Frontiere

 

Domandarono a Socrate di
dove fosse. Non rispose: ‘Di Atene’, ma ‘del Mondo’. Lui… abbracciava
l’universo come la sua città, estendeva le sue conoscenze, la sua solidarietà e
i suoi affetti a tutto il genere umano, non come noi che guardiamo soltanto il
nostro ombelico.

(Montaigne, Saggi, I, 3)

 

Era una sera triste e cupa
di febbraio ed in quella grande stazione piantata nel bel mezzo della capitale,
stranamente, per una frazione di secondo, i miei pensieri avevano cessato di
vagare.

Vivevo quell’istante in una
maniera quasi assente, da spettatore impotente, non sapendo se soffrivo o meno,
non pensando a quello che lasciavo alle spalle e neanche alle probabili future
tappe della mia esistenza. Le parole volavano, lasciando una scia di vapore
nell’aria gelida, cariche di promesse e auguri e nello stesso tempo vuote e
patetiche, come qualsiasi saluto di chi non sa quali porte gli si apriranno e,
tanto meno, cosa si nasconderà dietro.

Un fischio, un ultimo addio
e via! … si chiudeva un capitolo… Durante il viaggio mi sono ritrovata
pensierosa, rimpiangendo già di aver abbandonato il mio posto, il Posto dove
l’Amore, l’Amicizia e tutti i sentimenti, nobili o infami che siano, parlavano
un linguaggio a me conosciuto fin nelle minime sfumature, per andare Dove?

E così, tra filosofia da
quattro soldi e chiacchiere con i compagni di strada, vedevo scorrere dal
finestrino le piccole casette sperdute tra i campi, sentivo la voce del
controllore e mi addormentavo per poi svegliarmi impaurita, non realizzando
dove mi trovavo. Lentamente, tutto il passato diventava lontano ricordo.

Passava la notte, si
attraversava la frontiera, si cominciava a non capire più quello che la gente
si sussurrava nelle varie stazioni e cresceva il desiderio di arrivare. Non
importava se ancora era tutto coperto da una fitta nebbia, le idee poco chiare
ed i dubbi tanti, volevo smettere di essere in tanti posti ed in nessuno. Il
giorno sfumava lentamente, altre frontiere e sempre altre facce; bagagli,
sudore, caldo, poi freddo, di nuovo la notte, il buio, la stanchezza ed infine
l’ultima fermata…

Mi chiedo se sia una fortuna
o una disgrazia il fatto che, col passare del tempo, si cominciano ad
approfondire le ragioni della vita, cercando sistematicamente di dare una
spiegazione a tutto quello che ci succede, pensando di essere unici, i soli
ricettori di certe emozioni, esclusivi depositari di delicate sensazioni.

 

Sono trascorsi  prima i giorni, meravigliati di tanta
abbondanza ed incuriositi dai nuovi modi di fare e di pensare; si sono aggiunti
i mesi, sempre più tristi e sofferenti, popolati dal vivo desiderio di sentire
la mia lingua e di valorizzare tutto quello che un paese mo-derno, alle soglie
del duemila, aveva completamente dimenticato.

Speravo che il fluire del
tempo avrebbe modellato il mio raffigurare il mondo, a seconda della realtà
circostante; lottavo contro la semplicità forse troppo complicata
dall’apprezzare, dal riconoscere l’importanza delle cose ed i pregi delle
persone, di fronte alla continua corsa verso l’Avere.

Non sono stati anni
difficili… Ma ho imparato che, in qualsiasi angolo del mondo ti trovi, il
sorgere del sole ha lo stesso fascino, le montagne emozionano ed il mare ti
conquista.

E, soprattutto, che il Bene
ed il Male sono abitanti abituali della Terra; 
che l’Amore e l’Odio convivono, anche se per una teoria banale
sembrerebbero escludersi a vicenda.

Ho conosciuto sensazioni
nuove, amore e, pungente, un dolore lacerante ed il bisogno imperioso di
piangere di fronte al più grande nemico dell’umanità: l’Indifferenza.

Siete mai stati allo zoo?

Vi siete mai chiesti come si
sentono i poveri animali sotto i vostri sguardi incuriositi ed invadenti?

Avete mai immaginato il
vuoto che rimane nelle loro povere anime quando i cancelli si chiudono dietro
l’ultimo visitatore?

“Da dove vieni?”

“Come si vive da voi?”

“Che si mangia nel tuo
paese?”

E tante altre domande,
alquanto giustificate, ma dietro le quali non si cela la volontà di avvicinarsi
ad una realtà diversa, bensì una banale curiosità fine a sé stessa che, una
volta soddisfatta, gira i tacchi e se ne va via.

Anno dopo anno diventavo
sempre più ricca, ricca di una esperienza che si contrapponeva nettamente al
concetto che si ha vivendo in un paese povero materialmente, ma di sicuro
popolato dal sentimento semplice e non dal desiderio di apparire.

Ho avuto spesso
l’impressione di essere alla ricerca di qualcosa che forse non sarei mai
riuscita a trovare: me stessa. Mi sono accusata di vivere complessi di
inferiorità, di sentimi al di sotto del livello generale, ma ho anche scoperto
che spesso le persone alle quali avrei voluto rassomigliare dimostravano di non
essere quello che sembravano. Alla fine ho realizzato che per me la vita aveva
delle coordinate diverse, essendo definita dal Bene e dalla capacità di amare e
di agire non per sé stessi, ma per chi ci sta accanto, con la coscienza che un
sorriso sia il miglior  ringraziamento.

Ci sono stati momenti in cui
mi sentivo stanca e delusa; stanca di lottare e di avere sempre bisogno degli
altri, delusa dal mio continuare a non riuscire a comportarmi così come avrei
desiderato.

 

Ed eccomi oggi, dopo tutti
questi giorni, mesi, anni, così pieni di esperienza e a volte così vuoti di
comprensione; eccomi oggi alla vigilia di un nuovo viaggio, il primo dopo tanto
tempo, in un paese che una volta mi apparteneva e che adesso mi sembra
estraneo, nel Posto che ambivo e che ora mi 
richiama solamente per la curiosità di notare i cambiamenti. Sembra
strano, dopo tutta questa filosofia di vita, esprimere tanta mancanza di
entusiasmo nel ritrovare le proprie origini; essere spaventati e vergognarsi di
una lingua che non si conosce più tanto bene; non individuare più le abitudini
ed i modi di vivere di gente che una volta era identica a te. Penserete che,
finalmente, sono riuscita ad abbattere i confini, che mi sono integrata
completamente e che, ormai, l’ambiente mi ha plasmato a suo piacimento, dandomi
sembianze uguali a tutti coloro che mi circondano.

In conclusione della mia
ricerca “proustiana” ho scoperto che non sono le barriere di coscienza, i
diversi modi di essere educati, la povertà o l’opulenza le chiavi del vivere in
pace con sé stessi; bensì la gemma piena di splendore, l’unico bene sul quale
spero non ci saranno mai imposte, territorio senza frontiere ed autentica
ragione dell’essere: l’Amore.

 

Come è possibile vivere
senza le cose che sono la nostra vita? Spogli del nostro passato non ci
riconosciamo.

(J. Steinbeck, Furore)

 

 

 

 

 

 


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