concludeva.”

“Già l’Algeria è un altro
paese, delle volte penso che non sia ancora indipendente, che sia ancora della
Francia, eppure so molto bene che c’è stata una grande rivolta popolare per
l’indipendenza. Ma dei rapporti particolari continuano a legare i due paesi.
Siete indipendenti per così dire?”

“Noi siamo un’altra
nazione.”

“Ma non mi dire che non c’è
una via dall’Italia,” fece Alfonso, “una nave, un aereo, già perché non prendi
l’aereo?”

“Mi fa orrore,” disse Aziz
senza mezzi termini. “Prima di viaggiare in aereo, mi ci vuole proprio un sacco
di coraggio, e perdo sempre un paio di chili. Avrei voluto che ci fosse una
nave … un treno, mi sento più sicuro con i piedi per terra. Avrebbero dovuto
mettere una nave dall’Italia.”

“Non è mica più sicura la
nave!”

“Per me è così.”

“Sei sempre andato dalla
Francia, non hai mai volato?”

“Per l’esattezza trenta
volte. Come ti dicevo, mi ci vuole molto coraggio, ed io non sono disposto a
sopportare questo male ogni volta che viaggio. Vorrei una volta tanto viaggiare
con la pace nell’anima!!!” Si prese una breve pausa di respiro: “Sai,
all’inizio, non avevo nessuna paura dell’aereo, questa è cominciata più tardi
durante un mio ritorno dall’Algeria. La paura si è estesa poi anche alle andate
da qui, ed è cresciuta sempre di più fino a diventare un vero terrore.”

“Ho capito,” Alfonso annuì.

“Ora c’è questa storia del
visto. Uno che vive lontano da casa sua, non ha il diritto a questi capricci,
alle paure … Vediamo domani cosa mi riserva.” E Aziz cominciò di colpo a
scatenarsi: “Sai che una volta potevamo andare quasi in tutti i paesi
dell’Europa, senza problemi. Poi ci hanno chiesto un visto dopo l’altro e i
francesi ora lo mettono doppiamente. Questo sì che è un muro! Ti dico una cosa,
ora mi pento di non essere stato triste quando venne abbattuto il muro di
Berlino. Molti di coloro che ne fecero una festa, dico i potenti, hanno pensato
di fare bene, a mettere nel recinto una buona parte del mondo. Anche il muro
dei timbri umilia l’umanità.”

“Eh, siamo in una fase di
cambiamento, di disorientamento totale dopo che si è perso l’equilibrio dei due
blocchi. Pure da voi è esplosa questa guerra civile che non vuol finire.”

“È tutta colpa di quei
barbuti … qualcuno la chiama guerra civile, qualcun altro, lotta per il potere.
Il governo qualifica gli integralisti come terroristi (e non sbaglia), mentre
la loro esistenza sotto sotto gli fa comodo, per mantenersi al potere. Loro
invece la chiamano rivolta popolare. Popolare con il cavolo, con gli assassinii
anche di chi solo respira diversamente da loro.”

Alfonso aguzzò gli occhi,
facendosi molto serio. “Insomma, cerco di capire. Sorrise con molta modestia e
si versò un po’ di Gallo Nero nel bicchiere. Oggi non ti invito a bere, sei già
ben partito.”

“Come algerino ho già
parlato troppo. Sai, abbiamo la lingua un po’ rigida noi altri,” disse Aziz.

Con quell’umore gli bastò il
primo per cacciare la fame. Ma di tanto in tanto ingoiava un pezzo del cibo
restante. Succhiò il suo labbro inferiore e aggiunse: “Quest’argomento mi
riscalda. Vedi un po’, perfino quelli che chiamiamo fratelli, intendo dire
certi arabi, ci hanno sbattuto in faccia le porte del loro confine. Invece
della solidarietà, non smettono di divertirsi sul nostro conto, scrivendo e
parlando male. Adesso credono di essere migliori e si dimenticano che da loro
esiste ancora la schiavitù.”

Bevve una sorsata d’acqua,
succhiò il labbro inferiore ancora e abbassò la voce: “Una volta ce l’avevo con
i francesi, lo so che ogni francese è diverso dall’altro, ma messi tutti
insieme, li odiavo. Esattamente come mi è stato insegnato. Per la verità non
ero obbediente, ma incosciente. Se mi danno il visto o no, quella è un’altra
cosa, ora sono diverso. Mi hanno fatto cambiare idea quelle bestie, i nostri.
Vedi cosa hanno seminato? Pretendono di fare giustizia e uccidono gli
innocenti. E per poco non prendevano il potere. Figuriamoci, che stato
avrebbero instaurato?”

Si zittì un po’ (Alfonso non
intervenne) e, con lo sguardo verso una direzione ignota che si imbatté nella
sua propria mimica rinchiusa dentro una cella triangolare, aggiunse, “… paura
di volare, il muro di timbri, il bagno di sangue che inonda il mio paese, a che
cosa devo pensare!?”

Alfonso, il bicchiere in
mano, seguì con stupore le ultime parole. Ad un tratto disse sorridendo:
“Senti, perché non chiedi la cittadinanza italiana, e la fai finita con quel
mondo di violenze?”

Aziz esitò per qualche
istante, non seppe come formulare la sua risposta e poi con lentezza, disse:
“Anche Zeroual, quel povero capo, vorrebbe fare il presidente in un altro
paese, dove la gente è tranquilla. Lo dice qualcuno, certo non io.” Mandò
inutilmente in bocca un pezzo di pane e velocemente prese a masticarlo. “Hai
ragione professore, è vero che non stai per niente fra le stelle, quando ti
viene stroncato un viaggio.” Respirò masticando. “Di certo, anche l’Italia ha
preso una fetta del mio cuore. Ma non è il caso di abbandonarlo nel momento in
cui viene aggredito, il proprio paese.”

Alfonso sorrise: “Io bevo e
tu ti ubriachi … cin cin!” Alzò il bicchiere riempito a metà di chianti.

Aziz con il suo pieno
d’acqua provocò un suono secco al contatto fra i vetri.

“Scusa, Alfonso, se ti ho
annoiato stasera!”

“È la prima volta che mi
chiami con il mio nome,” osservò Alfonso prima di aggiungere: “Non ti
preoccupare, ti conosco, non mi hai annoiato affatto. E adesso non ci pensare,
fino a domani tutto può cambiare.”

Il giorno che seguì, un po’
prima della sua chiusura, Aziz si presentò al consolato. Si disegnò un’espressione
di profonda rassegnazione sulla sua faccia. Aspettò finché non venne la persona
alla quale aveva fatto la richiesta.

“Purtroppo non abbiamo avuto
niente. Abbiamo spedito un altro telegramma ieri, dopo la sua chiamata.” Si
ricordò il giovane addetto.

“Allora, non serve più. Mi
renda il passaporto.”

“Mi dispiace!” Il francese
diede il passaporto con gli altri fogli attraverso la buca dello sportello, con
un’espressione quasi come per scusarsi. Aziz arretrò, ma venne fermato da un
uomo sulla cinquantina che prima chiese una penna e poi pregò di essere aiutato
nel riempire la domanda prestampata. L’uomo era del Marocco e, dal suo permesso
di soggiorno, si deduceva che era un operaio e viveva da molti anni in Italia.
Aziz finì per riempire il formulario anche ad altri due uomini, sempre della
stessa provenienza e generazione del primo.

Lasciandosi dietro il
portone della palazzina francese, Aziz si diresse verso il fiume, strisciando
stretto sul marciapiede della piazza che cambiò volto. I due grossi alberghi
intorno, lo schiacciavano di lusso prepotente. Accelerò il passo come per
sfuggire a quella tetra area. Seguì il Lungarno e voltò a destra nella
direzione che portava allo spazioso parco. Rallentò il passo dopo aver
attraversato la strada che si univa al ponte. Si distanziò dal traffico e
dall’odore di benzina cercando un contatto diretto con la natura. Ora procedeva
con lentezza da passeggiata. Le finestre delle abitazioni, dall’altra riva
dell’Arno, rispecchiavano a intermittenza i raggi del sole e confondevano la
vista. Si fermò al di sopra del fiume che scorreva rassegnato in un silenzio
triste. Vicino all’acqua una coppia camminava sul terreno coperto in vari punti
d’erba che si asciugava dall’umido. L’uomo fumava e la donna gli teneva il braccio.
Dopo alcuni minuti di contemplazione Aziz fece rotta indietro. La giornata era
di una rara limpidezza in quel periodo invernale. La luce disegnava con
nettezza le case ocra, e i cipressi che spuntavano dietro di esse in parte, e
nell’altra sfumava la città di un velo azzurro come un vestito trasparente di
donna. Aziz lanciò la vista lungo la prospettiva di palazzi che fiancheggiavano
il fiume.

“È come passeggiare in un
acquerello!” disse.

 

 

 


Scarica il racconto