Come nasce un racconto collettivo

Come nasce un racconto collettivo
di  Pina Piccolo, Pia di Molfetta, Daniela Karewicz, Natalia Fagioli, Lolita Timofeeva, Milli Ruggiero, Patricia Quezada, autrici del racconto “Nella nebbia”

Nel 2008 dopo la fine del laboratorio di scrittura organizzato da Eks&tra, un piccolo gruppo formato da alcuni partecipanti decise di continuare a riunirsi una volta ogni tanto.
Non avevano ancora molto chiaro l’obiettivo di questi incontri, ma erano desiderosi di continuare a sperimentare come scrivere meglio e soprattutto sentivano la necessità di condividere idee ed esperienze.
Lolita, una dei componenti del gruppo, offrì il suo studio di pittrice come sede per gli incontri, un posto dove l’energia creativa era di casa.
Patricia, Hema, Pia, Daniela, Lolita, Milli, Andrea, Alessandro, Francesca, Sara, Natalia, Pina, Roberta…. Tutti noi eravamo persone alla ricerca di qualcosa che sicuramente ci avrebbe arricchito.
In uno dei primi incontri decidemmo di dare al gruppo il nome di Eks&tra 2008, facendo sfoggio di una naturale originalità.
Andavamo avanti come se camminassimo sul ghiaccio sottile, provavamo ad ascoltarci a vicenda e ci domandavamo ad ogni passo se eravamo all’altezza. Appartenevamo a mondi molto distanti, per origine, per lingua, per lavoro e per le nostre rispettive vite quotidiane fuori dallo studio. Lì dentro riuscivamo a vivere tante vite diverse quanto l’immaginazione ci permetteva.
All’inizio proponevamo dei timidi esercizi di scrittura, oppure qualcuno portava un brano proprio e lo commentavamo. Facevamo sempre un break e si mangiava ciò che avevamo portato.
Man mano che gli incontri si sgranavano anche noi iniziavamo a scoprirci come persone, fino a trovarci immersi in accese discussioni su argomenti estranei al mondo letterario.
Ad esempio si iniziava valutando quale fosse l’uso corretto di una preposizione per finire con un dibattito sulle differenze di significato della parola “goliardo” nell’ambiente universitario di Riga e in quello di Bologna. Oppure si sottolineava come ci si può sentire discriminati dopo vent’anni di vita in un paese dell’Appennino tosco-emiliano, andando in gita a Parigi.
Abbiamo potuto sentire sulla nostra pelle la nostalgia per un paese che nessuno conosceva, nel quale una di noi era nata ma non era mai ritornata. Abbiamo rimpianto insieme profumi di spezie e di pane caldo appena sfornato, persi nei labirinti della memoria. Abbiamo vissuto il freddo e l’orrore di Auschwitz, i desaparecidos, le brigate Rosse. Abbiamo letto Neruda andando in bicicletta, ci siamo resi vulnerabili e sciocchi, abbiamo riso, ci siamo criticati a vicenda, offesi e riappacificati.
Finché un giorno non abbiamo deciso di mettere in pratica un esercizio creativo, proposto da Patricia. Quel pomeriggio eravamo in tanti, al punto da occupare tutti i posti del tavolo bianco. Forse era primavera: ci sentivamo leggeri e allegri, così iniziammo a tessere una sola e unica trama annodando le esperienze, i ricordi, le paure.
Decidemmo di dividerci in quattro gruppi per creare quattro personaggi.
Ecco le regole del gioco: girare per lo studio 10 minuti, scegliere un oggetto e partendo dall’oggetto creare il personaggio, descriverlo fisicamente e raccontare la sua storia.
Questi gli oggetti scelti: un truciolo di legno, una torcia elettrica, una maschera antigas e un pennello.
Dal truciolo di legno nacque lo zio Olindo, dalla lanterna lo zio Pila, dalla maschera antigas Tonino il bambino Elefante, e dal pennello Sascha il pittore.
Nessuno di noi poteva immaginare con quanta forza quei personaggi ci avrebbero chiesto di esistere, e con quanta testardaggine ci avrebbero trascinato dalla gelida Valle d’Aosta, in cui li avevamo immaginati in un primo tempo, alla nebbiosa Budrio in cui poi li abbiamo contestualizzati.
Non sapevamo ancora che ci avrebbero fatto vivere la loro terribile sofferenza nelle buie trappole della miniera belga di Marcinelle e la desolante assurdità della guerra di Bosnia, ma ci avrebbero anche fatto scoprire le singolari ocarine di Budrio.
Quel pomeriggio di primavera di due anni fa, ci siamo tuffati inconsapevolmente nella tirannica avventura di volere scrivere a più mani e a più teste; un’impresa più che difficile, quasi destinata al fallimento.
Ci eravamo proposti di usare come filo conduttore la ricerca della propria identità. Strada facendo ci siamo accorti che, nella creazione di questa storia, era sempre più difficile tenere il filo in mano: il nostro racconto e le nostre vite si ingarbugliavano, perdevamo i pezzi, ci perdevamo di vista, traslocavamo.
Poi però, ci ritrovavamo, un po’ spaesati, in pochi, ma ancora con la volontà di fare i nodi, di trovare la strada, di arrivare alla parola “fine”.
Siamo riusciti a venirne fuori soltanto perché i quattro formidabili personaggi del racconto ci hanno preso per mano e ci hanno guidato fino alla fine.
Non abbiamo fatto altro che cercare di interpretare al meglio tutti i suggerimenti che loro stessi ci hanno sussurrato all’orecchio.
Vogliamo ricordare anche Roberta Sireno, Cecilia Ghidotti, Hema Biasion, Andrea Masiero, Francesca Veltre, Alessandro Mengoli, Rossella di Berardo che, come dire, sono stati compagni in questo viaggio e si sono “persi per strada”.

 

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