Le strade di Margherita – Federico Rossi
Le strade di Margherita
di Federico Rossi
Quando Max si fermò al semaforo e la fissò, Giada sapeva perfettamente ciò che aveva in mente. Sospirando, girò lo sguardo verso il finestrino, osservando il traffico lento della capitale. Le succedeva spesso di giocare di fantasia sulle esistenze degli sconosciuti, inventarne le professioni, le avventure e le storie familiari. Si divertiva ad immaginare se stessa nelle situazioni quotidiane di quelle persone: una cena in famiglia, una riunione di lavoro, un caffè con amici, la normalità che raramente aveva potuto sperimentare e che nella sua immaginazione assumeva caratteri straordinari.
Ma in quel momento c’era poco spazio per altri pensieri. Guardò Max, e trovò nel suo sguardo la stessa ansia e la stessa eccitazione per ciò che sarebbe potuto succedere. Nel sedile posteriore Margherita continuava a maneggiare con curiosità il palloncino che le era stato appena regalato, inconsapevole di quella conversazione silenziosa che si stava svolgendo tra i suoi genitori. Giada si grattava nervosamente il gomito, studiando con eccessivo scrupolo il movimento delle sue dita. Poi alzò lo sguardo ed inclinò il capo in un segno di assenso. Il semaforo diventò verde, e Max schiacciò il pedale del gas. Avevano già deciso.
In silenzio proseguirono il lento tragitto attraverso la città, dribblando motorini sguscianti, biciclette temerarie e pedoni persi nel limbo delle strisce pedonali. Una volta arrivati alla solita rotonda di via Monte Verde, Max, contrariamente a quanto aveva fatto tutti i venerdì degli ultimi due anni, prese la prima uscita a destra.
“Oggi non torno?” chiese Margherita, alzando gli occhi dal suo palloncino. “No, oggi no.”, rispose Giada.
La bambina accettò la novità senza altre domande. Era molto stupita da quella variazione delle classiche abitudini del venerdì, ma il tono fermo della madre la indusse a trattenere la propria curiosità. Ben presto ignorò del tutto le strade ormai sconosciute che scorrevano fuori dal finestrino; con un pennarello nero dalla punta grossa si dedicò a regalare un sorriso, un paio di occhi e di baffetti al suo palloncino. Quando si ritenne soddisfatta delle sembianze che aveva creato, il sole era già sparito sotto l’orizzonte, e le luci dei lampioni illuminavano l’interno della macchina ad intermittenza. Rasserenata dal silenzio dei genitori e da quella nuova atmosfera familiare, si sdraiò sui sedili posteriori e si addormentò in pochi minuti.
Viaggiarono per tutta la notte. Per i primi chilometri, Max e Giada mantennero la massima attenzione su tutto ciò che accadeva intorno a loro; ogni macchina incrociata, ogni luce al di là di una curva erano motivi di sospetto e preoccupazione, e un silenzio carico di tensione cadeva fino a quando l’ostacolo non veniva oltrepassato.
Pian piano però i due ragazzi iniziarono a rilassare il loro respiro e sciogliere leggermente i muscoli della schiena sui sedili. Un viaggio in macchina, loro tre, come una vera famiglia, una sensazione nuova che li elettrizzava e alleggeriva i loro pensieri. Ben presto l’entusiasmo prese il sopravvento sui sensi di colpa, e trascinò i loro discorsi in viaggi di fantasia in cui non avevano osato avventurarsi da molto tempo.
“Potremmo ricominciare da capo in un posto lontano da tutti, non so un villaggio in Lituania o in quei paesi là, chi ci verrebbe a cercare così lontano?”. “Dov’è la Lituania?”, chiedeva Max con aria perplessa. “Tu vai, poi ci penseremo”.
Al suo risveglio, anche Margherita si lasciò contagiare dall’allegria dei genitori. Non li aveva mai visti così, ed iniziò a pensare che le stessero nascondendo qualche sorpresa. “Ma dove stiamo andando?” chiese stiracchiando gioiosamente le braccia. “Presto lo saprai, vedrai che ti piacerà!”. La risposta della madre confermò i suoi sospetti speranzosi, ed allora ricominciò ad occuparsi distrattamente del palloncino mentre fantasticava sulla destinazione di quel viaggio misterioso.
Affamati dopo il lungo tragitto, si fermarono in un autogrill. Max si mise in fila alla cassa, mentre Giada e la bambina presero posto in un tavolo vicino alla finestra. Mentre aspettava il suo turno, Max si sorprese a sorridere osservandole da lontano. Giada era visibilmente emozionata, e si impegnava scrupolosamente per calarsi nel ruolo di madre. Pettinava i capelli crespi della figlia, le accarezzava le spalle, cercava ripetutamente il contatto fisico come per assicurarsi che la bambina fosse veramente lì, con lei, di sabato mattina. Margherita, dal canto suo, era perfettamente a suo agio, rispondeva allegramente alle sollecitazioni di Giada mentre giocava con la saliera.
“Posso aiutarti?”, chiese il cassiere con tono pacato. Perso nei suoi pensieri, Max non si era accorto di essere rimasto solo davanti alla cassa. Ordinò da mangiare, pagò e si diresse verso il tavolo con il vassoio in mano.
“Mamma, guarda sei in tv!”. Max si irrigidì di colpo nel mezzo della sala. Il suo sguardo cercò per prima cosa gli occhi sgranati di Giada, già fissi su di lui, e, insieme, si voltarono verso la televisione all’angolo opposto del ristorante. Margherita aveva ragione. Lo schermo era diviso in due parti, ciascuna occupata da una foto dei due ragazzi. La fotografia di Giada risaliva a qualche anno prima, e la ritraeva sorridente nel giardino della vecchia casa dei suoi genitori; l’aveva scattata suo nonno, in una delle ultime occasioni in cui si erano incontrati. La fotografia di Max era invece molto più recente, una fototessera scattata ad una macchinetta automatica per il rinnovo di un documento; aveva l’aria imbronciata e quasi offesa, come se si immaginasse già quel giorno la pubblica esposizione di quell’immagine contro la sua volontà.
La scritta in sovraimpressione risaltava in tutta la sua crudezza e mancanza di sfumature. “Genitori tossicodipendenti rapiscono figlia di 5 anni”. Dopo pochi secondi, apparve una foto di Margherita, intenta ad azzannare un gelato più grande di lei. “Mamma!”, gridò sempre più incredula e soddisfatta la bambina.
Max, ancora in piedi con il vassoio in mano, si guardò intorno. La sala era quasi deserta, e nessuno dei clienti sembrava prestare particolare attenzione al telegiornale.
Un uomo anziano vicino all’ingresso leggeva un quotidiano sportivo, imprecando a bassa voce contro le scelte di un allenatore o gli errori di un arbitro. Poco distante, due ragazzi sorseggiavano silenziosamente il loro caffè, con gli occhi bassi e l’espressione spenta.
Nel frattempo, l’inquadratura era passata su Angela, una delle suore che gestivano l’istituto dove viveva Margherita; con il viso tirato di chi non aveva chiuso occhio per tutta la notte, l’anziana signora rispondeva allargando le braccia alle domande del giornalista.
A quel punto, Max si accorse che il barista, probabilmente incuriosito dalla sua reazione, osservava la scena con aria corrucciata. Con le mani appoggiate sul bancone, si sporgeva leggermente in avanti per vedere cosa ci fosse di tanto interessante in televisione a quell’ora del mattino.
“Andiamocene” disse Max, appoggiando il vassoio sul tavolo più vicino. Tra le proteste di Margherita, orgogliosa di quell’inaspettata ribalta televisiva, uscirono a passo svelto. Salirono in macchina, e partirono rumorosamente.
“Come possono dire che l’abbiamo rapita? E’ nostra figlia!”, sibilava Giada rifugiando il viso tra le mani. Max rispose con un alzata di spalle sconsolata; con gli occhi fissi sulla strada, si sforzava di mantenere il controllo della macchina e di se stesso.
L’unica tra i passeggeri a non essere per nulla turbata era, naturalmente, Margherita. Negli occhi aveva ancora l’immagine di se stessa trasmessa in televisione, proprio in quel giorno speciale e pieno di sorprese. Come avevano fatto a farle quel regalo? Un programma tv tutto su di lei! Non si capacitava che i suoi genitori avessero conoscenze tanto importanti; proprio loro che una tv non l’avevano nemmeno, quando abitavano ancora tutti e tre insieme.
Uscirono dall’autostrada, sperando di potersi rifugiare nell’anonimato delle strade di campagna. Max non seguiva una direzione precisa; sceglieva le strade che apparivano più isolate. Spesso era Margherita a scegliere. “Di qua”, “a destra”, “torniamo indietro”, strillava divertita da quella specie di caccia al tesoro. Si aspettava dal momento all’altro una nuova sorpresa, e non riusciva a trattenere il suo entusiasmo per quella lunga serie di emozioni.
Una nuova sorpresa non era certo ciò che Max e Giada si auguravano in quel momento. Ed invece, la sorpresa si materializzò sotto forma della paletta rossa di un carabiniere, appostato con un collega sul ciglio della strada. Margherita tornò in silenzio, cercando di capire cosa ci potesse essere dietro a quel nuovo colpo di scena. Max rallentò e accostò qualche metro più avanti della volante.
“Buongiorno, mi dà la patente cortesemente?”. Max frugò nelle tasche dei pantaloni, nel taschino della maglietta e nel cruscotto sotto l’autoradio; stava per prendere lo zaino appoggiato di fianco a Margherita, quando Giada gli passò il portafoglio. Aveva sempre tutto lei.
“Come faremmo senza le nostre donne, vero?” ammiccò il carabiniere, prendendo la patente che Max gli stava porgendo. Era un signore di mezza età, capelli bianchi e corporatura robusta; aveva uno sguardo rassicurante ed un tono amichevole. “Torno subito”, disse, incamminandosi lentamente verso il collega.
“E ora?” mormorò Giada, prestando attenzione a non lasciar trasparire la sua ansia attraverso il linguaggio del corpo, “La porteranno via! Cosa facciamo?”. Max rimase a riflettere per qualche secondo a testa bassa. Poi la guardò con aria determinata :”Partiamo”, disse. “Ma che dici? Ci prenderanno”, si agitò lei. “Ci hanno già preso”, rispose Max accennando un sorriso.
Margherita assisteva un po’ perplessa a questa conversazione. I due genitori si voltarono verso di lei contemporaneamente, come se fossero stati richiamati. “Margherita, scegli tu” le disse sorridendo Giada. La bambina, onorata della responsabilità che le era stata data, scrutò con attenzione i due carabinieri impegnati nei loro controlli, e le espressioni trepidanti dei genitori. “Partiamo”, disse alzando il braccio come la condottiera di un esercito.
Max non se lo fece ripetere. Con una brusca sterzata, erano già in mezzo alla carreggiata, e poi un puntino lontano, sotto gli occhi increduli dei due carabinieri.
Si guardarono tutti e tre, e scoppiarono a ridere. Era la risata complice di tre bambini consapevoli di averla combinata grossa, ma felici di averlo fatto. Continuarono a ridere per lunghi minuti, immaginando l’espressione basita del carabiniere grasso e del suo compagno. E Max aveva ancora il sorriso tra le labbra quando, poche ore dopo, arrestò la macchina davanti alle due volanti che gli sbarravano la strada.
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