Avevo visto Stronzo
attraversare i viali. Una grossa macchina aveva suonato e insultato. Lui si era
gratificato. Era anche lui una creatura divina. Non capii come mai e voltai per
andarmene ai fatti miei.

La sera di Natale Kadiet mi
versò dell’amaro. Le chiesi se era il caso di pagare o meno. Non mi guardò da
dietro il banco. Fece in modo che bevessi e pagassi infine.

Era una fregatura. Non c’era
niente da fare, se non rivedere i soliti film nelle sale della mensa comunale,
o andare a morire di freddo oltre le frontiere, dove quelli non come noi
spendevano bene. Ordinai un altro liquido. Irlando aveva detto: “Le fogne sono
strette”. C’era puzza.

Così era entrato Stronzo.
Dio gli aveva messo una buccia di banana in testa e lui diceva che erano bei
capelli biondi. Poi gli aveva chiesto di voltarsi e farsi ammirare. Lui l’aveva
fatto con un sorriso a labbra sopra le gengive e due occhi cretini all’ingiù.

– Sei Stronzo – gli aveva
detto il creatore.

Lo aveva spedito tra noi.
Entrò nel bar.

– Ciao, sono Stronzo!

Ci voltammo e gli chiedemmo
per quale motivo.

La luce nel bar mancava a
tratti. I musi erano di carne, stagionata e tritata. La colla mancava nelle
scarpe e i vestiti si strappavano indipendenti di tanto in tanto. Il vino
faceva schifo. Invitammo Stronzo a prendere posto e a fare poco casino.

Mio figlio aveva vent’anni.
Stava giocando a biliardo con suo fratello più piccolo. Mise in buca tre
palline con un colpo e rise coi pochi denti rimasti.

– Papà, dopo tocca a te…

– Non ti preoccupare,
figlio, te le faccio arrivare tutte dritte nel culo.

Bevvi il vino e consigliai
al più piccolo. Graffiò sul biliardo. Ci guardammo in tre negli occhi di
triglia e trovammo modo di ridere. Ganiso Salame pretendeva una cifra alta per
tener sigillata la bocca. Mio figlio gli disse che gliela avrebbe cucita col
fil di rame, se avesse provato ad aprirla. Lui andò nell’altra sala e tornò con
Kadiet che urtò il suo culone ovunque prima d’incazzarsi.

– Fatti fottere Zono, te e i
tuoi figli. Credi che non me ne sarei accorta? Ora porto ago e filo. E se avete
deciso di trucidarmi il biliardo, so come farvele mangiare, quelle palline.

Finito di cucire tornai al
bancone. Stronzo era ancora lì, col sorriso cretino, a cercare inte-grazione in
un bar squallido d’extracomunitari, zingari e barboni.

– Hey Kadiet, perché non
accendi più quel televisore? – avevano chiesto alcuni.

–  … Sì cazzo, Kadiet, è da primavera che non si vedono colori qua.

– Ve l’ho detto un migliaio
di volte… è rotto quell’apparecchio, cercate di non farvelo ripetere.

– Diavolo, è un mortorio
questo posto, neanche per Natale c’è modo di entusiasmarsi…

– Hey rottame, Kadiet ha
detto che ci fa entusiasmare lei…

– Tira su quella gonna e
facci vedere…

– Porci puzzolenti, andate
dalle vostre mogli…

– Dai Kadiet… su…

– Andate a piegare le ossa
maledizione!

– Dai Kadiet… mio figlio più
piccolo non ne ha mai vista una … Vero Cotunu?

– Sì papà… –  si era affacciato dalla sala del biliardo.

– Fanculo Zono, un giorno
vorrei vedere che faccia faresti di fronte a tua moglie…

– La moglie di Zono? –
avevano spalancato tutti le bocche.

Li osservai con quelle arie
putride e sospese nella complicità. Poi esclamarono in coro:

– Ma è una puttana, ah, ah,
ah, ah…

Anche i miei figli ridevano,
anche Stronzo. Lo presi per i capelli.

– Hey tu, hai mai conosciuto
la mia signora?

Mi guardava incapace di
reagire. Aveva uno spirito diverso dagli altri, intenti a spalancarsi nelle
risate.

– Allora l’hai conosciuta?

Tirai più forte e lui
digrignava.

– L’hai conosciuta o no?

Avevo urlato facendolo
cadere. La mia saliva gli aveva inondato il viso. E nessuno fiatava più.

– Allora?

Cercai il suo sguardo in un
ambiente tombale. Levò gli occhi cretini, incrociandoli con i miei.

– Credo… – aveva un tono
basso e ripronunciò a stento – … credo…

– Credo?

– Credo che nel suo ambito
sia la migliore…

Ballai gli occhi iracondo.

– Sì, non sto scherzando, è
veramente la migliore!

Aveva un’aria del cazzo
quell’uomo. Cominciò a ridere. Mi guardai attorno. I miei figli erano
appoggiati alla parete. Il più piccolo disse che Stronzo aveva ragione.

Io e Stronzo eravamo oltre
la frontiera. Al porto avevano bisogno di uomini da fatica, per due giorni a
settemila l’ora. C’era altra gente del nostro quartiere. Non gli sbevazzoni del
bar. Molti li conoscevo di vista. Erano anche loro schifezze, ma cercavano di
migliorare le loro condizioni, piegando le ossa sotto i pesi, solo per mangiare
poco meglio di me.

Il responsabile aveva i
capelli stirati indietro. C’informò che avremmo dovuto trasportare tronchi di
alberi. Stronzo disse che il lavoro era pesante e ci volevano più soldi.

– Ehi stronzetto… sei venuto
qua solo per farti un giro?

Invitai a lasciarlo perdere.

– … Scusami amico, non è
pratico, è un nuovo.

– Beh, mi frega poco se è
nuovo o se ha le termiti… Digli che il lavoro è questo… e che cominci perché è
già entrato tra i più simpatici della mia lista…

– Mi spiace signore, ma qui
vanno di mezzo i diritti…

– Ma di cosa sta parlando
questo?

– Non so, qualcosa che ha a
che fare con Diritti…

Dissi a Stronzo che eravamo
lì per lavorare.

– Signore, ogni uomo deve
far valere i suoi diritti!

– E te dai …

– Di’, ma sta parlando di
cibo e cerca di tirare su la cifra? Beh, non è nel mio interesse farmi gli
affari degli altri… Fai in modo di levarmelo d’intorno, anzi… cavatevi dai
coglioni.

Dissi a Stronzo che ero a
secco, che non avevo neanche i soldi per bermi del vino, che ora avrei dovuto
chiederli in prestito a mia moglie.

– … Non potevi chiudere quella
fogna? Non è facile trovare da far soldi per noi altri…

L’aria pungeva fredda e,
oltre la frontiera che divide il nostro quartiere dal resto della città, si
stava bene. Dal bus, dei ragazzini ci urlavano di tornare nelle fogne. Le
signore stringevano le borsette sotto le ascelle. I cani ci mordevano alle
caviglie.

– Hey Zono, me lo cavi per
favore?

– Hai paura degli animali?

– No, è che non sono capace
di fargli del male.

La bestia volò, urtata dalla
punta delle mie scarpe.

– Mi dispiace Zono, averti
creato dei problemi… Ho soldi dietro, se vuoi ti offro qualcosa di caldo in un
bar – sorrise e m’incitò ad entrare in un locale degli uomini bene.

Avevo cercato di aggiornarlo
sull’improbabilità di riuscire ad entrare.

Il gestore ci placcò, ritto
sulla soglia.

Stronzo chiese di fare
rispettare i suoi diritti di cittadino

– … se non ci fate entrare
chiamo la polizia.

La gente perbene ci guardava
indifferente sopra le tazze di caffè fumanti e lontane dalle nostre mani.

Cercai il tabacco nel
giaccone. Stronzo era incollerito e mi chiese delle monete. Telefonò alla
polizia. Questa giunse e ci fece urlare di dolore. Finimmo come cani, a cercare
riparo nel nostro quartiere.

Quella di Stronzo era una
storia del cappero. Iniziata due anni fa con la Nasa. Se fossi ancora il
pidocchio del 2003 che con gli stivali da pesca gettava merda nella terra da
coltivare, gli avrei dato modo di raccontarmi quella storia da una distanza di
sicurezza. Infatti, seppure fossi figlio di contadini e il nostro raccolto
venisse disintegrato dalle pioggie acide, ero comunque in grado di distinguere
i contaballe e i dementi. I primi, illudono. I secondi, hanno modo di farti
sentire intelligente. Stronzo non era né l’uno, né l’altro. Mi aveva raccontato
una storia vera. Non è stata la necessità di inculare una vita schifosamente
piatta a portarmi a credergli. Sta di fatto che, da quando avevo sedici anni e
le ragazze mi schivavano per via della merda che non riuscivo a sgurare del
tutto di dosso, erano accaduti fatti inimmaginabili. Allora il sorbetto al
limone non era altro che gelato con vodka. Oggi, invece, nel 2040, nei
ristoranti degli uomini bene, il sorbetto al limone è una cinese che succhia i
clienti sotto al tavolo. Se siamo arrivati a questo, perché Stronzo non può
essere il frutto di un gemellaggio tra il nostro pianeta e il suo?

La Nasa aveva intercettato i
segnali di un pianeta di nome Anarchia. Riuscì a mettersi in contatto con
attrezzi che, Diavolo, chi si ricorda i nomi. Comunque sofisticati. Riuscirono
ad avere sui loro monitor le fisionomie degli abitanti del pianeta Anarchia. Si
erano aspettati esseri di budino su una sola gamba e con due dita sul busto.
Invece gli alieni erano identici a noi, con tanto di capelli e alluci ai piedi.
Gli operatori Nasa avevano di certo sperato in sorprese di altro genere. In
fondo erano stati gli alieni a mettersi in contatto col pianeta Terra. Chissà,
magari erano tecnologicamente evoluti e avrebbero dato ricette per costruire
armi impossibili da sparare in culo agli arabi.

Il pianeta Anarchia era
identico al nostro, in quanto al peso e alla densità della popolazione. I nomi,
le età e le fisionomie coincidevano nei soggetti dei due pianeti. Non mi
rendeva affatto orgoglioso sapere che anche lì esisteva uno Zono di quarantadue
anni, con due figli e una moglie. Lo immaginavo con uno stile di vita
differente dal mio; invertebrato, dato che viveva in un pianeta anarchico dove
la gente nasce già con ideologie di rispetto nel DNA.

Stronzo disse che non
avevano guerre là, i cittadini non erano divisi per stati. Era tutta una città,
dall’oceano al deserto. Le etnie erano varie, ma nessuno aveva mai notato
questo. Ognuno degli abitanti imparava un mestiere e barattava il suo servizio
per cavarne utili. Gli chiesi se gli utili erano i soldi. Disse che i soldi non
li aveva mai visti prima di venire sulla terra. Non capii cosa potessero bere
senza soldi. Mi parve una popolazione noiosa, molle, con gente incapace, come
Stronzo, di offendere il prossimo. Comunque era un bene stare, da quello che
avevo sentito.

Una specie di Nasa c’era
anche lì. Stronzo disse che per loro navigare era una sorta di cultura e non un
modo imperialistico di colonizzare le galassie.

Mi suonava del cazzo la
possibilità di imparare senza contaminare, così gli dissi:

– Beh, le avete anche voi le
macchine o sbaglio? Ecco. Lo sai che dai tubi di scappamento esce l’acido?

– Con tutto rispetto Zono,
ma è da voi che escono gas tossici. Le nostre vetture funzionano ad acqua!

– Oh mio dio, ad acqua? E
cosa fanno? Anche le bollicine? Ci lavate anche i panni dentro? Dio, che
rammolliti che siete.

Mi disse che le due Nasa
avevano deciso di incontrarsi. Ma, per un fattore di equilibri cosmici, era
possibile entrare in contatto solo per mezzo di uno scambio equo da ambedue le
parti. Quindi, lo stesso soggetto anarchico con tal nome e abitante nella tal
via avrebbe dovuto scambiarsi col suo sosia terrestre. Così fu. Spedimmo uno
stronzo e n’arrivò un altro dentro una capsula che spaccò gli atomi di una
stanza iperbarica nella base della Nasa. Quando aprirono la capsula rimasero a
bocca spalancata. Stronzo sorrise. Aveva il cazzo più grande del loro.

Lo avevano disinfettato e
legato in un lettino. Lui chiese informazioni sulla procedura. In realtà non lo
sapevano neanche loro. Stronzo era come tanti altri.

Si lamentò e disse che i
lacci erano eccessiva-mente stretti ai polsi.

Gli infilarono un ago
nell’arteria e dormì anestetizzato.

– Ora che facciamo?

– Potremmo iniziare a
sezionarlo…

– Sì, ma metta caso che non
sopravviva…

– Che importa. Non è dei nostri
…

– Ma chi è questo? Chi gli
ha dato la laurea della Nasa?! … Per favore lo si può licenziare?

– Certo direttore. Basta che
firmi qui.

– Ecco fatto… Lei è
licenziato… Dottoressa, è stato avvertito il presidente dell’arrivo
dell’alieno?

– Certo direttore, dice che
vorrà vederlo stasera e avere i rapporti sulle analisi… Scusi c’è un altro
appunto… Il presidente chiede se dal pianeta dell’alieno è arrivato il boato
dell’ultima bomba sganciata sugli arabi?

– Ha riso quando le ha
chiesto questo?

– No, signor direttore,
perché?

– Non fa niente. Può andare,
la ringrazio. Ah, si faccia trovare nel mio ufficio più tardi…

Così fecero analisi su
Stronzo, cercando stranezze dove non ve n’erano. Infine si appigliarono ad un
astigmatismo acuto. Stronzo disse che aveva dimenticato gli occhiali. Gli
trovarono la pres-sione irregolare.

– … È da quando sono partito
che non ho ancora mangiato.

Gli notarono le unghie
troppo lunghe. Gliele tagliarono, gli diedero da mangiare e gli comprarono un
paio di occhiali.

Gli avevano assegnato una
cella all’interno della Nasa.

Il presidente si fece
fotografare stringendogli la mano. Disse che Stronzo non era né un animale, né
un negro e gli fece avere una stanza nella casa Bianca.

– Ti piace qua eh? È immenso
come vedi… Questa è una tavola degna di un ospite come lei… Signor… ?

– Stronzo. S.D. Stronzo.

– Magnifico signor Stronzo,
come vede su questa tavola imbandita, il nostro potere parla da solo, he, he,
he… Mi dica arrivano i boati?

– I boati che?

– He, he, he, i boati.
Booooom! Il furgone atomico vispo di colori, immenso e sovrastante oltre
l’oceano, he, he, he… Meglio sempre oltre l’oceano che nei paraggi, ma
garantisco che ne scaglierei una anche sul quartiere dei negri, se dipendesse
da me… Si accomodi, si accomodi… Quindi non avete mai uditi i boati?

– No signor presidente.

– Beh, non significa che noi
terrestri siamo inferiori a voi del pianeta… pianeta, come si chiama?

– Anarchia.

– Già Anarchia. Non siete
poi cosììì… he, he, he.  Chi ha mai
udito un vostro boato? He, he, he… mi scusi, ma siamo franchi.

– Non occorrono scuse,
Signor presidente, ma son lieto di annunciarle che nel nostro pianeta non
esistono boati!

– Oh, signore. Cosa avrete
inventato mai? Dei congegni che spaccano i corpi senza nessuna
esplosione?!  Lo sapevo che siete
superiori, lo sapevo. Amico mio, sarà un grande, grande piacere… Come li
ammazzate voi gli indigeni? Mi dica, mi dica. Lo sa mi aspetto grandi consigli
da voi, in fondo non siete degli esseri di budino come avevamo immaginato,
neanche siete negri o slavi, quelli sì che sono extraterrestri… Oddio, non ne
parliamo neanche, quelli li teniamo oltre le frontiere, dovremmo trovare un
modo per spingerli ancora oltre. Sa quanta gente è stanca di vederli ancora nei
paraggi? Mi saranno utili i suoi consigli. Ovviamente sarà ben ricompensato
prima di rientrare.

Così Stronzo mangiò e
assaggiò un sorbetto al cioccolato. Lo fotografarono giocare a golf con il
presidente. Disse che il campo era sprecato, che si sarebbe potuto ricavarne
ettari di frutteti. Il presidente lo distolse:

– Puoi avere tutta la frutta
che vuoi, basta che tu lo chieda… Su gioca.

Stronzo si concentrò e fece
finire in buca una palla del presidente.

L’alieno si rammaricò
vedendolo piegato sul testicolo rimasto.

– Non ti preoccupare
figliolo, ne farò ordinare di nuove…

Spiegai a Stronzo che ormai
le palle, per molti, erano solo ornamenti. Alcuni ne nascevano senza, ad altri
cadevano nella pubertà. Le si poteva ordinare. Il prezzo variava in base alle
dimensioni e al materiale di fabbricazione. Gli articoli migliori erano
mostrati dal catalogo “Uomini con palle”, che arrivava solo nelle case dei ceti
nobili, includendo la gratuita consulenza di un tecnico. Io invece dovevo
tenermele su con lo scotch. Era un’ingiustizia.

Portarono Stronzo a visitare
la popolazione, e spaccarsi le narici in orge celebri. Partecipò a comizi senza
niente d’importante da dire. Lui rappresentava un popolo mite, privo di regole,
privo di violenza. Quindi insipido.

Da pochi mesi viveva in una
villa in periferia. La noia era tale da portarlo a spendere tutti i soldi in
sorbetti. Gl’inservienti dimezzarono nel giro di una settimana, fino a ridursi
a una vecchia che riusciva a malapena a respirare.

Una sera telefonò alla Nasa
per chiedere informazioni sul giorno del suo rientro. Gli chiesero chi fosse.

– Sono Stronzo.

– Stronzo chi?

– S.D.

– Conoscete un certo S.D.? …
Ah, sì, ho capito, sei l’alieno… Qualcosa non va?

– No… tutto va bene, siete
molto generosi, ma io dovrei tornare a casa, non so come state operando…

– Certo Stronzo… Qualcuno sa
a che ora parte l’aereo di Stronzo?

– Signore… Signore! Non devo
prendere un aereo. Ci deve essere uno scambio cosmico… Il signor S.D. terrestre
dovrebbe avervi contattato. Insomma, dovreste esservi organizzati con la Nasa
del mio pianeta. Se il vostro S.D. non torna io non posso partire…

– Nessuno me ne ha parlato.
Cercherò di contattare il direttore. Faremo il possibile… Ha un recapito?

Passarono altri giorni e la
vecchia rimasta a riordinare la casa aveva tirato le cuoia salendo le scale.
Stronzo doveva scavalcarla ogni mattina per andare a fare colazione.

Nella dispensa erano rimaste
due sardine. Tre giorni dopo telefonò alla Nasa. Gli consigliarono di calmarsi.
Dissero che quando avrebbero avuto notizie si sarebbero fatti sentire loro.

Dopo un mese gli arrivò un
assegno di settemilalire. Riuscì a comprarsi un sedano.

Il riscaldamento si era
affievolito sino a scomparire. Tutta l’acqua calda era una goccia penzolante
dal rubinetto in giardino, ghiacciato dalla neve.

Verso la fine dell’anno
Stronzo avvertì rumori di catene nel cortile dell’abitazione.

Dalla stanza corse giù,
inciampando sul cadavere fetente della vecchia. Sbatté il naso e rise. Uscì
scoprendo un uomo sigillare il cancello dell’abitazione.

– Scusi buon uomo, cosa sta
facendo?

– Mi è stato dato l’ordine
di chiudere questa casa.  È disabitata…
Dicono che ci vengono i negri a scopare.

Stronzo cercò spiegazioni
alla Nasa. Gli dissero che gli avevano assegnato un bilocale in città

– … Ma lei comincia a
costarci, Stronzo. Lo sa anche lei che non possiamo permetterci di tenere
aperta una villa così per una sola persona… Macché, macché, nessuno di è
dimenticato di lei… Stiamo facendo il possibile per riportarla a casa… Ma credo
che il nostro S.D. sia più furbo di lei, non per essere vile. Ma da come lei ha
raccontato del suo popolo, credo che neanch’io cercherei di tornare qui a
lavorare per altri. Lì, da voi altri, riuscirei come Mussolini, come i nostri
grandi pionieri che hanno infilato le scarpe ai selvaggi.

Così Stronzo vagava senza
meta, piegato da un corpo triste, sulle strade di una città inafferabile. Notò
scritte anarchiche su giacche di Punk. Era corso convinto che fossero alieni
pure loro. Gli inclinarono lo sterno.

Per l’intero semestre la
Nasa non si era ancora fatta sentire. Lui aveva fame. Andò verso la Casa Bianca
iracondo, ripetendosi tutto ciò che avrebbe detto al presidente.

Un’autorità religiosa e il
presidente erano intenti a relazionarsi, facendosi un sorbetto al cioccolato.
La coca arrivò a loro, diretta dalla tasca al muso, per mezzo di una mutazione
genetica del naso.

– Hey chi ha fatto entrare
questa immondizia nel mio salotto?

– Mi scusi signor
presidente, ma dice di essere un vostro amico. Il signor Stronzo.

– Beh, Stronzo! Sei ancora
qua? … Ti vedo molto male figliolo… Dimmi, dimmi…

– Signor presidente, è quasi
un anno che sono qua. Sono due mesi che non mangio, a casa non mi arriva più
l’acqua. Il vostro paese è orrendo. Ho visto cose inammissibili. Ho visto bar
che non permettevano l’entrata ai negri, ho visto delinquenti essere
giustiziati fino a perire, ho visto etnie scontrarsi per religioni, ho visto…

L’autorità religiosa lo
interruppe.

– Ma dica una cosa, signor…
?

– Stronzo, S.D.

– Signor Stronzo, lei pare
una creatura divina. Sa dunque che la divinità provvede al bene dei suoi figli.
Ebbene, io vorrei sbagliarmi ma noto in lei un accentuato ateismo, mi pare
privo di fede, o sbaglio?

– Se è alla violenza che
porta io ammetto di essere contrario…

– Ma presidente, come
ammette un incandescente come questo… Rischiamo un’insurrezione con dei
soggetti simili. Pretendo subito dei provvedimenti.

Nessuno ebbe più contatti
con l’unico pianeta realmente interessante, che avrebbe potuto indicarci un
modo migliore per passare il Natale.

Invece di assorbire vino
fermentato nel locale della culona e segare le ossa a Ganiso Salame, starei lì,
a fare come ha fatto il nostro S.D. terrestre. Diavolo, lui sì che l’ha vista
lunga. Se solo l’avessero chiesto a me. Che qualcuno mi accoltelli se crede che
io non avrei fatto come S.D. terrestre. Urca. Sedere su una poltrona da signori
e ordinare. Diventare un potente, creare i soldi e avviare il processo
d’industrializzazione. Io, Zono al comando, a gonfiarmi lo stomaco di buon vino
e a riempire le bocche delle aliene. Li metterei in ginocchio i fratelli di
Stronzo.

Ah, gli è proprio andata
male a quello, che parlava di un certo Diritti. Ora gli tocca rinnovare
mensilmente un permesso di soggiorno per vivere nel buco di un quartiere
stretto, dove zingari, barboni ed extracomunitari stringono il culo, per non
farci entrare aria fredda.

Guardai Snoopy fare cazzate
con una mazza in un volume di Peanuts. Lo lasciai lì. E pensai a dormire.
Quante volte è fastidioso il silenzio. Subii ciò che è non prender sonno. Così
sfregai il pisello sul materasso. Sborrai e dormii. La mattina ero secco in
pancia e vuoto nel frigo. Minni entrò dal turno notturno. Le chiesi come mai
non avesse comprato niente nel giorno precedente.

– Hey, quello e il cazzo di
quando devo comprare qualcosa con i miei soldi, lo decido io…

Era di fronte a me e aveva
abbassato lo sguardo sull’addome. Non so come mai dividessimo quel buco. Se
perché avessimo figli in comune, o perché le facessi pena. Era tornata ai miei
occhi.

– … Lo decido io!

– Senz’altro.

Mi tormentai girellando fra
le uniche due sale della casa.

– I due rompiscatole? –
chiese.

– Credo siano ancora a
giocare a biliardo…

– Ma i soldi glieli dai tu o
io? – si faceva lo doccia.

– Sì, sì, è proprio di
questo che volevo parlarti …

Immaginai quanta schiuma
facessero i tanti peli che aveva sulla passera col bagnoschiuma. Dove-vo ancora
lavarmi i denti. Era una buona occasio-ne. Entrai nel bagno.

– Sai Minni, devi credere in
un dio per uscire da ’sta merda…

– Fatti inculare scoreggia.
Devi piegare le ossa.

Il dentifricio faceva tanta
schiuma.

Allungai gli occhi per
vedere mia moglie lavarsi nel box. Era una sagoma confusa.

Avevo voglia di entrare. Non
me lo avrebbe permesso.

– Quanti anni hai bello?

– 42 – avevo spruzzato sullo
specchio.

Uscì dal box e aveva delle
tette grandi.

– Ho incontrato un tuo
amico, sai. Un invertebrato pervertito… un certo Stronzo.

– Perché deve essere un mio
amico? – passavo lo spazzolino eccitandomi a vederla posare il piede sul bidè e
asciugarsi la gamba.

Che lunghe erano quelle
gambe!

Che donna avevo. Lì,
completamente nuda, nelle pose più miracolose a farmi scoppiare il coso nelle
mutande.

– Che ne so bello, gli ho
fatto un pompino una volta e ora me lo trovo al fegato, dio, so solo che un
giorno di questi lo passo con la macchina, se continua a rompere!

Le dissi che avrebbe fatto
bene.

– Di’, quanto ci metti a
lavare quei denti?

Più tardi venne a prenderla
un uomo bene. Lei aveva cambiato tono, vestiti e vita. Uscirono legati.

Eppure doveva esserci
qualcosa nel frigo.

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