Invisibili – Chiara Comis, Fabricio Di Fausto, Margherita Maggi, Lea Paiella
La sera del Martedì Grasso dell’anno 2027 le migliaia di persone che si erano riversate nelle strade non riuscivano a spiegarsi cosa stesse succedendo. La Città non era mai stata nota per il suo Carnevale: com’era possibile che quell’anno fosse così spettacolare? Personaggi del folklore locale si mescolavano a uomini vestiti da alberi, persone impiumate come uccelli, donne con abiti da monache che lasciavano intravedere i seni, bambini travestiti da diavoli. Chi erano tutti quei teatranti, giocolieri e ballerini, truccati di blu e coperti da vestiti abbinati a casaccio, che scorrazzavano ovunque invadendo le piazze?
Nessuno aveva visto da dove fossero arrivati. Nessuno si era accorto che, mentre la sfilata dei carri avanzava chiamando a raccolta grandi e bambini, nelle case rimaste vuote, da ogni portone, cancello, atrio, cortile e giardino le Creature dipinte di blu erano uscite, senza essere viste, mescolandosi con la folla. Una, addirittura, era sgusciata fuori dalla casa del Sindaco: la porta dello sgabuzzino si era mossa, la maniglia si era abbassata, dita lunghe e ossute si erano aggrappate all’anta spingendola avanti. Il gatto grasso che dormiva sulla poltrona aveva aperto gli occhi, si era stirato sulle zampe e si era avvicinato con le orecchie dritte. La Creatura aveva mosso un passo avanti verso il centro del salone: era simile a un uomo, ma dai contorni più indefiniti, e la sua figura poteva far pensare a vecchie filastrocche sulle Creature del buio, anche se alla fine non era poi così nera come recitavano quelle cantilene, era piuttosto di un blu profondo e notturno. Anche a volerla guardare meglio in viso, sembrava che ogni movimento le disegnasse un taglio diverso degli occhi, una bocca nuova, un naso con un profilo differente da quello che aveva un istante prima. La Creatura aveva accarezzato il gatto sulla schiena ed era tornata nello sgabuzzino giusto in tempo per prendere un vecchio impermeabile color cachi e un cappello da uno scatolone. Con quelli addosso si era diretta verso il portone. Il gatto era saltato sul davanzale per guardarla uscire: una sagoma blu avvolta in vestiti fuori stagione che scendeva per il vialetto del giardino e spariva oltre il cancello.
Una volta fuori, agitando le braccia al grido di “parmass, parmass”, la Creatura si fece strada tra la gente che la salutava complimentandosi per il costume originale e la presenza scenica. Arrivando davanti alla cattedrale, si fermò di colpo: sulla scalinata, un individuo mascherato danzava uno stranissimo ballo. La Creatura intuì che dietro la maschera cornuta di cartapesta rossa c’era uno dei suoi simili, un’altra Creatura blu. Anche il ballerino la riconobbe e, chiamandola con un gesto, la invitò in una danza di coppia. La gente si fermava a guardarli affascinata, una decina di ragazzi e ragazze si unì a loro, poi altre Creature blu e altri passanti, riempiendo tutto lo spazio della scalinata.
Più in là la sfilata proseguiva e dai carri piovevano palloncini a centinaia. Mani blu si tendevano verso il cielo per afferrarli, poi, con movimenti da prestigiatori, li trasformavano in forme mai viste prima: draghi, elefanti, unicorni, farfalle. I bambini si fermavano a guardare meravigliati e le Creature blu porgevano ad ognuno il frutto della loro magia. Non si era mai vista una cosa del genere in quella Città!
I festeggiamenti durarono fino a sera. Ci fu chi rimase a divertirsi anche oltre il tramonto: i più grandi invitavano gli amici per cena, ragazzi e ragazze appena adolescenti pregavano i genitori di rimanere ancora un po’. Per lo più, a spassarsela per la città buia, erano ragazzi e ragazze tra i venti e i trent’anni. In Via dell’Università, sotto i portici illuminati dai lampioni, un gruppo di amici rideva passandosi da bere.
– Ho provato a calmarlo, – diceva uno, – ma mica ha smesso di piangere! Gli dicevo: “Gio, sono io, il tuo cuginone!”, ma lui niente.
– L’hai spaventato! – rispondeva un altro.
– Poveretto, con questo costume che ti sei messo!
– Ma dai! Questo straccio? Ce n’erano di più belli!
– È vero, quest’anno ce n’erano certi… spaventosi, no?
– Di che parli?
– Non li hai visti?! C’erano dei tipi, alla parata, che avevano dei costumi… anzi, un trucco… un trucco in faccia e su tutto il corpo, davvero pazzesco.
– Eh, avranno pagato un truccatore bravo.
– Per forza… uno che ha lavorato con Spielberg.
– Addirittura!
– Ti dico di sì… erano davvero ben fatti, sembrava che avessero la pelle di quel colore come dei veri…
– Veri cosa?
– Che ne so, non so cosa sembravano…
– Ci abbiamo anche ballato, con quei tizi blu, sulle scale della chiesa. A uno gli ho anche chiesto da cosa si fosse vestito.
– E che ti ha risposto?
– Che era l’Uomo Nero. E io allora gli ho detto: “Ma se hai la faccia blu e un impermeabile?! Non sembri The Boogeyman, sei molto più fico!”
– E lui?
– Ha fatto una smorfia che non si capiva. Sembrava un sorriso, però, in effetti, faceva anche paura.
Calò per un attimo il silenzio. Poi, il ragazzo che aveva iniziato l’argomento, tornò a parlare:
– Chissà chi erano davvero quei tipi.
L’amico che gli era seduto accanto buttò giù un sorso di birra:
– Eh, chi erano… gente con i soldi, a questo punto…
– Tipo?
– Tipo… tipo il Sindaco, tipo!
L’amico fece una smorfia, troppo ubriaco per riuscire a ribattere. Cercando di raggiungere il muretto, cadde con il sedere per terra. Si guardò intorno e, mentre lottava contro l’alcol che gli riempiva lo stomaco, vide in lontananza una di quelle persone con il trucco blu.
– Ehi! – urlò.
Gli amici si girarono a guardare.
– Se ne va ancora in giro a mostrare il suo bel costume!
– Oh! Sindaco! Vieni qui! Facci vedere il trucco!
La persona rimaneva ferma, lontana: una figura lunga, immobile sotto i portici. Aveva alzato un braccio e aperto una mano in un gesto che forse era un saluto, forse una minaccia. Un senso di inquietudine attraversò il gruppo di ragazzi.
– Oh, che c’è?! Che hai da guardare?! I nostri costumi fanno schifo, sì, e allora?! – continuò l’ubriaco.
Nessuna risposta. Uno degli amici gli fece cenno di stare zitto. La figura si mosse. I ragazzi la seguirono con lo sguardo mentre attraversava la strada, allontanandosi verso la piazza. Nessuno accennò a richiamarla indietro o a fermarla. E quella continuò la sua passeggiata.
Il ragazzo ubriaco si stropicciò gli occhi e, dopo alcuni tentativi, riuscì ad alzarsi. Per un istante, in lontananza, vide la sagoma che ancora camminava. Gli sembrò di vederne anche altre, molte altre, muoversi sotto i portici della Città.
– Torno a casa, – fece uno degli amici, raccogliendo le sue cose. Gli altri gli furono subito dietro. – Oh, tu che fai? Rimani qui?
Il ragazzo ubriaco ci mise un po’ a capire cosa stesse succedendo.
– No, no, vengo con voi, – rispose. E tutti, uno accanto all’altro, tornarono verso casa in silenzio.
Dalle campagne soffiava un vento leggero che cullava le decorazioni del Martedì Grasso. Beppe, Sindaco della Città da ben quindici anni, pensava soddisfatto al successo del Carnevale mentre rientrava a casa con i suoi due gemellini, Leo e Ilse. I ballerini e i teatranti, soprattutto, erano stati un vero successo, anche se gli pareva strano che non sapesse nulla della loro presenza e che l’Ufficio culturale non lo avesse avvertito del loro ingaggio. I due bambini, intanto, scorrazzavano per la piazza semideserta, salutando i netturbini che avevano iniziato a ripulirla e i turisti, seduti sulle gradinate del grande Palazzo Comunale, che scattavano ancora qualche foto. Beppe si bloccò di colpo proprio all’inizio della via che collegava la piazza a casa sua. Un’insolita figura gli aveva tagliato la strada per poi rannicchiarsi dietro un lampione, ancora spento. Beppe si stropicciò gli occhi: la strana figura sembrava indossare un impermeabile color cachi, proprio uguale al suo! Riaperti gli occhi stropicciati, lo strano individuo non c’era più e il lampione si era acceso illuminando la strada.
– Babbo, babbo! Guarda, i giocolieri!
I due bambini, intanto, erano arrivati da lui tutti contenti indicandogli qualcosa che stava ferma, dall’altra parte della piazza, accanto a un albero: una figura, dal viso irriconoscibile con indosso un sacco di juta e un turbante, stava in piedi e li fissava, agitando una mano.
– Guarda babbo, ci fa ciao con la mano. È un giocoliere! – strillarono i bambini. – Andiamo a vedere!
– No, bimbi! – esclamò inquieto Beppe. – Torniamo a casa, si è fatto tardi e il Carnevale, per quest’anno, è finito! – e, rialzando gli occhi, si accorse che anche la persona col turbante era sparita.
Riprendendo la strada di casa, si fermò a parlare con un netturbino che spazzava lì accanto:
– Ha visto qualcosa di strano questa sera in piazza?
– Signor Sindaco, – rispose quello, – meno male che è qua! Sta succedendo qualcosa di strano qui in Città… ci sono delle persone con il viso dipinto di blu! Un mio collega dice di averne visto un gruppetto parlare tra loro proprio qui in piazza poco prima che i lampioni si accendessero. Dice che, appena si sono accesi, tutte quelle persone sono sparite all’improvviso! Per la paura il poveretto è svenuto e io e gli altri, trovandolo a terra, abbiamo dovuto riaccompagnarlo a casa. Non si fanno questi scherzi alla gente che lavora!
– Capisco, – disse Beppe. – E per caso le ha detto quanti erano?
– Sì, dice di averne visti almeno una trentina, tutti raggruppati lì, al centro della piazza. Signor Sindaco, io queste persone non le ho viste, ma noi netturbini siamo spaventati, ci sentiamo osservati, come se qualcuno ci stesse spiando nell’ombra per farci prendere uno spavento…
Beppe annuì più volte nervoso: – D’accordo, domattina prenderò dei provvedimenti, ma intanto cerchiamo di mantenere la calma. Buonanotte!
Il netturbino ricambiò il saluto e Beppe e i bambini si avviarono verso casa.
All’angolo tra il Vicolo Grigio e la Stradina del Polline, nello stesso palazzo in cui vivevano Beppe e i suoi due gemellini, c’era il baretto di Maurizio, un uomo sui sessanta, proprietario del locale da tempi immemori. La mattina dopo quello strano Martedì Grasso, Maurizio contava i soldi dietro al bancone. Erano le sei, la luce dell’alba tardava a farsi vedere e la Città dormiva ancora.
Il primo cliente della giornata entrò alle sette meno venti. Era Paola, la ragazza che faceva il turno di notte alle Poste e che abitava nell’appartamento sopra al bar.
– Buongiorno Maurizio. Ti sei riposato? – Paola aveva solamente ventisette anni ma le piaceva parlare come un vecchio avventore che attende la pensione.
Maurizio alzò appena lo sguardo quando la sentì entrare.
– Riposato? E quando?
– Per il Carnevale. Non dirmi che sei rimasto aperto…?
– E poi chi lo fa il caffè a quei pazzi in maschera?
– Ti sono già arrivate le brioche?
Maurizio tirò fuori da sotto il banco una brioche al pistacchio ancora tiepida. Paola superava la notte alle Poste in funzione di quel momento: – Cosa farei senza le tue brioche!
– Non andresti a dormire con tutti questi zuccheri sullo stomaco.
– Insomma, Maurizio, almeno oggi potevi tenere chiuso.
– Riposerò quando sarò morto! – rispose Maurizio con una risata.
Paola si strofinò gli occhi ridacchiando: – L’hai sentita la storia degli strani individui che sono apparsi in Città?
– Sì, quegli zingari! Non farmici pensare…
– Non dirmi che hai paura, Maurì. Mica è l’Uomo Nero.
Nel frattempo, qualcuno era entrato dalla porta a vetri, ma né lui né Paola avevano prestato attenzione alla nuova presenza. Fuori, in strada, aveva iniziato ad albeggiare e i rifiuti della festa creavano strane ombre, come corpi accasciati lungo i portici.
– Magari fosse l’Uomo Nero! A me i delinquenti o gli assassini, quelli mi fanno paura.
– La mia coinquilina dice di averne visto uno dalla finestra del nostro appartamento. Se ne stava dietro a un lampione. Ha detto che le sembrava la stesse fissando, ma che non ne era sicura, non è riuscita a capire neanche se avesse gli occhi.
– Certo che ce li aveva gli occhi. E anche un coltello, probabilmente.
– Tu ne hai visto uno?
– Sì.
– Anche il mio capo ne ha visto uno. L’ha incontrato in piazza mentre veniva al lavoro e quello l’ha seguito fino alle Poste. Quando si è girato per chiedergli cosa volesse, era sparito!
– Lo vedi? Te l’ho detto. Uno mica sparisce così se non ha niente da nascondere. Zingari, delinquenti.
– Il Sindaco non deve aver chiuso occhio stanotte: ha fatto diramare un’ordinanza per rintracciare e identificare queste persone. Ha chiesto ai cittadini di collaborare, con un comunicato via radio e per tv. Ha pure scritto un post su Internet! – disse Paola mostrando la schermata del telefono a Maurizio. – Chissà, magari sono venuti qui per dirci qualcosa.
– Ah, certo. Aspetto solo di vederne uno per stare a sentire cosa vuole. – Maurizio, quella mattina, era più nervoso del solito.
– Dai, Maurizio! A me piacerebbe vederne uno, di questi uomini blu. Li hanno visti praticamente tutti in Città. Magari non gli sto simpatica.
– O magari se ne stanno nascosti per farti una sorpresa quando meno te l’aspetti.
– Che ansia, Maurì! Meglio che me ne vada a letto. Speriamo non vengano a trovarmi nei sogni.
– Ninna nanna ninna oh, – intonò il barista con voce roca, – questa bimba a chi la do, la darò all’Uomo Nero.
Paola salutò e uscì in fretta dal bar. Sorrideva, ma la pancia le si era ritorta un poco. Per rilassarsi si accese una sigaretta e fece un tiro sotto all’insegna “BAR” per poi raggiungere il portone poco più avanti. Nel frattempo, Maurizio continuava a canticchiare, da solo, dietro al bancone. A un tavolino, all’angolo della sala, qualcuno sedeva da solo. Se ne stava appoggiato alla parete, forse assonnato. Difficile dirlo. Non aveva, diciamo, un volto molto comune, e la luce non riusciva a illuminarlo completamente. Silenzioso, senza ordinare nulla, rimase a guardare Maurizio per una buona mezz’ora, finché, ormai quasi le otto, il sole entrò dalle vetrate. Lo sconosciuto, a quel punto, non c’era più.
Il mercoledì mattina era caldo e Ilse e Leo erano usciti a giocare. Si spingevano, rincorrendo un palloncino che fluttuava mezzo sgonfio dai festeggiamenti del giorno prima. Oltre il filare di alberi che circondava la piazzetta, una mano nodosa lo afferrò.
– Scusi, ce lo può ridare? – domandò Leo.
– È vostro?
– No, ma vorremmo giocarci, – rispose Ilse.
Una figura, dal viso colorato di blu scuro con indosso un impermeabile cachi e un cappello uscì da dietro l’albero. Anche la mano e il braccio che reggevano il palloncino erano blu, e i suoi piedi pure.
– Eccolo, – disse la Creatura sollevando il palloncino.
– Sei uno dei maghi! – esclamò Leo.
– Sei uno dei giocolieri del carnevale! – fece eco Ilse.
– Giocolieri? – la figura scrollò la testa. – No no. Io sono l’Uomo Nero.
– Ma se sei blu! – ribatté Ilse.
– Lo so, – disse la Creatura alzando le spalle striminzite. – Ma voi ci chiamate così.
Ilse si ricordò della ninna nanna che le cantava la nonna, dell’Uomo Nero che rapiva i bambini cattivi.
– Quindi sei qui nascosto dietro l’albero perché vuoi portarci via per un anno intero? Perché siamo stati cattivi?
– Certo che no! – disse decisa la Creatura, – stavo cercando i miei amici. Ma sono arrivato in ritardo all’appuntamento, e se ne sono già andati.
– Allora vuoi giocare con noi? – domandò Leo. – Puoi fare qualche magia con il palloncino?
La Creatura guardò incerta la strada, poi di nuovo i bambini: – Mi piacerebbe, ma devo proprio raggiungerli.
– E dove? – chiese curioso Leo.
– Un po’ lontano da qui.
– E cosa dovete fare? Vi preparate per un’altra festa? – chiese ancora Leo.
– Ci piacerebbe. Se ci penso, per noi era la prima. Però ci sembra che adesso non voglia festeggiare più nessuno con noi. Dobbiamo decidere cosa fare, – disse guardando in alto verso il cielo da sotto il cappello.
– Allora vi vedete per fare altre magie! – esultò Leo.
– Non proprio, – disse la creatura riflettendo, – o forse sì. Per voi potrebbe essere anche una magia.
– Ho capito, – disse Ilse delusa, – è una cosa segreta.
La Creatura inclinò la testa, dispiaciuta. – No, no. Non è proprio un segreto. Solo dobbiamo ancora capire cosa fare. – Poi aggiunse: – Vediamoci domani, e vi faremo vedere!
– Qui? – mormorò Leo, sentendosi già un agente segreto.
– No, non qui. Ci vediamo in un altro posto. I miei amici dicono che in Città lo chiamate I Palazzoni.
– I Palazzoni, – ripeté Ilse, – sì, lo sappiamo dov’è, il babbo ci va ogni tanto per delle cose di lavoro con i vigili.
– Bene, – disse la Creatura, – Allora vi aspetto lì domani, a mezzogiorno.
– E ci saranno anche i tuoi amici?
– Si, saremo tutti insieme e…
– E se portiamo anche il babbo, – insistette Leo, – gli direte perché siete qui in Città? Lui dice che siete venuti per farci paura, per rubare nelle nostre case.
– Ma siamo sempre stati qui in Città. Abbiamo sempre abitato con voi, – rispose stupita la Creatura, – nelle vostre case, i vostri sgabuzzini, le vostre cantine, i vostri armadi…
Leo lo interruppe di nuovo: – Ma se io non vi ho mai visto!
– Basta Leo! – lo sgridò Ilse. – Non fare l’antipatico. – Poi aggiunse: – Quindi possiamo dirlo anche al babbo di venire domani? Ce la fate vedere lo stesso la magia se viene anche lui?
– Certo, – rispose la Creatura, con una smorfia sulla faccia che sembrava un sorriso, – potete portare chi volete. Anzi, ditelo a tutti.
In quel momento, dal fondo della piazzetta, arrivò il grido di Paola:
– Ilse! Leo! Cosa fate?! Venite subito qua da me!
Beppe camminava agitato avanti e indietro per il salotto del suo appartamento. Era passata quasi un’ora da quando, affacciandosi al davanzale per chiamare a tavola Ilse e Leo, non li aveva trovati. Qualcuno glieli aveva portati via! Dovevano essere stati gli zingari del Carnevale! Così pensava, quando il campanello aveva suonato all’improvviso.
– Sono Paola, la sua vicina di casa, sono qua con i suoi bambini.
Beppe si precipitò ad aprire il portone: – Babbo! – Ilse e Leo erano lì, sul pianerottolo, accanto a Paola. – Mi scusi per il disturbo Signor Sindaco, ma tornando a casa ho visto Ilse e Leo nel parchetto dietro il bar di Maurizio. Parlavano con uno sconosciuto in impermeabile.
– Cosa?! Quel maledetto zingaro! – Beppe era fuori di sé.
Ringraziò Paola per avergli riportato Ilse e Leo, chiuse il portone e chiese ai bambini di sedersi con lui sul divano del salotto.
– Come state? Ditemi che non vi ha fatto nulla quel delinquente! Mi avete fatto preoccupare moltissimo! Ho addirittura chiamato la polizia! Siete stati costretti a uscire dal cortile di casa con la forza?! Chi è il tizio con il mio impermeabile?! Perché si nasconde?! Le altre strane persone blu insieme a lui sono i suoi complici?! Cosa vogliono?! Vogliono dei soldi?!
– Babbo, stai tranquillo! – rispose Ilse con un sorriso, – quella persona, secondo me, il tuo impermeabile l’ha solo preso in prestito. Sai, lui viveva dentro il nostro sgabuzzino!
– Nel nostro sgabuzzino?! Non scherziamo bambini! E non dite bugie!
– Ha detto che lui e i suoi amici devono decidere una cosa. Una cosa che non è proprio un segreto. E ci ha invitato ad andare ai Palazzoni domani a mezzogiorno, tutti quanti, per vedere una magia.
– Decidere una cosa, cosa?! Andare ai Palazzoni?! Questa è follia!
– No babbo, devi crederci! Il nostro amico è simpatico!
– Non continuate oltre! Mi è tutto chiaro! – Beppe si alzò di scatto e raggiunse il telefono fisso. – Pronto? Sì, parla il Sindaco. Quegli uomini non identificati, i ladri, gli zingari, come volete chiamarli insomma… stanno diventando un problema. È un’emergenza, dobbiamo discuterne il prima possibile. So che domani tutte queste persone si troveranno ai Palazzoni a mezzogiorno: è necessario fare un sopralluogo con una pattuglia. Benissimo, allora, a domani!
Beppe riagganciò e si girò verso Ilse e Leo: – E voi due siete in punizione! Chiederò a Paola di darvi un occhio domani, e non uscirete di casa fino a quando non avrò risolto questa situazione!
Su un autobus malconcio, Ilse e Leo, accompagnati da Paola, se ne stavano seduti tra i pochi passeggeri. Dai finestrini vedevano sfrecciare gli ultimi palazzi ai confini della Città. I due bambini non si erano mai allontanati tanto. Paola, dal canto suo, guardava impaziente l’orologio.
– Non ce la faremo mai, – sbottò a un certo punto. Poi puntò il dito verso il conducente: – Se questo non si dà una mossa! E su, guida più veloce mia nonna Elvira!
– Signora Paola, non c’è da preoccuparsi. Ci aspetteranno, ne sono sicura, – fece Ilse. Era abituata ai modi di fare di Paola, la vicina di casa che suo padre chiamava “la strana postina”, oppure “quella strana ragazza”. A volte, Paola le faceva un po’ ridere, altre, invece, le sembrava un poco matta. Questa volta, era la seconda.
– Allora, intanto non chiamarmi “signora”, ti prego. Signora no! Solo Paola, grazie. E comunque, sei sicura che ci aspetteranno? Te l’hanno detto loro? A me pare strano che uno dia un orario preciso e poi sia disposto ad aspettare mezz’ora.
– Siamo in ritardo di mezz’ora? – si agitò Leo.
– Non ancora! Ma se quello non si dà una mossa! – rispose Paola indicando ancora una volta il conducente che, con la coda dell’occhio, la guardava infastidito.
Paola aveva un’indole impulsiva, ma non si comportava sempre in modo così drammatico. Quella mattina, quando i bambini le avevano raccontato del loro dialogo con la Creatura, qualcosa in lei era scattato: doveva vederne almeno una e, chissà, magari parlarci! Quell’appuntamento era la sua ultima possibilità, per questo aveva proposto ai bambini di accompagnarli, invece di sorvegliarli in casa, sapendo benissimo che non era affatto una buona idea. Prese dal borsello il cellulare e iniziò a filmare il paesaggio fuori dal finestrino.
– Che cosa sta facendo? – chiese Leo alla sorella.
– Nel caso ne apparisse uno, – rispose la strana postina, che lo aveva sentito. I due bambini rimasero a guardarla sconcertati. Finché Ilse, un po’ in imbarazzo, riprese a parlare:
– Ma perché vuoi così tanto vederli, Paola?
– Perché sono l’unica cretina che se li è persi! Al lavoro si parla solo di loro: “Ne ho visto uno con il cappello in testa”, “Ne ho visto uno col turbante”, “Uno con la maschera da diavolo”, “Tutti dipinti di blu”, eccetera… e io me ne sto zitta ad ascoltare e non posso dire nulla!
In quel momento superarono la Centrale di Polizia e Paola fece in tempo a scorgere il Sindaco mentre parlava con dei poliziotti, gesticolando a tutto spiano. Dovevano assolutamente arrivare per primi. Scesero alla fermata alle ore undici e quarantanove. Nessuno dei tre era mai stato ai Palazzoni, un vecchio quartiere abitato da senzatetto e vagabondi.
– Siete proprio sicuri che sia il posto giusto? – chiese Paola.
Sì, ne erano sicuri. E per dimostrarlo presero a camminare, lungo il selciato di un parchetto, oltre le ultime case. Il tempo scorreva veloce. Una chiamata interruppe la registrazione di Paola: era il Sindaco. Paola rifiutò la chiamata.
– Dobbiamo sbrigarci.
Corsero veloci, tra l’erba alta e l’asfalto sgretolato. Finché, in lontananza, non videro qualcuno.
– Eccoli! Quello è uno di loro! – gridò Ilse accelerando. Quando furono un po’ più vicini, i bambini riconobbero l’impermeabile del padre, proprio quello che la Creatura indossava quando l’avevano conosciuta. Ma Ilse si fermò di colpo. Paola rischiò di finirle addosso: – Che succede?
Ilse indicò la figura: – Non sono loro.
La postina alzò lo sguardo, coprendosi gli occhi accecati dal sole. L’impermeabile color cachi sventolava appoggiato sulle spalle di un semplice spaventapasseri. I tre rimasero immobili, davanti all’uomo di paglia. L’orologio del cellulare segnava le dodici e un minuto.
– Se ne sono andati, – disse Paola, – lo sapevo! – E scaraventò il cellulare nell’erba.
Leo aveva le guance bagnate di lacrime: – Non ci hanno detto il segreto! Non ci hanno fatto vedere la magia! – ripeteva alla sorella. Ilse si guardava intorno, impaziente. Come se, sotto sotto, sperasse ancora di vederne uno. Invece, più i minuti passavano, più la bambina capiva che nessuno sarebbe apparso. Il vento le scompigliava i capelli e il fratello la abbracciava per un po’ di conforto. Anche a lei veniva da piangere. Prima che le lacrime iniziassero a scendere: – C’è qualcuno, – disse Paola.
I bambini si girarono a guardare, pieni di speranza. Un po’ più avanti, in mezzo al prato c’era un uomo, bruciato dal sole e con i vestiti sporchi.
Paola raccolse il cellulare da terra e si preparò a filmare. Ilse la guardò contrariata:
– Non sono loro! Non lo vedi? – Poi si rivolse all’uomo: – Mi scusi, signore! Ha per caso visto qualcuno qui in giro?
– Cosa ha detto?
– Ha visto per caso qualcosa di strano qui oggi? – lo incalzò Paola.
Quello ci pensò un attimo, senza rispondere. Poi guardò il cielo: – Mah, di strano solo qualche stormo che si è radunato per partire. Sa, non è proprio periodo questo. Però giù dalla strada, guardano verso la collina, a un certo punto era diventato tutto ricoperto di nero, o forse era blu, non si capiva bene. Poi sa come fanno, se ne alza uno, e gli altri lo seguono, e puff… in un attimo spariscono tutti. Una cosa che non capita spesso in questa stagione. Però lo sa com’è, ormai non ci si capisce più tanto con le stagioni.
–Mi scusi ma parla di uccelli? Di persone? Ha fatto delle foto? Dei video? Si spieghi!
Quello in risposta alzò le spalle, poi guardò Paola, e le chiese – Non è che ha una sigaretta?
– No, – rispose Paola – Le ho finite. Ma se gliela trovo mi promette che mi racconta meglio?
In quel momento il telefono le prese a squillare. L’uomo la guardò ancora cercando di capire se avrebbe avuto la sua sigaretta, e poi se ne andò per il prato.
– Ecco, mi sta chiamando di nuovo vostro padre, – disse ai bambini allarmata. – Sarà qui a momenti con la polizia. Faccio un ultimo video e poi si corre a casa!
In risposta, Leo indicò alla sorella qualcosa che stava nella direzione da cui era venuto l’uomo. – Ilse, guarda!
– Restatemi vicini che appena parlo con vostro padre andiamo via! – ribadì Paola prima di rispondere al telefono.
Ma Ilse e Leo non la ascoltavano più. Prima non si erano accorti che, proprio dietro allo spaventapasseri, c’era un orticello che l’uomo stava curando. E in fila, sullo sfondo dei Palazzoni, altri orticelli, ognuno con il suo recinto coperto di foglie dalle forme strane e fiori che non avevano mai visto. E più giù, c’era una grande casa con i panni stesi alle finestre e alberi enormi che la circondavano su un lato. Tra la casa e gli orti, poco lontano da loro, un uomo e una donna camminavano con delle ceste in mano, chinandosi ogni tanto a raccogliere qualcosa nel prato, e nell’aria, tra il rumore delle auto e l’odore dell’asfalto scrostato, arrivava a tratti il suono dei campanacci che le mucche portano al collo e l’odore di fieno. Accanto a loro, il paesaggio si popolava di altre figure che non avevano notato prima, uomini, donne, e bambini che giocavano a rincorrersi nell’erba alta, gridando per far volare in aria qualche merlo nero nascosto tra gli steli.
– Guarda! – aveva gridato di nuovo Leo alla sorella. – Guarda laggiù, saranno loro? Si saranno trasformati?
– Forse hanno fatto un’altra magia! Andiamo a vedere! – aveva risposto Ilse, e insieme si erano lanciati giù per il prato. Paola, ancora al telefono, li aveva visti con la coda dell’occhio e si era precipitata dietro di loro.
– Aspettate! – aveva detto con il cellulare ancora sotto il mento.
– Non ci prendi mica! – aveva gridato Ilse.
– Ora spariamo come i giocolieri del Carnevale! – le aveva fatto eco Leo.
– Ah, sì? – aveva risposto lei, e si era messa il telefono in tasca, – ora vi faccio vedere come vi acchiappo!
Ilse e Leo avevano riso forte, Paola aveva preso la rincorsa, e se ne erano andati tutti e tre giù verso i campi, in mezzo all’erba alta, ai fiori strani, al rumore dei campanacci, ai merli e alle grida degli altri bambini più avanti, e quando il Sindaco era arrivato con la polizia non aveva trovato nessuno, solo uno spaventapasseri di fronte a una fila di orti, con addosso il suo impermeabile cachi.
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