Da poco più di un decennio si parla anche in Italia di una letteratura della migrazione, ma laccostamento dei due termini produce tuttora un binomio strano, perché il concetto di migrazione copre delle realtà
diversissime. A chi spetta esattamente (per diritto) letichetta di migrante?
Nel 1990 si è svolto a Losanna il primo colloquio internazionale sulla Letteratura dellemigrazione[1],
ma era dedicato a scrittori italiani, emigrati e figli di emigrati sparsi nel
mondo, che scrivono in lingua italiana. Ma a conservare la lingua italiana, o
allinizio spesso solo il dialetto, sono stati soprattutto gli italiani della
prima generazione, a partire da quella successiva molti hanno cominciato a
servirsi della lingua del Paese daccoglienza. Oggi i figli degli emigrati
italiani scrivono prevalentemente in questultima lingua, qualche volta usano
le due lingue ma sempre meno litaliano, ormai solo la lingua dei nonni e dei
parenti lontani in Italia. Fanno ancora parte della letteratura della
migrazione gli scritti di questi oriundi italiani?
Nel frattempo lItalia stessa è diventata una terra
dimmigrazione per flussi sempre crescenti di persone che provengono da quello
che genericamente viene chiamato il terzo
mondo, un continente vastissimo che spazia dallAsia attraverso lEuropa
dellEst e lAfrica e che arriva fino allAmerica latina. Forse non è qui il
luogo per analizzare i motivi, ora politici ora economici, di
questimmigrazione, né per criticare le politiche spesso ambigue del mondo
occidentale che si mostra accogliente solo quando la congiuntura economica lo
richiede. Tuttavia è evidente che le condizioni socioeconomiche entrano sempre
in causa: i polacchi, filippini o nordafricani che arrivano in Italia per
lavare agli incroci i parabrezza delle macchine, per fare il cameriere, la
donna di servizio, o magari il venditore ambulante di elefanti sulla costa
adriatica[2]
sono degli immigrati, ma perché non vengono considerati come tali gli
ambasciatori che li rappresentano? Si potrebbe forse obiettare che il soggiorno
del corpo diplomatico in un Paese straniero è solo temporaneo, ma largomento è
debole perché numerosissimi sono gli emigranti che hanno lasciato il proprio
Paese con lidea di stare allestero solo pochi anni.
Sulla scacchiera tradizionale della letteratura
italiana la letteratura di questa migrazione recente costituisce un tassello
nuovo che, proprio poiché imprevisto e quindi in un certo senso elemento di
disturbo, stenta ancora a trovare il suo posto nel mondo accademico, ma da
qualche anno ha trovato la strada dei lettori. Ed è probabilmente lunica cosa
che importi perché questi scrittori vogliono decisamente entrare in dialogo con
il mondo in cui vivono. Ecco perché, contrariamente a quanto era labitudine
nella scrittura dellemigrazione italiana tradizionale, hanno scelto sin
dallinizio di scrivere nella lingua del Paese ospite: un italiano prodotto
spesso faticosamente, e in un primo tempo scritto quasi sempre a quattro mani,
ma ormai diventato lingua adulta e sicura anche perché gli autori più affermati
risiedono già da dieci, quindici, o ventanni in Italia. Alcuni hanno fatto
tutti gli studi in questo Paese e qualche volta parlano altrettanto bene il
dialetto locale quanto i compagni nati sul posto. Parallelamente si nota anche
un notevole sviluppo nelle tematiche dei testi; gli ampi squarci di
autobiografismo dei primi anni non sono spariti, ma vengono arricchiti sempre
di più dai grandi temi del confronto di culture o dai grandi problemi
dellesperienza esistenziale: lamore e lodio, la fame e la povertà, la vita e
la morte
Il presente volume raccoglie la messe della settima
edizione del Concorso letterario per scrittori migranti Eks&Tra, dedicato
al tema dellumorismo: Eppur si ride. Il
senso dellumorismo tra culture. Il raccolto è stato ricco e variegato,
perché gli autori sono riusciti a far vibrare tutte le corde dun gioco sottile
di sfumature che va dal semplice sorriso, attraverso lumorismo vero e proprio
fino allironia più raffinata con cui, per esempio, Tarcisio Matheus Rocha
(Colombia) in Habemus tempus
analizza, o meglio viviseziona il tempo, trasformando parodisticamente le
strutture socioculturali della società contemporanea, così frenetica, in
categorie grammaticali: modus utopicus,
modus indecisionalis, modus sindacalis
Il protagonista del Virus del colore di Miguel Angel García
(Argentina) torna perfettamente abbronzato e quindi felice dalle sue vacanze
alle Seichelles, ma in realtà è stato colpito da una malattia stranissima che
trasforma pian piano il colore della sua pelle; una situazione allucinante che
lo mette davanti ad un muro dincomprensione, facendogli scoprire
sistematicamente tutti i pregiudizi occidentali legati al colore della pelle. E
dire che le Seychelles sono di moda anche questanno! Il gommista di Valona dellalbanese Vladimir Kocirai ricorda la
dura realtà quotidiana dellimmigrazione clandestina, trasformata dallabilità
del gommista quasi in crociera di lusso con tanto di rifornimento e altri
servizi, compreso il servizio medico di bordo. Umorismo e ironia non escludono
i ricordi precisi e i momenti di profonda malinconia: «Della vita del
villaggio, oltre i ricordi, tutto ciò che le era rimasto era il sapore di
quelle verdure e le proprietà curative delle sue erbe, con le quali scacciava i
mali di mezzo quartiere» così scrive Gabriella Ghermandi (Etiopia) in Quel certo temperamento focoso. È
unaffermazione importante: gli scrittori migranti non possono portarsi dietro
la terra dorigine, ma hanno una memoria acuta che li mette in una posizione
privilegiata. Sono scrittori dal doppio sguardo perché, venuti come adulti in
questo Paese, guardano la nostra società con gli occhi di chi ha già unampia
esperienza nella vita, unesperienza quasi sempre molto intensa, qualche volta
addirittura drammatica.
Realtà e finzione, dolori e gioie si mescolano e si
alternano anche negli altri racconti o nelle poesie di cui non voglio
anticipare qui i contenuti, ma contribuiscono ad arricchire la tavolozza
colorita della letteratura della migrazione. Ma non solo, attraverso questa
letteratura dallaspetto profondamente umano, attraverso questo sguardo nuovo
sulla nostra società, diventiamo più ricchi anche noi stessi perché ci
riscopriamo, e riceviamo la possibilità di entrare in dialogo con altre e
spesso nuove culture. Gli autori lo desiderano fervidamente e hanno espresso
questo desiderio sin dalla scelta della lingua italiana. Sta ai lettori di
raccogliere la sfida mostrandosi disponibili a entrare in dialogo
con lo
straniero «astratto» che scrive in italiano, come con lo straniero «concreto»
che ci vive accanto.
Da: Anime in Viaggio
autori vari
© Edizioni Eks&Tra 2002
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[1] Cfr. J.-J. Marchand (a cura di), La letteratura dellemigrazione. Gli
scrittori di lingua italiana nel mondo, Torino, Edizioni della Fondazione
Giovanni Agnelli, 1991; e la rivista «Altreitalie», 5/II (aprile 1991) che contiene gli interventi della
tavola rotonda del convegno.
[2] Alludo al bellissimo libro del senegalese Pap
Khouma, Io venditore di elefanti
(1990), pubblicato da Garzanti.