Io in dieci righe: Oscar Briou
Da bambino sarei potuto essere un peluche. Sono cresciuto a Bruxelles, ma soprattutto nel mio immaginario di peluche. Ne avevo tanti nel mio letto e mi raccontavo le loro storie.
Poi, mi sarei dovuto ammalare di scabbia, perché ogni volta che avevo un contatto con qualcuno a scuola, ad entrambi veniva un prurito tale da trasformarci in parassita, in modo di essere liberi di fare mille e una cazzate.
Al liceo, sono voluto diventare anarchico. Gridavo “Né Dio né maestro”, a lezione. Però la sera, quando tornavo nel mio bozzolo, mangiavo la pappa pronta e facevo i compiti.
All’università mi sono voluto affogare in un bicchiere gigante di birra belga. Qualche bolla di sapere mi permetteva di risalire per gli esami, ma la maggiore parte del tempo, rimanevo in fondo, dove ho riso come non mai.
Quando ho fatto il mio erasmus a Bologna, sono passato dallo stato di tortellino a quello di tortellone, riempiendomi tra l’altro di Celati e sangiovese.
Ora che conosco i verbi servili, non ho mai avuto tanto la voglia di andarmene, di liberarmi della mia lingua, di volare verso altri orizzonti.
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