Io in dieci righe: Jinwei Zhou
Mi chiamo Jinwei, sono uno studente dall’estero, un ragazzo molto normale dalla Cina.
Per partecipare in tempo alla prima lezione del laboratorio di scrittura interculturale a febbraio di quest’anno, ho preso l’aereo per l’Italia dalla Cina un giorno prima del Capodanno cinese. In Cina il Capodanno è una festa molto amata, di solito tutta la famiglia prepara i ravioli durante la vigilia mentre guarda Chun Wan, cioè la festa serale della ricorrenza del Capodanno, in televisione. Secondo la tradizione del mio Paese, ogni bambino deve mangiare un porridge dolce in quel giorno, in cui devono esserci il riso glutinoso e qualche frutta secca speciale. Anche se avevo sottolineato molte volte che non ero più un bambino, mia mamma mi ha infilato una busta sigillata piena degli ingredienti del porridge dolce nel mio zaino quando sono partito da casa.
Mi sembrava un po’ prosaico, perché le cose sono facili da comprare anche in Italia e da mangiare tutti i giorni. La pesantezza nello zaino mi ha fatto sentire anche scomodo e inquieto per tutto il viaggio.
Dopo la lezione del laboratorio era già buio, sono uscito dall’università e ho vagato per strada senza meta nella serata del Capodanno. Sotto le Due Torri occasionalmente ho scoperto un ristorante cinese che si chiama Chengdu, dal nome di una città tranquilla della Cina. Sono entrato nel ristorante e ho tirato fuori il porridge dallo zaino in modo che il cameriere lo potesse portare in cucina per cucinarlo.
Circa venti minuti dopo, il cameriere metteva una ciotola di porridge davanti a me; il bianco riso glutinoso faceva ancora migliaia di bollicine, e l’aria fresca della serata veniva saturata da questo familiare profumo.
In quel momento, attraverso il caldo vapore acqueo mi è sembrato di aver visto il mio vero io: lontano dalla casa, eppure con il cuore pieno di gioia.
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