Miguel Angel Garcia
Miguel Angel Garcia
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2002-11-13T10:14:00Z
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Racconti  

 

Gino Luka

 (Albania)


 

Il mercante di frottole

 

C’era una volta un padre che non possedeva altro che una capanna, un
cavallo, una sella e delle redini. Quando fu sul punto di morire, chiamò i suoi
tre figli e disse loro: «La mia vita è giunta alla fine e la ricchezza più
grande che state per ereditare è un’ottima reputazione, conservatela vivendo
con onestà. Inoltre, secondo l’età di ciascuno di voi, lascio il cavallo al
figlio maggiore, la sella al secondogenito e le redini al figlio più piccolo.
Aiutatevi l’un l’altro».

Dette queste parole, il vecchio spirò e i figli gli diedero
un’onorevole sepoltura. Passato un po’ di tempo, il primogenito disse: «Voglio
andare a cercare fortuna col cavallo che mi ha lasciato mio padre, forse
riuscirò a guadagnarmi una sella e le redini».

Si mise in cammino verso la città e una volta
arrivato passò davanti a una grande bottega, dove vide un cartello con la
scritta: «Qui si commerciano frottole». Preso dalla curiosità, entrò subito
dentro. «Buona giornata!», disse salutando il padrone della bottega. «Ben
venuto!», rispose il mercante, che domandò al nuovo arrivato: «In cosa posso
servirti?».

«Sono venuto a cercare fortuna», rispose il primogenito.
«Penso che grazie al mio purosangue potrò entrare in affari e riuscire a
guadagnarmi una sella e le redini».

«Quelle te le potrei dare io», rispose il mercante, «ma a una
condizione: in questo negozio si fa commercio di frottole. L’hai visto il
cartello appeso alla porta? Mi dovrai raccontare una storiella in cui non
sembri niente di vero, altrimenti il tuo cavallo sarà mio».

«Comincia prima tu», propose allora il primogenito.

«No! Prima tu, perché sei più giovane», ribatté il mercante.

«Noo! Tocca a te, perché sei più anziano e perciò dovresti essere più
bravo».

«Va bene», rispose l’uomo, e cominciò: «Siamo cinque fratelli. Per cena
nostra madre ci cucina un uovo di gallina. Noi mangiamo a sazietà e andiamo a
letto satolli, ma l’uovo rimane intatto e ogni volta nostra madre lo ripone in
credenza. Mi sai spiegare la ragione di questo fatto?»

Il primogenito pensò e ripensò, ma non riuscì a trovare la soluzione.
Perse così la scommessa, giocandosi il cavallo.

Qualche tempo dopo, anche il secondogenito ebbe la stessa idea, poiché
progettava di guadagnarsi un corsiero e le redini grazie alla sella che gli era
toccata. Se ne andò quindi in città, dove finì per incontrare lo stesso
commerciante che aveva visto suo fratello.

«Buona giornata!», lo salutò.

«Benvenuto!», rispose l’uomo.

«Sono qui per affari», proseguì il secondogenito. «Possiedo una sella e
grazie ad essa spero di procurarmi un cavallo e la briglia».

«Ma quelle ce le ho io», rispose il commerciante, «basta che tu mi
racconti una storia fatta di bugie, ma che siano proprio incredibili,
altrimenti ci rimetterai la sella».

«Va bene», rispose il secondo fratello.

Cominciò a raccontare frottole ma non riuscì a finire la storia, perché
dopo un po’ gli mancò la fantasia e fu così che perse la sella e tornò a casa a
mani vuote.

Il
fratello più piccolo era calvo, ma molto intelligente. Un giorno anche lui
decise di andare in città per cercare fortuna, portandosi le redini avute in
eredità. Disse fra sé: «Le redini da sole a cosa mi servono? Non ho nulla da
perdere». Oltre tutto, gli era rimasta sullo stomaco la fregatura che avevano
preso gli altri due fratelli, una ragione in più per darsi da fare.

Così
si diresse in città, con l’intento di rimediare un cavallo e la sella,
mercanteggiando con le redini. Poiché la bottega dove gli altri due fratelli
avevano perso la scommessa era alle porte della città e dava subito
nell’occhio, il terzo fratello non fece fatica a trovarla.

Come si soleva fare a quel tempo, cliente e mercante si scambiarono i
saluti: «Che questo giorno ti sia amico!», disse il terzogenito. «Grazie!», rispose
il mercante.

«Ho sentito», disse il calvo, «che tu fai affari con le assurdità.
Eccomi qua, sono venuto apposta, perciò se vincerò mi darai il destriero e la
sella, altrimenti sarò io a cederti le mie redini».

«Meglio di così…!», approvò il bottegaio sorridendo ironicamente. «Non
perdiamo tempo».

Il mercante raccontò la sua storia: «Siamo cinque fratelli. Per cena
nostra madre ci prepara un uovo di gallina. Noi mangiamo e ci rimpinziamo e poi
andiamo a letto sazi, l’uovo però rimane intatto e nostra madre lo ripone in
dispensa. Saresti capace di spiegarmi il perché di questo fatto?».

«Facile!» rispose il fratello più piccolo. «Voi siete cinque fratelli e
vostra madre vi dà da mangiare solo un uovo, ma voi nello spartirvelo non
riuscite a mettervi d’accordo e così litigate fino al punto di arrivare alle
mani e poi, sazi… di botte, andate a letto! A questo punto, nessuno di voi
pensa più al mangiare, l’uovo rimane intatto e così vostra madre lo rimette
nella credenza…».

«Bravo! Hai trovato la soluzione», affermò il bottegaio, facendo finta
di non preoccuparsi tanto. «Adesso però tocca a te. Comincia a raccontarmi la
tua storiella, ma stai attento, perché deve sembrare solo un’enorme frottola».

«Mi svegliai una mattina», cominciò a raccontare l’ultimogenito, «ma
non era di mattina. Andai all’alveare senza favo a trovare le api operaie ma
non erano api operaie, le contai sommando e sottraendo, ma non riuscii a fare i
conti. Contai di nuovo le mie api e ne risultò una in meno. Essendo molto
amareggiato di aver perso un’ape operaia, presi uno spillo e un seme di zucca
selvatica e andai in riva al mare. Quando arrivai alla spiaggia, cercai di
vedere l’ape ma non ci riuscii, allora infilai lo spillo in terra vicino alla
riva, ci montai sopra e fui capace a distinguere in lontananza la mia ape.

Sull’altra sponda del Mar Adriatico c’era un contadino che arava la
spiaggia. A questo scopo aveva messo al giogo un bue e un’ape operaia, che
riconobbi come la mia.

Mi dissi: “Come farò ad attraversare il mare?” Seminai il seme di zucca
in riva al mare e mi sdraiai a riposare sotto l’ombra di un albero mozzo,
addormentandomi in pace a occhi aperti.

Mentre dormivo, il seme di zucca era germogliato e un ramo, crescendo
sulla superficie del mare, aveva raggiunto l’altra riva. Mi risvegliai e
camminando sopra il ramo oltrepassai le acque, raggiungendo così l’agricoltore
che arava la sabbia. Ci salutammo e subito gli chiesi: “Come mai hai preso la
mia ape operaia e l’hai messa al giogo?”.

Mi giurò che non era stato lui a impadronirsene e che era stata lei ad
andarci da sola. Io ne fui persuaso, in ogni modo gli chiesi un compenso, dal
momento che, non avendo potuto trarre vantaggio della mia ape operaia, ero
stato danneggiato. Per di più, l’ape aveva lavorato sodo, perciò una parte dei
frutti del suo lavoro apparteneva a me. Ci mettemmo d’accordo: il buon uomo
sostenne che dovevo aspettare la semina, la mietitura e il raccolto, finché
tutto fosse ben riposto nei sacchi.

Allora
il contadino seminò il grano, lo mieté, lo raccolse e lo mise nei sacchi.
“Ecco!” mi disse. “Questo è il tuo sacco di grano, come risarcimento del danno,
e questa è la tua ape”.

Caricai il sacco in groppa all’ape spartendo il grano su entrambi i
lati, poi mi sistemai nel mezzo, salutai il contadino e mi avviai verso casa.
Una volta giunti in mezzo al mare, vidi che il carico pendeva da una parte.
Scesi sull’acqua, ci stesi sopra una coperta e cominciai a contare tutti i
chicchi di grano uno ad uno, venne fuori un numero dispari. Tirai fuori
un’ascia che portavo con me e spaccai a metà il chicco di grano. In tal modo
potei pareggiare il peso del carico, quindi montai sull’ape e decollai di nuovo
andando verso casa. Una volta giunto nel mio cortile, vidi un grande
andirivieni di gente: mi informarono, infatti, della nascita di mio padre. Fui
tanto contento di quest’avvenimento, ne fui proprio felice.

Dovevo costruire una culla per mio padre. Chiamai trecento taglialegna
e affidai loro l’incarico di tagliare una foresta intera, ma la legna non fu
sufficiente per realizzare la culla di mio padre. Allora presi una scheggia di
legno che era rimasta attaccata alla lama dell’ascia, effettivamente mi bastò
per la culla e con quel che rimase costruii uno sgabello.

Poi mi servivano le fasce. Ingaggiai trecento pastori per tosare
tremila pecore, ma la lana venne a mancare. Era rimasto un pelo sul filo di una
forbice, con quello riuscii a tessere le fasce e ci cucii pure una coperta.

Dovevo
organizzare il banchetto per la nascita di mio padre, perciò un giorno pensai
di andare a caccia. Portai dietro tre fucili: uno rotto, uno fracassato e
l’altro senza grilletto e tre cani da caccia, uno morto, uno privo di vita e
l’altro senz’anima.

Impugnai il fucile senza grilletto e
insieme al cane senz’anima mi misi a seguire la selvaggina. Mi imbattei in tre
leprotti: uno cadavere, uno ucciso e l’altro ammazzato. Sparai il primo colpo e
feci cilecca, accoppai la lepre ammazzata e la portai via con me. Strada
facendo, mi trovai davanti tre case, una diroccata, una demolita e l’altra rasa
al suolo. Entrai in quella rasa al suolo e ci trovai tre vecchiette, una era
cieca, una priva di vista e l’altra non vendente. Domandai alla vecchietta
priva di vista se vedeva qualche pentola, e lei mi mostrò tre pentole: una
senza fondo, una rotta e l’altra sfasciata. Presi la pentola senza fondo e feci
bollire il leprotto privo di vita sopra un fuoco spento. La pentola tenne il
brodo e versò via tutta la carne. Così tutti e cinque, io e le tre vecchiette,
fummo soddisfatti del lauto pranzo, anzi ci avanzò tanta carne per la festa
della nascita di mio padre».

«Basta,
basta, non ce la faccio più! Mi sta scoppiando la testa!», urlò esasperato il
mercante. «Con questa storia hai superato qualunque fandonia. Prendi il cavallo
e tutto quel che ti serve, perché hai stravinto».

E
fu così che il calvo vinse la scommessa; caricò una grande carrozza perché da
solo non ce la faceva a portare via tutta la roba che si era guadagnato, tornò
dai suoi fratelli e insieme vissero felici e contenti.

 

Da: Anime in Viaggio
autori vari

© Edizioni Eks&Tra 2002
 e-mail: redazione@eksetra.net www.eksetra.net

 


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