Lima è la capitale del Perù, un Paese dellAmerica Meridionale, che si trova nella parte centro occidentale del
continente sud americano. Lima è una città grande con undici milioni di
abitanti, ha molti quartieri di diverso tipo, ricchi e poveri, brutti e belli.
Uno dei quartieri più famosi è ubicato nel centro storico della città e si
chiama «La victoria», dove cè molta povertà e delinquenza. Qui vivono i ragazzi
di strada, femmine e maschi, da sei a diciotto anni, che non hanno casa e
neanche famiglia, mangiano e dormono sulla strada, lavorano pulendo i vetri
delle macchine o pulendo le scarpe alle persone, giocano a calcio insieme e
mangiano sulla strada o nelle mense per le persone povere. Un giorno arrivarono
due uomini e una donna che volevano portare i ragazzi in una «casa di
protezione dei minori abbandonati» ma loro non volevano andare, perché uno di
loro aveva saputo che lì trattavano male i bambini, li svegliavano presto e con
urla, li facevano studiare in una scuola con professoresse cattive, si mangiava
male e li facevano lavare con acqua fredda la mattina presto. Avevano molta
paura e pianificarono come non farsi portare via. Pepito il più grande e con
più esperienza di vita sarebbe andato da suo zio lontano, per chiedergli di
dire che lui era padre suo e degli altri tre, Jaimito, Pichilin e Leto,
che erano meticci con la pelle cannella. Il problema erano le due ragazze
Marilù e Chavela che erano nere e non assomigliavano per niente allo zio e
potevano causare dei dubbi ai signori. Quindi, dopo una lunga ricerca dei
«protettori» si trovò
la zia Conchito
una signorina settantacinquenne, di quelle che ogni anno compiono la
stessa età, sola per scelta, convinta di avere fatto bene a non avere marito,
giacché «oggi, ieri e in futuro tutti gli uomini sanno solo schiavizzare le
donne fragili e sottomesse». Infatti sarebbe stato per lei un errore sposarsi,
avrebbe sofferto molto con un uomo cattivo e pigro, quindi era meglio stare così
e trascorrere gli ultimi giorni della sua vita in compagnia dei suoi tre cani,
due gatti e due pappagallini che tanto amava
Lei che conosceva tutto quello
che i ragazzi facevano per guadagnarsi dei soldi sulla strada accettò subito di
aiutarli. Avrebbe detto ai signori che loro erano nipoti di terzo grado, figlie
di una cugina che era morta giovane e vedova il cui marito era di discendenza
africana. Ma come fare con i documenti di certificazione della parentela? Fu
così che Doña Conchito e Don Panchito si misero daccordo per far fare ai
signori la visita lo stesso giorno, prima da uno e subito dopo dallaltro, in
modo da coordinare la loro strategia. Tutto era pronto e il famoso giorno della
presentazione arrivò. Prima i signori visitarono Don Panchito, zio di
Pepito, che dallinizio della visita offrì ai visitanti la bevanda tipica della
sua terra dicendo:
«Pisco puro, signori, cura tutti i mali, tranne quello fatto dallo
Shaman del Norte». Loro accettarono con piacere. Bevvero e dopo tante domande,
e bevande tra domande, gli occhi, il cervello così come la concentrazione si
persero e credendo nella parentela fra Don Panchito e i ragazzi se ne andarono.
Fatta un poco di strada a piedi arrivarono a casa della signorina Conchito che
aveva preparato abilmente un delizioso «lonchesito». I signori iniziarono con
le domande e Doña Conchito offrì subito loro di lasciare la freddezza della
riunione e condividere con lei la mensa che con tanto piacere aveva preparato.
Stanchi e con il cervello annebbiato accettarono piacevolmente linvito,
pensando che, in effetti, era meglio mettere qualcosa nello stomaco, dopo tanto
alcool bevuto prima. Dopo alcune ore di «chiacchiera» sul nulla e di mangiare i
ricchissimi dolcini
limeñi erano sazi e sonnolenti che quasi non prestarono attenzione alle domande
e man mano che le domande tornavano più difficili Conchito interveniva dicendo:
«Un po più di «mazzamorra morada»? Signore vedo che lei ancora ne vuole,
daltra parte il Cristo Morado si arrabbia, se lei rifiuta questi dolci che sono stati
fatti in vostro omaggio». La donna, che per natura è più intuitiva, e meno
portata ai piaceri dello stomaco, non faceva caso a questi complimenti, ma
Conchito, donna abile, offriva dolcini «light»: «Quelli che non ingrassano mai,
signorina!». Così la donna pensò che pure lei meritava di mangiare un po senza
mettere in pericolo la sua linea, assaggiò e perse pure lei il filo delle
domande e tutti dimenticarono loggetto della loro visita. Il tempo trascorreva
e si fece tardi. Gli invitati salutarono e se ne andarono a casa, ringraziando
Conchito e le dissero di ringraziare le due belle nipoti Marilù e Chavela per
la loro ospitalità. Lindomani i ragazzi erano di nuovo nella strada,
ringraziarono tanto i loro protettori per laiuto e continuarono le loro vite
senza problemi. Ogni tanto un litigio con i ragazzi più grandi di loro e con
quelli di altri quartieri che volevano occupare il loro posto nella strada, ma
in fondo tutto come il solito. Sembrava tutto normale quando arrivarono in piazza
«i musicisti ambulanti» che erano bravi, suonavano musica latinoamericana e
delle «andes» ogni giorno. I musicisti facevano ballare le persone suonando il
charango, il tambor, la zampoña, la chaccha e la quena. I ragazzi erano felici
ma vedevano che i poliziotti allontanavano sempre i musicisti. Erano sempre di
più le persone che li criticavano e volevano cacciarli dalla strada. Anche
Pepito e Chavela erano arrabbiati perché erano stati maltrattati da un
poliziotto che li aveva chiamati ladri e complici mentre difendevano uno dei
musicisti ambulanti, amico loro e che era stato aggredito violentemente da un
poliziotto, mentre stava raccogliendo il suo charango. Decisero
di farsi sentire e idearono una «marcia di protesta». Solo che dopo aver
raccontato lidea ai loro amici e visto come questi solo ridevano, decisero di
non fare niente. Il musicista pensò invece che era buona lidea e organizzò
insieme a i suoi colleghi un repertorio di canzoni dove cantassero pure i
ragazzi. Lavorarono molto a questa idea e una volta scritte le canzoni si
rivolsero ai ragazzi che in un primo momento ebbero paura, ma dopo pensarono
che era la migliore idea per porre fine agli abusi dei poliziotti. Insieme
ragazzi e musicisti ambulanti bussarono a molte porte, ma chiunque ascoltò la
loro idea gli rispose con ogni tipo di risate, urla e male parole. Senza darsi
per arresi trovarono un vecchio cinema abbandonato. Utilizzarono i loro
risparmi per sistemarlo al meglio e dopo tante prove insieme fecero conoscere
il titolo dello spettacolo: La voce dei
senza voce. Il primo giorno di prove ufficiali chiamarono i loro amici
della piazza, gli ambulanti, Don Panchito, Doña Conchito e tre amiche
professoresse di Doña Conchito, per avere il loro giudizio. Gli invitati
risero, piansero, rifletterono e alla fine dissero che lo spettacolo era molto
buono e meritava di essere ascoltato dalle autorità. Doña Conchito fece delle
cartoline di invito in buona carta approfittando di un parente che aveva una
tipografia. Don Panchito si incaricò invece di spedire gli inviti al sindaco di
Lima, ai canali televisivi e alle stazioni radio. Il gran giorno arrivò e loro
erano tutti puliti con vestiti nuovi di colore bianco e rosso che Doña Conchito
aveva cucito per loro, in omaggio ai colori della bandiera peruviana. Il
sindaco arrivò cosi come qualche canale di televisione e stazione radio. Lo
spettacolo iniziò con le parole di Pepito: «Siamo i ragazzi della strada,
quelli che puliscono le vostre scarpe, quelli che ogni giorno dormono sulla
strada fredda, quelli che non hanno né mamma né papà, quelli che non studiano,
non perché non vogliono, ma perché se non si lavora non si mangia, quelli che
danno fastidio alle autorità, perché impediscono il traffico, pulendo i vetri
delle macchine, quelli che siamo presi a calci nel sedere, perché facciamo
puzza. Oggi siamo qui per dimostrare che, i poveri e i deboli come noi,
possiamo fare qualcosa per migliorare. Siamo fragili a guardarci, ma forti di
cuore e speriamo che quello che abbiamo preparato per voi vi sembri buono,
perché noi vorremo farvi sentire cose buone, ma non possediamo molto e questo
che oggi vi diamo e tanto quanto possiamo dare ed è molto, perché porta con se
tutto il nostro impegno e il nostro amore a chi non ha ancora capito che siamo
persone». Lo spettacolo iniziò e fu un grande successo e i ragazzi e i
musicisti ripeterono da quel giorno in poi lo spettacolo sempre con più
persone, che assistevano e pagavano per vedere il loro lavoro.
Vocabolario
Charango: strumento musicale andino
simile alla chitarra.
Chaccha: strumento musicale fatto con
le dita della zampa della capra essicata.
Tambor: tamburo.
Zampoña: strumento musicale a fiato
fatto di papiri vuoti uniti con lana.
Quena: strumento musicale a fiato fatto
di legno tagliato.
Lonchesito: merenda.
La victoria:
quartiere di Lima.
Limeñi: gli
abitanti di Lima.
Don/Doña : termine usato per
rivolgersi alle persone adulte con
rispetto.
Mazamorra morada:
dolce tipico di Lima.
Cristo morado:
Gesù patrono della città di Lima.
Pisco: bevanda
tipica del nord del Perù.
Shaman del Norte: lo stregone del Nord
del Perù, al quale si attribuiscono poteri soprannaturali sia per il bene che
per il male.
Da: Anime in Viaggio
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