La lingua sommersa (Sara Nannetti, Marco Maffeo)
“In diecimila contro gli stranieri: continuano le proteste”.
Elios guardò accigliato il roboante maiuscoletto del titolo dell’articolo online, immaginando i cittadini tutti ammassati per latrare insieme. Osservò le immagini della protesta che scorrevano sullo schermo, sbuffando seccato dalla monotona discriminazione di massa. Furti, disoccupazione, una semplice malattia: non importa quale fosse la ragione, loro erano la causa adatta a tutto.
«Che poi, di stranieri veri e propri non ne rimangono neanche più» commentò sua madre. «Nemmeno la generazione dei nonni è nata all’estero, mi chiedo perché diamine basti qualche parola per farci identificare come stranieri, noi che siamo cresciuti qui come tutti gli altri».
Elios rimase interdetto, ma non rispose: non era la prima volta che affrontavano l’argomento. Lui si ricordava benissimo delle centinaia di volte in cui Nonna Hilda gli aveva parlato di quando lo Stato Centrale aveva imposto la fusione con il suo Paese. O più precisamente di quando li aveva conquistati, come diceva lei, sostituendo una democrazia consolidata con la dittatura del Governo Unico. Se Elios avesse corretto sua madre per l’ennesima volta, lei gli avrebbe ripetuto di guardare nei libri di storia, in cui l’unione «in nome di una cooperazione per un prospero futuro» tra lo Stato Centrale e il Paese dei nonni era avvenuta anni prima della nascita di nonna Hilda. Lei lo sapeva sicuramente meglio di lui, diceva, era stata lei a crescere con i nonni: chiuso il discorso.
Elios guardò di nuovo le manifestazioni di protesta in televisione. In ogni caso, sapere se i nonni fossero nati all’estero oppure no non aveva molta importanza. Rimaneva il fatto che lui, la sua famiglia e tutti quelli come loro erano comunque considerati stranieri.
L’unica caratteristica che li rendeva ancora diversi dagli altri era l’uso di alcune espressioni linguistiche tipiche della loro lingua madre. Lui, i suoi genitori e tutti i cosiddetti stranieri le usavano senza nemmeno accorgersene perché le avevano sentite fin da bambini, facevano parte di loro. Per questo motivo l’odio nei loro confronti persisteva, e lui si chiedeva se avrebbe mai avuto fine. Gli era sempre parso che anche il Governo Unico acconsentisse in silenzio agli episodi di violenza e di razzismo contro di loro, quasi si trattenesse dallo schierarsi per mantenere una buona immagine. «Dittatura. Questo è il suo nome Elios, dittatura» lo martellava con insistenza sua nonna Hilda quando lui era poco più di un bambino, rimpiangendo gli anni in cui il suo Paese natio non era controllato dallo Stato Centrale.
Eppure, ora Elios iniziava a pensare di essersi sbagliato: era da qualche mese che il Governo Unico sembrava prodigarsi per ridurre l’ondata di razzismo, pubblicizzando a gran voce «il superamento delle diseguaglianze». Era un progetto che – a quanto dicevano i giornali – il Governo aveva in serbo da molto tempo. «lnu: insieme per una lingua di uguali»: lo slogan della campagna sembrava scoppiare fuori dallo schermo luminoso sull’edificio di fianco, e si poteva leggere ovunque in città. L’idea della LNU, la “Lingua Nazionale Universale”, era nata quando un’équipe di esperti aveva capito che l’unico aspetto su cui i cittadini dello Stato Centrale non erano stati omologati era la lingua e che era questa la causa del razzismo imperante. Da lì era iniziato un «intenso lavoro del grandioso Governo Unico per il bene dei cittadini»: il piano consisteva nell’emendare la lingua nazionale da tutti i termini di retaggio straniero affinché non fornisse più un pretesto per le discriminazioni.
Elios era molto critico nei confronti della propaganda del Governo Unico, spesso si chiedeva se le differenze linguistiche fossero il vero problema da risolvere. Anche all’Università tutti i professori che aveva ascoltato sostenevano che non ci poteva essere comprensione e, di conseguenza, nemmeno comunicazione esatta se nella lingua rimanevano influenze straniere.
Lui ragionava su questi temi tutte le volte in cui si concedeva una pausa dallo studio. Già nei primi anni di università erano bastate poche parole sbagliate per inimicarsi l’intera facoltà, e fino ai suoi ultimi esami era stato sempre ascoltato con sospetto. Ora gli rimaneva solo da scrivere la tesi di laurea, e poi avrebbe lasciato anche quella gabbia di razzismo. Aveva già una mezza idea dell’argomento ma prima di andare a parlare con il professore di letteratura contemporanea aveva deciso di spulciare qualche informazione in più su quel Richard Foster che tanto lo aveva incuriosito.
Una mattina perciò inforcò la sua bici senza un pedale – motivo per cui nessuno gliela aveva ancora rubata – e si diresse verso l’edificio che tutti continuavano a chiamare biblioteca centrale nonostante di libri veri, lì dentro, non ce ne fossero da anni. Tutto il sapere era ormai racchiuso in enormi server a cui si poteva accedere dai tanti terminali disseminati in queste aule informatiche cittadine. Il custode era sempre al solito posto, in piedi con la sua divisa grigia, un tutt’uno con le pareti dell’enorme palazzo.
Entrò, sfilò la tessera dal portafoglio, la fece scorrere nel lettore magnetico e si infilò nel tornello. Zaino nell’armadio, quaderno e astuccio sotto braccio, si diresse verso la prima postazione libera nella sala di lettura. Cercando “Richard Foster” il computer trovò migliaia di risultati, ma Elios non si stupì, vista la celebrità che aveva avuto quel personaggio e il numero spropositato di libri pubblicati. Lesse qualcosa per ripassare e approfondire la biografia e poi decise di scrollare i risultati alla ricerca di qualche informazione che gli risultasse nuova. Ad un tratto, verso la fine, fu catturato da alcune parole, chiaramente tratte da un testo più lungo: «… non era mia intenzione fomentare ulteriormente l’odio contro gli stranieri. L’obiettivo di questo mio romanzo era attenermi quanto più possibile alla realtà senza edulcorarla…».
Incuriosito, Elios cliccò sul collegamento e si trovò di fronte alla scansione di una lettera inviata da Foster a un certo Filippo Guidi, a poche settimane dall’uscita del suo ultimo romanzo, Caccia allo scarafaggio. Nella breve missiva, lo scrittore sosteneva che nel suo libro aveva scelto di utilizzare termini d’impatto ed espressioni forti di odio nei confronti degli stranieri poiché ormai la realtà era quella. «Perché negare l’evidenza? Tutti ormai trattano dell’argomento in questi termini, addolcire la pillola sarebbe solo un’operazione per aumentare le falsità di questo tempo» aveva scritto Foster, rispondendo a una lettera dove Guidi lo criticava per il suo lessico razzista. A quanto pareva, i due avevano affrontato insieme gli studi universitari, e sembravano avere un rapporto abbastanza stretto. Se amichevole o meno, questo non era chiaro.
Elios decise di scoprire chi fosse questo Filippo Guidi, e come mai avesse un interesse nei confronti della questione degli stranieri tale da spingerlo a sguainare carta e penna per scrivere a uno degli autori di romanzi più famosi e seguiti in quegli anni. Digitò “Filippo Guidi”: “Dieci risultati trovati”. Non vedeva l’ora di scoprire il contenuto di tutti quei file. Sette si rifacevano a un Guidi Filippo morto sessant’anni prima, altri due riguardavano il Guidi giusto, ma contenevano informazioni che non gli interessavano: aveva studiato nell’università della città negli stessi anni di Foster, aveva lottato contro le discriminazioni, e poi dieci anni fa era morto.
Elios aprì l’ultimo link, ma la pagina andò immediatamente in crash. Riprovò, copiò e incollò lo strano indirizzo URL a cui veniva rinviato, “http://filippo-guidi-benissél-univ-guw.sc”, ma il risultato fu lo stesso.
Tornato a casa, Elios raccontò delle ricerche ai suoi genitori, cercando di strappare l’attenzione assorbita dalla televisione. Accennò a Filippo Guidi, a come aveva criticato Richard Foster proprio sull’argomento delle discriminazioni razziali, ma né sua madre né suo padre sembravano avere anche solo una vaga idea di chi fosse quel tipo, che sembrava destinato a rimanere avvolto nel mistero.
Il giorno dopo però Elios si svegliò con un’idea per cercare di ottenere qualche informazione su quel misterioso Filippo Guidi. A partire dal nome si era immaginato uno studentello con un po’ di barba, pizzetto, uno altolocato, con la borsa in pelle da professore e una famiglia benestante alle spalle. Prese lo smartphone e mandò un messaggio. Qualche ora dopo era con Cloe seduto a una postazione nella sala computer della Biblioteca Centrale.
Era una ragazza dai capelli neri e lunghi, tra i quali spuntava una ciocca più chiara, proprio sopra l’orecchio sinistro. Nel campus la conoscevano tutti, era solo al terzo anno, ma ormai l’informatica non aveva più segreti per lei e nella storia gloriosa dell’università del Governo Unico non si era mai vista una studentessa tanto brillante.
Scrisse “Filippo Guidi” e i risultati furono gli stessi del giorno prima. Cloe cercò di utilizzare altre parole per la ricerca e a filtrare i risultati in maniera diversa, ma non riusciva a trovare nulla di nuovo. «Hai detto che era compagno di studi di Foster, non è vero?» chiese Cloe.
«Così sembra».
Cloe allora cercò gli archivi degli studenti dell’università, intrufolando il puntatore del mouse tra gli annuari degli studenti. Controllò gli anni in cui Foster aveva studiato per scovare Filippo Guidi e avere qualche informazione in più, ma stranamente il suo nome non compariva da nessuna parte: sembrava che nell’elenco il suo numero di matricola fosse stato assegnato a un certo Dàvid Ben Issél.
«Aspetta» Elios fermò Cloe: quel nome lo aveva già visto nell’indirizzo URL della pagina. Cercarono allora “Dàvid Ben Issél”, ma inutilmente, sembrava non essere mai esistito. Lasciando da parte Elios, Cloe si mise a lottare con il sistema: cliccò, scaricò, digitò, riempì la schermata di finestre ed eseguì programmi sconosciuti ai più. Dopo quindici minuti di occhi incollati allo schermo, una voce agli altoparlanti comunicò che di lì a poco la biblioteca avrebbe chiuso. Elios stava infilandosi la giacca quando Cloe lo richiamò vicino a sé, ora tra i risultati di ricerca comparivano la prima e la seconda parte di un documento intitolato “Il mio diario – di Filippo Guidi”.
Elios non ci poteva credere. Il diario, Cloe aveva trovato addirittura il suo diario! «Μπράβο μπράβο! Evviva!» esclamò.
Un secondo ed ultimo avviso risuonò dagli altoparlanti. Allora Cloe mandò tutto in stampa, quelle preziose scansioni dovevano uscire con loro.
Si precipitarono a casa di Elios la sera stessa. Scaraventarono sul letto di camera sua le stropicciate fotocopie, calde di stampa e di tensione: lì, dentro a quell’inchiostro, c’era qualcosa che sarebbe straripato dai confini della sua tesi. Perché quel diario era stato criptato, fatto sparire tra i cunicoli digitali dei server? Si guardarono, e iniziarono a scorrere le pagine. Una in particolare, più scarabocchiata delle altre, attirò la loro attenzione: la data era di quel giorno, ma di dieci anni prima.
«Sono Dàvid Ben Issél, e se stai leggendo queste righe» Dàvid Ben Issél? Che diamine c’entrava con Filippo Guidi?
«e se stai leggendo queste righe allora non tutto è perduto. Ora leggi bene, e credimi: è tutto vero».
Le mani di Elios iniziarono a tremare.
«Spero che tu mi conosca ancora, o quantomeno che il mio nome ti dica qualcosa. Altrimenti, forse è davvero troppo tardi. La marcia contro il Governo, il mio discorso: sarà stato tutto cancellato, annientato. Come il resto. Ho lottato contro lo Stato Centrale per anni, cercando di far capire che noi e loro – o forse noi e voi – siamo dannatamente uguali, tutti schiacciati da questa ipocrita dittatura».
«Vuoi dire che…?» anche Elios aveva lo stesso dubbio di Cloe.
«Non fidarti del Governo Unico: mente! Non so chi tu sia, ma se anche tu sei straniero come me (e spero che tu sappia ancora cosa intendo) devi agire. Ci stermineranno tutti, e sarà una morte lenta ma micidiale… perché non sarà fisica. Lo stanno già facendo da anni. anni! Da ogni testo, da ogni articolo: ci stanno espellendo come tanti minuscoli batteri, ma con interventi microscopici, senza che noi ce ne accorgiamo. Prima viene cancellato un nome, poi una data, poi un evento. Ogni singolo file viene modificato, e uno scrittore che fino a un mese prima era straniero improvvisamente diventa un uomo nato e cullato tra le braccia dello Stato Centrale. E ora partirà il progetto lnu, che farà scattare gli ultimi ingranaggi di questa macchina mortale. Entro i prossimi dieci anni ci cancelleranno dalla lingua: ogni singolo termine o concetto straniero verrà individuato e gelidamente eliminato per non lasciare più traccia di noi. Lo faranno deliberatamente, troveranno una scusa per vietare l’uso della nostra lingua, e senza nemmeno rendercene conto cesseremo di esistere: togliendoci la parola, toglieranno noi dalla società e dalla storia. E il Governo Unico prospererà nella monodirezionalità delle idee in cui sono schiacciate le masse omogenee. Vivrà regnando sull’assenza di spirito critico».
Elios non poteva crederci: se era tutto vero… maledizione, era tutto vero?
«Ma c’è una soluzione. Il Governo Unico ha conservato per sé le informazioni cancellate: loro sanno la vera storia, noi solo quella che ci offrono, ed ecco che manipolare la verità diventa terribilmente facile. Tutto è in un database, ma non so come trovarlo: chi mi ha rivelato questo – un amico fidato, che ne pagherà le conseguenze come il sottoscritto – non ha saputo dirmelo. Ma quelle informazioni ci sono. E sono l’unica possibilità che abbiamo – io, te, tutti noi esseri umani – di trovare la vera libertà».
Elios lesse l’ultima riga ad alta voce, rendendo concreta la verità che entrambi avevano intuito.
«Firmato: “Dàvid Ben Issél. Sempre che anche il mio nome non sia stato modificato”».
Guardò Cloe, lei annuì: Dàvid Ben Issél era Filippo Guidi.
«E ora che facciamo?» disse Elios trepidante. Cloe non riusciva a distogliere lo sguardo dalle fotocopie. Era uno di quei momenti in cui il silenzio è l’unica risposta, un silenzio denso di sconcerto. Si diedero appuntamento il giorno dopo in quella stessa stanza: posto più sicuro per parlare di questo non lo conoscevano.
Quella notte fu inquieta per Elios. Al risveglio non riuscì ad evitare di guardare il mondo come un’enorme bugia. Fuori dalla finestra non c’era il solito vialetto alberato e la piazzetta dove giocava da bambino, ma montagne di menzogne, macerie di certezze sgretolate, non più i colori del cielo e della natura ma una spessa coltre grigia di ipocrisia.
Puntuale alle 9.30 suonò Cloe.
«Elios, dobbiamo far sapere a tutti cosa stanno cercando di fare. Non possiamo permettere che il Governo cancelli anni di storia, di tradizioni, culture, lingue. Dobbiamo trovare il modo di rimettere tutto in circolo».
Elios annuì. Vedere l’energia di Cloe gli dava sicurezza. Quando lei si metteva in testa qualcosa non c’era modo di fermarla, e in fondo anche Elios sapeva che quella era la cosa giusta da fare.
«Είμαι μαζί! Giusto, hai ragione! Andiamo».
Cloe ed Elios raggiunsero l’ultima sala della biblioteca e chiusero la porta dietro di sé. Si sedettero a una postazione. Presto quell’edificio sarebbe diventato il campo di battaglia di una guerra-lampo.
Cloe sospirò, incrociò le mani e fissò il monitor, pronta per sfidare la Rete. «Dunque, sono dati criptati dal governo, dallo Stato Centrale: non è facile accedervi».
Elios la guardò aspettando il «ma». Non venne contraddetto: «Non per tutti almeno» Cloe sorrise beffarda «io ci posso riuscire».
Cloe aprì varie schede, e in breve tempo ritornò alla cartella in cui avevano trovato il diario di Issél. «Il diario era criptato giusto? Quindi è probabile che anche le altre informazioni nascoste dal governo siano state criptate in modo simile. O insomma, è possibile che…».
Iniziò a cliccare e a lavorare sulla tastiera, aprendo e chiudendo icone, avviando programmi, digitando codici «che partendo da quel file si possa trovare il percorso che ci porti dritti al database. Se ci arriviamo…» sbuffò, chiuse tutto e ripartì dall’inizio, perseverando nella guerra dattilografica con il computer. «ecco!» alzò le mani e si spinse lontano con la sedia.
Elios vide la propria faccia sconvolta riflessa sul monitor e attraversata dagli enciclopedici milioni di dati che iniziavano a scorrere. Con qualche clic tentò un salto nel buio del Web governativo: si aprirono pagine di libri e di giornali che parlavano di stranieri, delle colonizzazioni e delle schiavitù da loro subite, ma anche dei successi che molti di loro avevano raggiunto, dei loro contributi alla società. Anni e anni di storia imprigionati in sequenze di codici alfanumerici. Ma c’erano anche i progetti del Governo Unico e i dettagli del piano che aveva messo in atto.
«Va bene, come facciamo a mandare tutto? A diffonderlo in Rete?» chiese lui.
«Oh, questo è facile». Cloe fece partire il download compiaciuta. La barretta cominciò a colorarsi e riempirsi di verde mentre i due non riuscivano a staccare gli occhi dal monitor. Scorreva il tempo e scorreva l’adrenalina nelle vene di Elios e Cloe mentre osservavano lo Stato Centrale crollare dall’alto della sua impalcatura di menzogne. Con quel clic avevano deciso di ripopolare il loro mondo delle diversità che qualcuno aveva fatto passare come la causa di tutti i mali, il morbo da debellare, la zizzania da estirpare. «Libere, siete libere parole!» pensava Elios mentre la percentuale di completamento avanzava inesorabile.
«Trenta secondi… dieci… cinque… tre… due, uno…. Finito!» sussurrò festante Cloe allungandosi sulla poltroncina a rotelle. Ce l’avevano fatta.
«le menzogne del terrorista dàvid ben issél che sono recentemente circolate» gridavano all’unanimità i comunicati stampa «sono state un grave attentato all’equilibrio e alla democrazia del nostro paese». Il Governo Unico non aveva cancellato gli stranieri dalla storia: si era incaricato di apportare minime correzioni che avrebbero garantito loro una maggiore sicurezza e prosperità futura. Era vero che la lnu comportava l’eliminazione di alcune parole straniere, ma solo perché tutto ciò era necessario per ottenere una vita comunitaria pacifica e senza più discriminazioni. Lo Stato Centrale aveva la sola colpa di aver operato, rischiando la propria stabilità, in vista di un bene comune e di una pacifica convivenza.
Elios non riuscì a leggere fino in fondo il comunicato senza ridere, quasi stupito dalla goffaggine del tentativo con cui il governo cercava di salvare la situazione. Ormai era inutile, la verità era venuta a galla, lo Stato Centrale, al contrario, sarebbe sprofondato. Ci sarebbero state proteste, insurrezioni; ci sarebbero stati processi contro i politici, e finalmente avrebbero avuto una vera democrazia, come quella in cui era cresciuta nonna Hilda.
Pochi giorni dopo Elios era seduto a tavola, come ogni sera, con i suoi genitori che guardavano inespressivi la televisione, come ogni sera. E come ogni sera vivevano sotto il Governo Unico.
«Voi non capite» aveva detto Elios ai suoi genitori «come fate ad appoggiare questa dittatura?»
«Non è una dittatura, non fare come tua nonna»
«È una dittatura invece! Hanno cancellato la nostra storia, ανάθεμα, maledizione, ci volevano far scomparire dal pianeta!»
«Elios, non esagerare. Sai bene come stanno le cose» ai suoi genitori, come a molti altri, era sembrato difficile credere a tutto quello che Issél diceva nel suo diario. «Uno scherzo di pessimo gusto» così alcuni politici avevano definito quelle pagine di diario, secondo loro scritte da «un personaggio probabilmente inventato dalla mente malata di qualche scrittore fallito». Nei dibattiti televisivi erano intervenuti intellettuali a sostenere la posizione del Governo Unico, lo Stato Centrale aveva fornito documenti che sembravano affermare la bontà degli intenti del progetto, e tutto si era risolto in un nulla di fatto. «E se anche le cose stessero davvero così» aveva detto sua madre «se davvero il piano dello Stato permettesse di eliminare tutto questo schifoso razzismo, forse sarebbe solo un bene».
Si vergognavano di sé stessi, della propria identità? Era questo il punto?
«No Elios, siamo solo stanchi».
I suoi genitori, come molti, avevano seguito con disinteresse l’intera questione: non gliene importava di quale fosse il secondo fine dello Stato Centrale. Non finché la LNU poteva farli smettere di essere “stranieri”. Che poi questo in realtà significasse annullare se stessi, sembrava non avere importanza.
E ora eccolo lì in televisione, il Presidente del Governo Unico, fiero di aver tenuto in piedi la struttura ammaccata del regime. «Voglio ringraziare personalmente tutti i cittadini per il grande senso di responsabilità che hanno dimostrato. Hanno saputo distinguere la verità dalle bugie, e hanno capito gli enormi benefici a cui mirava il nostro operato: avere meno differenze per avere più pace».
Elios ascoltò le dichiarazioni con disgusto. Non sarebbe mai cambiato nulla, non era bastato nemmeno mostrare a tutti la vera realtà. Lui non aveva detto nulla ai suoi genitori, vedendo sfumare il sogno di potersi rivelare come l’eroe che aveva svelato i piani del Governo Unico. Ora sapeva che anche i suoi lo avrebbero visto come un pazzo rivoluzionario che aveva sognato di appiccare il fuoco all’intera società. Così aveva deciso di tenerli all’oscuro di tutto, e sperava che quello che lui e Cloe avevano fatto non si sarebbe mai venuto a sapere.
«Vi promettiamo che i responsabili di questa macchinazione ai danni del nostro glorioso Stato Centrale saranno rintracciati» continuava a dire in televisione il Presidente. Si chiedeva in che modo avrebbero potuto risalire a loro, dal momento che avevano agito in un luogo pubblico, accessibile a chiunque. Però sapeva che il Governo Unico non lo avrebbe mai lasciato tranquillo, né lui né Cloe: avevano rivelato qualcosa che doveva rimanere segreto, quantomeno ci avevano provato. E il solo tentativo era più che sufficiente per il Governo.
Pensò a Cloe, e si chiese se stesse ascoltando il discorso del Presidente. L’ultima volta che si erano visti era stato un paio di giorni dopo la condivisione dei file sulla Rete. Dopo aver appurato che la gente reagiva in modo ben diverso da quello che avevano previsto, avevano deciso di comune accordo che sarebbe stato più prudente non sentirsi per qualche giorno. Meglio non rischiare di far vedere che avevano agito insieme, dovevano lasciare che la situazione si calmasse.
Andò in camera sua e richiuse la porta alle spalle. Osservò lo zaino preparato ormai già da tempo, accanto al sacco a pelo. Poi, prima di uscire dalla stanza, fece scivolare dentro la penna e il bloc-notes trovati in un vecchio mobile.
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