Perdersi quanto basta – Paul Rozario Falcone, Noemi Tommasini, Alice Vignadoli

La stanza è un caleidoscopio di colori, come se un arcobaleno fosse esploso sulle pareti e sul soffitto, lasciando una scia di vernice ovunque.

Una ragazza adolescente è sdraiata sul letto, in videochiamata con le amiche, con le dita che volano sulla tastiera mentre condivide le ultime riflessioni sul trucco e sui ragazzi. La musica pop risuona dagli altoparlanti nascosti negli angoli della stanza, il ritmo rimbomba come un battito cardiaco. Lei parla eccitata, il viso arrossato per l’emozione, quando di colpo la conversazione cambia. Cominciano a parlare della festa di quella sera e il suo entusiasmo sembra affievolirsi.

Gli amici le chiedono spiegazioni. Lei esita, muovendo nervosa i pollici sui tasti.

– Raga, – confessa alla fine, – io non l’ho chiesto il permesso ai miei per venire stasera, ho solo parlato del concerto, ma non ho chiesto il permesso per raggiungervi alla festa, dopo. 

La sua voce si abbassa a un sussurro e sente un nodo allo stomaco. Non sopporta il controllo dei suoi genitori, il modo in cui la tengono intrappolata a casa, incapace di vivere le cose che desidera. I suoi amici sono comprensivi, capiscono come si sente, ma la incoraggiano a insistere con i genitori per andare alla festa. Sentono la sua mancanza, quando non c’è, e vogliono poter condividere con lei questi momenti speciali.

Giulia sospira e le spalle si abbassano.

– Non lo so, – ammette. – È solo che non voglio chiederglielo. È come ammettere che ho bisogno del loro permesso per vivere la mia vita.

I suoi amici annuiscono in segno di comprensione, le amiche si scambiano sguardi preoccupati dagli schermi mentre lei si alza, prende la borsa dei trucchi e cammina verso l’armadio.

– Beh, – dice uno con esitazione, – se davvero non vuoi chiederglielo, allora dobbiamo trovare un altro modo per farti arrivare lì. Forse potresti uscire di nascosto o qualcosa del genere?

Altri due si scambiano un’occhiata di disagio. Sanno che i genitori della loro amica sono severi, ma non vogliono che lei si metta nei guai.

Mentre Giulia continua a scegliere i vestiti, nei suoi pensieri corrono le possibilità.

Una parte di lei vuole andare alla festa, per sperimentare la libertà e il divertimento, ma un’altra parte di lei sa che disobbedire ai suoi le porterebbe solo problemi. Prova un abito argentato e scintillante, lo fa roteare davanti allo specchio prima di mostrarlo alle amiche. Tutte rimangono a bocca aperta e le dicono quanto è bella.

– Giulia si sta già preparando.

– È proprio convinta, allora.

Al tavolo della cucina, madre e padre si guardano rassegnati, prevedono già la discussione che avranno con la figlia quando scenderà le scale. Saranno i nuovi amici, sarà l’età, ma Giulia è irrequieta negli ultimi tempi. Ha sempre nuove richieste. Luca guarda in alto verso la camera della figlia, dove il rumore dei passi rimarca i preparativi.

– Quella di stasera è troppo! – Paola in questi casi è la più severa. – La voglia di nuove esperienze è giusta, ma a quattordici anni non può pretendere di svegliarsi una mattina e avvisare che va a un concerto. Ha idea almeno di cosa siano, i concerti? 

Paola non vuole certo chiudere la figlia in casa tutti i giorni, ma crede che le autonomie vadano date per gradi e un concerto, di punto in bianco, è un passo troppo oltre il suo concetto di gradualità.

– Sentiamo cosa ha da dirci. – Luca sente la figlia scendere. – Magari ha qualche informazione in più rispetto a stamattina.

Giulia è pronta. Ha indosso i vestiti comprati di recente, i capelli lavati ben raccolti e una borsa a tracolla, che usa solo nelle occasioni speciali. Una giovane donna, con la faccia tesa e lo sguardo difficile da incrociare.

– Non torno tardi, – esordisce, sapendo che la discussione è inevitabile.

– Ecco, hai già deciso tutto da sola!

Il padre alza gli occhi al cielo, preparandosi al ruolo da paciere tra le due donne di casa.

– Io voglio uscire, come le mie amiche. Mi stanno già aspettando.

– Non abbiamo mai deciso che saresti andata al concerto!

– Mamma, non è pericoloso, vado ad ascoltare musica con altra gente, come fanno tutti.

– Sai cosa può succedere a un concerto?

Mentre la madre attacca l’elenco dei vari pericoli, il padre si rivolge a Giulia.

– Ci dici almeno quali sarebbero i piani della serata?

Giulia sfodera i dettagli, con tanto di nomi delle amiche e particolare enfasi su quelli che la madre considera di fiducia, il tipo di concerto, adatto alla sua età e l’orario di rientro.

– Alle dieci e mezza sono già casa. 

I genitori si confrontano. Paola è ancora scontenta, Luca dice che gli sembrano richieste normali. Dopo il botta e risposta, arriva il verdetto. Giulia può uscire.

– Però per il ritorno non preoccuparti, alle dieci saremo al parcheggio. È tardi per rientrare sola.

– No, dai, non sono una bambina!

Giulia vede il suo piano svanire, Paola torna a innervosirsi e minaccia di rimangiarsi tutto. Luca ormai non è più di supporto, anzi, inizia a innervosirsi pure lui. Più volte, tornando dal lavoro a piedi, ha potuto osservare le strade del quartiere e più volte ha provato ad immaginarsi la figlia camminare di sera nelle stesse strade. Certi sguardi delle persone, certi vicoli bui, gli facevano pensare che il quartiere si stava impoverendo e la gente stava peggio. Luca sapeva bene che assieme alla povertà aumentano anche le difficoltà e la rabbia. Di certo sua figlia non era ancora pronta ad affrontare quelle vie.

– Non insistere. – Dice solo questo, ma il tono è definitivo.

Giulia capisce che non può ottenere di più e molla il colpo. Troverà una maniera di essere alle dieci al parcheggio.

– Ehi, Franci. Ho bisogno di parlare con te. Ho litigato con i miei, non li sopporto più. Mi hanno dato il permesso per uscire eh, però alle loro condizioni. Mi sento sempre con il fiato addosso. Non ce la faccio più, cazzo. Era tutto perfetto. Loro però devono sempre controllare ogni mio movimento, per questo vorrebbero venire a prendermi a fine concerto, davanti al cancello. Se lì beccassi ad aspettarmi con biberon e passeggino non mi stupirei. Comunque sono uscita e troverò il modo di essere al parcheggio alle dieci. Concerto e dopo festa, così è deciso. Appena finisce vi raggiungo. Sai chi ci sarà?

L’amica, prima di rispondere, tira un sospiro di sollievo

– Sei sicura? Te la senti? E poi come ci arrivi alla festa? A piedi? Non hai paura, di notte? Comunque ci siamo tutti: io, Matti, Andrea, Ste, Carla e Sabri. Più altre persone che non conosco. I cosiddetti amici di amici.

– Ahhh!!! Ora ti ci metti anche tu? Non sono una bambina, cazzo. Ce la faccio a fare venti minuti di camminata a piedi da sola, oppure vi siete tutti messi d’accordo per rompermi il cazzo oggi? Il concerto finirà verso le undici e mezza, uscirò prima e verrò da voi. Non c’è nessun pericolo. Mi sembra tutto ridicolo, che si faccia un dramma per un problema che non esiste. Comunque bene per chi c’è, sono contenta ci sia Mattia.

Conclude, confusa tra il sorriso di quel pensiero e le lacrime che le rigano la faccia.

– Mi preoccupa più la sua reazione che il concerto, ad essere sincero. Non credevo diventasse così insistente riguardo il rientrare sola.

– A me invece è l’intera serata a preoccuparmi. Oltre che nostra figlia. 

Paola esprime le sue paure, le stesse che da settimane la infastidiscono. Non saprebbe dire esattamente cos’ha di diverso la figlia, ma nell’ultimo periodo non riescono a parlare. Come se non si riconoscessero più, come se avessero cambiato codici e linguaggi, e perso il punto di connessione, fino a rendere impossibile lo scambio. Giulia fa strane domande, sulla loro decisione di abitare in quel quartiere, sulle differenze rispetto a quello di prima. Ha chiesto alla madre cosa ne pensa, se le piace, se è contenta o se si aspetta qualcosa di meglio. Come se fosse alla ricerca di conforto, ma senza domandarlo. Come se cercasse punti di orientamento, senza che fosse realmente persa.

Mentre ascolta la moglie, anche Luca si incupisce. Non vuole cedere all’inquietudine, ma in effetti Giulia fa cose bizzarre. Giusto il giorno prima avevano avuto una curiosa conversazione sulla cassetta della posta. Giulia era certa che fosse diversa da quella solita. “Dai papà, dimmelo che l’hai cambiata, non mi prendere in giro. Non vuoi dirmelo perché sai che mi piaceva quella di prima”. Alla fine l’aveva convinta, ma aveva dovuto insistere. E non può che dare ragione a Paola, sullo strano atteggiamento della figlia.

– Dai, tra un paio di ore la andiamo a prendere, – prova a sdrammatizzare, – non preoccupiamoci. La piazza del concerto non è poi così lontana… – Sempre che sia andata al concerto! – La madre è già partita con le sue cospirazioni. – Ma certo, dove deve essere? A cercare la vecchia cassetta della posta? – Il padre la mette sull’ironia, ma adesso anche lui è preso da una strana preoccupazione.

Quando Giulia entra nella sala ben illuminata, il ritmo pulsante della musica la avvolge come un abbraccio. Le luci stroboscopiche danzano sui volti della folla, proiettando ombre fugaci che seguono i battiti della musica. L’aria è densa, vibra dell’energia che la circonda.

Ovunque guardi, vede un mosaico di colori e stili. I ragazzi più cool sono vestiti in modo spigoloso e futuristico, con accenti al neon che brillano sotto le luci nere.

Vicino, un altro gruppo ha formato un cerchio stretto, i cui abiti sono un omaggio ai loro personaggi preferiti. Un ragazzo indossa un mantello con l’emblema del supereroe preferito, mentre una ragazza sfoggia un paio di occhiali che ricordano la protagonista di un manga. Ridono e chiacchierano, ma Giulia non riesce a lasciarsi andare e a godersi la scena.

Il suo sguardo si sposta su un gruppo. Vede gli intricati dettagli dei loro abiti, dalle elaborate armature di un cavaliere medievale alle vesti eteree di una maga, tutti illuminati dai faretti multicolori che animano la sala da ballo. Mentre si muove tra la folla, avverte un senso di ansia. Questa è più di una semplice festa: è una porta verso un mondo nuovo, dove i confini della realtà si confondono e dove le sue paure sembrano crescere allo stesso tempo. Mentre si perde nella musica e bagliori, sa di essere spinta verso l’ignoto. Scruta le persone, cercando un volto familiare in mezzo a quel mare di sconosciuti, ma i suoi amici non si trovano da nessuna parte. Il petto le si stringe e sente l’inizio del panico.

Per calmare i nervi si dirige verso il bar, dove l’aria è densa di alcol e sudore. Ordina un drink, il liquido brucia quando le scivola in gola, ma non serve a placare i pensieri affannosi.

Le persone le si avvicinano, le voci si confondono con la musica, non riesce a capire cosa stiano dicendo. Gesticolano e ridono, le loro espressioni sono sfocate e indistinte e lei si sente come se stesse osservando la scena da lontano.

Cerca di concentrarsi, di escludere il rumore e di trovare i suoi amici, ma più si sforza e più si sente persa. Quando finalmente scorge Alessandra e Bettina, il sollievo la inonda. Spingendosi tra la folla, le raggiunge, accolta con ampi sorrisi e abbracci emozionati.

– Dove sei stata? Ti abbiamo cercato dappertutto! – esclama Alessandra, la voce appena udibile sopra il rimbombo della musica.

– I tuoi genitori ti hanno fatto penare? – interviene Bettina – Hai ballato con qualche ragazzo carino?

Giulia non riesce a concentrarsi sulle loro domande, la sua attenzione è distolta dalle luci e dai bassi martellanti. Cerca di rispondere, ma le sue parole si perdono nel caos.

Alessandra e Bettina si scambiano sguardi preoccupati.

– Ma stai bene? Lei annuisce, forzando un sorriso.

– Sì, sto bene. Sono solo… sopraffatta, credo.

– Beh, andiamo via da qui, – suggerisce Alessandra, guidandola verso l’uscita. – Possiamo trovare un posto più tranquillo per parlare.

Giulia invece si allontana. Anche la loro preoccupazione è opprimente. Si getta nello sciame di persone che la circonda. Le amiche urlano e cercano di trattenerla, ma lei è sommersa dalle onde di corpi.

Poi il silenzio.

È fuori. Dopo le scalette, il viale a sinistra. Si è soffermata spesso a osservare gli alberi in linea lungo la strada. Anche oggi lo sguardo si posa sulle foglie, quelle per terra, già cadute. Di solito trova rassicuranti quei tappeti arancioni, ma oggi è come se non li avesse mai guardati bene. Non le va di calpestare le foglie per sentirle scricchiolare, le osserva di lontano come per riconoscerle. Anche il viale ha particolari che non aveva mai colto. Improvvisamente le pare lungo, lunghissimo, e quegli alberi allineati non sono più tanto rassicuranti, anzi sono rigidi, severi, solenni.

Ha la sensazione che ci sia qualcosa di diverso, non riesce più a riconoscere ciò che la circonda: strade, case, persone, forse anche colori e forme. Così tante volte si è sentita circondata da sconosciuti, pur trovandosi in un ambiente familiare. Eppure tutto questo le pare nuovo. Guarda i passanti e vuole chiedere loro indicazioni, prende coraggio.

Si avvicina a un signore sulla sessantina. Fuma una sigaretta e ha lo sguardo perso. Sobbalza quando sente la sua voce, forse percepisce la sua irrequietezza.

Per un attimo, prima di parlare, Giulia si sofferma sui suoi lineamenti. Ha i tratti così spigolosi che preferisce non avvicinarsi troppo. Gli occhi sono piccoli e cupi, neri. Non ha mai visto occhi così, sembrano vuoti, o forse troppo pieni e profondi perché qualcuno sappia coglierne la verità.

La sua bocca pronuncia un timido – Dove sono? – L’uomo non la sente nemmeno.

Lei non riesce a capire cosa le è preso. Che sia stato l’alcool? Ma ha bevuto giusto un cocktail, e il malessere era iniziato prima.

Ora lo smarrimento le fa sentire la mancanza di casa, dei suoi genitori. Ma non ha idea di come tornare, è troppo confusa. Pensa di arrendersi, si sdraia su un prato. Sente l’erba sotto il collo e le sembra calda. Gira la testa finché non le solletica le guance. Chiude gli occhi e preme le dita sulla terra, sentendola entrare nelle unghie. L’umidità si confonde con le sue lacrime. Vede un singolo filo verde che diventa sempre più grande. Terrorizzata, si rende conto che tutta l’erba sotto il suo corpo sta schizzando verso il cielo. Grida e cerca di mantenere l’equilibrio, ma capisce che non deve farsi prendere dal panico. Per quanto le sue gambe e le sue braccia si agitino, l’erba che cresce la sostiene e le impedisce di cadere. Guarda in basso e il giardino in cui si trovava, le persone intorno a lei, gli edifici, diventano sempre più piccoli.

– Non c’è, non c’è!

Paola non prova neanche a nascondere la forte preoccupazione. Ormai la piazza è semi vuota e di Giulia neanche l’ombra. Escono dall’auto in contemporanea, come se la frase di lei fosse stata un segnale. Ora l’angoscia sta raggiungendo entrambi.

– Cerchiamola. 

Il padre si dà da fare, ma niente, non la trovano, non incrociano neanche le sue amiche, anzi, solo persone con visi poco rassicuranti. Non chiedono informazioni, non vogliono svelare di avere perso la figlia, si sentono scoperti, colpevoli, confusi. Girano per la piazza, per le vie accanto. Stanno davvero setacciando le strade limitrofe o stanno solo camminando sugli stessi metri? E poi, da quanto la cercano? Ormai neanche si parlano più, si lanciano solo sguardi che da preoccupati diventano terrorizzati. Si dividono nella ricerca, ma dopo poco si ritrovano. Non riescono a stare distanti, quasi che la vicinanza desse loro forza.

A un tratto, vedono una volante della polizia. Vanno verso il blu che lampeggia. La conversazione è strana.

– Avete bisogno?

– Era qui il concerto, vero?

– Certo, – risponde il poliziotto, sorpreso della strana domanda. Il palco è ancora montato alle loro spalle, dove altro avrebbe dovuto essere il concerto?

– Cercate qualcuno? – incalza l’agente.

– Nostra figlia! Avevamo appuntamento qui, alle dieci.

– Quanti anni ha la ragazza?

– Quattordici.

– Volete denunciare la scomparsa?

Alla parola scomparsa Paola scoppia in lacrime.

– Aiutateci!

I due descrivono la figlia, il suo abbigliamento. Il poliziotto deve spesso ripetere le domande, i genitori sono entrambi in preda al panico, non si ricordano i dettagli, sono confusi. Lasciano i loro contatti, e si rimettono alla ricerca. Ma ormai non sanno bene cosa fare. Salgono in macchina, Guardano la piazza vuota, si sentono colpevoli, increduli per quello che sta succedendo. Girano guardando con gli occhi puntati fuori dai finestrini, ma incontrano solo sguardi cupi, inquieti, inquisitori. Si allontanano, tornano indietro. Alla quinta volta che passano per la stessa strada, un uomo seduto su un muretto, che fuma quella che sembra una sigaretta, chiede perché continuano a girare, passare di lì e a guardarlo. Non lo sanno. – Che via è questa? – chiedono all’uomo senza rispondere alla domanda. – La via che dovete prendere per andarvene da qui.

Luca ingrana la marcia e accelera.

– Pensavo di conoscere questa parte della città… – I suoi occhi confusi scrutano le facciate degli edifici mentre passa. Paola non risponde, ma si chiede: “Non dovremmo aver già superato un centro commerciale su questa strada?”

Mentre l’auto si muove lenta lungo strade prive di traffico, si alza un alito di vento. In principio si limita a spazzare le foglie sulla strada. Luca nota che le cime degli alberi iniziano a ondeggiare. Il fruscio degli alberi si fa più forte. Paola controlla il telefono, ma non c’è segnale. Prende quello di Luca, nessuna tacca anche lì. Il vento inizia a soffiare cartacce e rifiuti intorno all’auto e il suo fischio diventa ancora più forte. In lontananza si va formando un imbuto d’aria grigia, in un cielo sempre più scuro. Un lampo attraversa il cielo. Il vento ulula. 

– Ferma la macchina! –, grida Paola. 

Luca cerca di frenare, ma l’auto continua a muoversi. 

– Il vento ci spinge –, urla in preda al panico. L’auto inizia a sollevarsi da terra. Pezzi di legno sbattono sulla lamiera. Un bidone della spazzatura si schianta sul parabrezza, che per miracolo non si rompe. Paola e Luca si aggrappano l’uno all’altra. Si trovano ad almeno dieci metri da terra.

Nel frattempo, dall’altra parte della città, Giulia si ritrova dentro a un grande imbuto d’aria che ora aspira foglie, rami, rifiuti e pezzi di recinzione. Fatica a muoversi mentre il vento la solleva lentamente da terra. Urla e cerca di allungare la mano per afferrare qualcosa. Ma nulla può impedirle di essere attirata verso l’imbuto. Quello che succede dopo avviene in modo confuso. La massa d’aria che si contorce ha preso non solo il corpo di Giulia, ma anche quello dei suoi genitori, e dell’auto su cui viaggiavano. Tutti ruotano in un vortice d’aria, in alto sopra la città, con i corpi avvolti da lampi e suoni fragorosi. All’improvviso, un grande lampo accecante oscura il cielo notturno, la città, il tornado e tutto ciò che vola nell’aria. Quando la luce scompare, il vento si ferma, il tornado si è disintegrato e tutto è come prima: tranquillo, ordinato, normale. Se non fosse che Giulia si ritrova davanti alla porta di casa, mentre Paola e Luca sono di nuovo in macchina e girano per la città alla ricerca della figlia.

Giulia crolla per il sollievo di trovarsi di nuovo su un terreno familiare. Corre in casa, chiamando i genitori. Ma la casa è vuota e loro non si trovano da nessuna parte. Disperazione. Mai, prima d’ora, Giulia si è sentita così sola.

Il senso di colpa la divora da dentro, le bugie, il comportamento così immaturo. Si domanda dove siano i suoi genitori, sente che è successo qualcosa di brutto.

Le tornano in mente i momenti trascorsi insieme, quella fortuna che non prende in considerazione poi così spesso: ha una famiglia, e tanto basta. Da quell’unico pensiero, iniziano ad arrivarne altri.

Com’è possibile affrontare il dolore della perdita? Le persone le perdi davvero? Dove vanno? Perdersi significa non essere presenti a sé stessi? E noi, quando ci sentiamo persi, dov’è che andiamo, esattamente?

Ancora a terra, seduta, con le lacrime le rigano il volto, quando sente la porta di casa aprirsi.

I suoi genitori stanno bene. La abbracciano, le chiedono scusa. Lei ricambia, con tutta la passione di cui è capace.

– Come stai, amore? – chiede Paola. – Abbiamo avuto così paura di non rivederti più. Ci siamo resi conto del nostro comportamento. È che sei davvero importante per noi, ma sappiamo di essere troppo apprensivi, e che questo atteggiamento ti allontana e soffoca. Scusaci, Giulia. Perdonaci. È stato terribile, tutto. Litigare, cercarti ovunque e non sapere dove fossi, ritrovarsi per aria, non si vedeva più niente. Ti vogliamo bene, vogliamo parlare con te, lasciare che tu abbia i tuoi spazi, abbiamo paura di perderti.

Giulia risponde con un grande sorriso.

– Anche io vi voglio bene, ho avuto così paura, mamma. Sono arrivata a casa credendo di trovarvi qui, invece non c’era nessuno. Ho pianto disperatamente, mi sono sentita angosciata. Vi chiedo scusa. Per le bugie e per il mio atteggiamento. Non succederà più. Sono davvero felice di potervi abbracciare ancora.

La fiducia, la fortuna di potersi e sapersi affidare a qualcuno, trovare braccia accoglienti. Tutto può essere bene e male, coglierne la sfumatura è tanto difficile quanto necessario.

Ora Giulia lo sa.