La Bavosa – Bruna Petrei
La Bavosa
di Bruna Petrei
“Psst, ehi, tu? Mi senti? Ho un grosso problema. Mi daresti una mano?”
Come posso essermi cacciata in questo pasticcio? Quante volte la mamma si è raccomandata: “Non ti allontanare! Vai pure a giocare in giardino, ma, ricordati, resta sempre in compagnia dei tuoi fratellini. Sei ancora troppo piccola per arrampicarti sui rami, amore mio”. La mamma! Quanto mi manca adesso. Ah, se fossi stata più attenta … E’ che quando gioco io voglio esplorare mondi nuovi, addentrarmi per sentieri sconosciuti, fermarmi a guardare un fiorellino appena spuntato, giocare a nascondermi o rimanere incantata davanti a una goccia di rugiada. Ma forse aveva ragione lei, la mamma. Stavolta devo averla combinata grossa. Dico così per farmi coraggio e sperare che sia solo una brutta avventura che presto finirà, anche se confesso che tutto questo buio mi atterrisce.
Buio e silenzio! Io ho tanta paura del buio, non sopporto la mancanza di luce. Sarà perché il giorno in cui sono nata, mi racconta la mamma, era pieno di sole. Accarezzata da un liquido caldo, la prima sensazione che ho provato è stata di stupore: quanta luce, che colori e poi tanti suoni nuovi!
Qui dentro invece c’è solo silenzio! Mi sembra che da un momento all’altro debba arrivare qualcuno. Tutti i miei sensi sono in allerta. Ogni fruscio, ogni soffio mi pare che nasconda un pericolo. Perché tutti mi hanno abbandonato qui?
E pensare che a me il silenzio è sempre piaciuto. Ricordo bene la sensazione che provavo quando, finalmente sola, lontana da casa e dai fratellini, mi godevo il paesaggio della mia vallata: mettevo insieme il verde dei campi, il colore del cielo e quelle buffe nuvole che cambiavano forma a ogni sospiro di vento, ed ecco che tutto, come per incanto, si trasformava e con la mia fantasia coloravo il cielo di verde, le nuvole di azzurro e il prato di … bianco.
E poi …
Poi, puntuale, arrivava il richiamo dei miei fratelli: “Bavooosa!”, “Dove sei?”, “Vieni!”. La Bavosa, naturalmente sono io; mi chiamano così i miei, sicuramente in modo affettuoso, per via di un mio particolare, ma questo soprannome a me non va proprio del tutto a genio. Adesso però come vorrei che questo richiamo facesse a pezzi il silenzio martellante che mi circonda. E invece niente. Solo silenzio e buio. A proposito, quanto tempo sarà passato da quando mi trovo qui dentro?
Ho un brutto presentimento. Mi è rimasta ben impressa nella mente quella volta che zia Tina scomparve. Tutto il villaggio si mise alla ricerca di lei. I mezzi di informazione avevano diffuso la notizia: non si parlava di altro. Gli addetti alla sicurezza erano stati interrogati e le truppe di salvataggio avevano immediatamente avviato le ricerche. Ma non ci fu nulla da fare. Zia Tina sembrava essere stata divorata dal nulla. Allora io ero piccolina, ma alla zia volevo molto bene e lei mi adorava, mi riempiva di coccole e di baci bavosi. Io amavo seguirla per sentieri sconosciuti e in luoghi inesplorati, dove ho imparato a immaginare ciò che gli occhi non vedono e a sentire ciò che le orecchie non odono. E adesso …
Strisciare. Ecco cosa dovrei riuscire a fare: strisciare via da qui, scivolare lontano, silenziosa, senza farmi vedere, senza che nessuno se ne accorga. Se riuscissi a capire come sono finita qua dentro, forse troverei la mia salvezza. L’ultimo ricordo che ho, prima che questo buio mi ingoiasse, è fatto di sensazioni piacevoli. C’era una superficie lucida e avvolgente, io me la immagino di colore verde, chissà perché. È liscia e mi diverto a scivolarci sopra, per gioco. Che divertimento fare su e giù! Poi mi è sembrato di essere trascinata via: sono avvolta dal buio, vengo sballottata non so dove, un manto nero e uniforme mi circonda …
A questo punto ricordo bene tanti rumori, suoni metallici e voci varie, un tramestio di passi concitati, di richiami, un brusio fitto, poi forse devo essermi addormentata, perché non ricordo più nulla.
Ma adesso, che cosa sta succedendo? Mio Dio, ho paura. Una fessura di luce mi sta colpendo i sensi, la luce si fa sempre più intensa, sta occupando tutto lo spazio e restituisce il contorno alle figure. Ecco ora io riesco a vedere. Il cuore mi batte all’impazzata, sento che potrebbe scoppiarmi in petto se non riuscissi a fermarlo. Potrebbe essere il mio ultimo giorno di vita, forse la morte mi si sta avvicinando e, se è così, la morte ha questo aspetto: una grossa tenaglia, con dei tentacoli mobili e snodati, non riesco a contarli, di colore chiaro, si fa vicina minacciosa: non promette nulla di buono. Vorrei nascondermi, sparire dalla vista, ma sono troppo stordita, anche solamente per respirare. Che cosa fa, adesso? Mi sfiora.
Caro amico, è la fine, ti ringrazio per avermi tenuto compagnia in questi ultimi minuti della mia breve (e bavosa) esistenza. Ho molto amato la vita, non voglio abbandonarla così presto, voglio ancora sentire il tiepido … non trovo parole adatte … sciapanìo degli ultimi raggi di sole al tramonto, il fresco, come dire, criccichiccio delle goccioline di rugiada all’alba, quella indescrivibile sensazione di … ergiallosità!
Aiuto, mi afferra. È la fine. Addio. Adieu! Ma no, no, no! Non è così. Non mi sta stritolando, né strappando via, né schiacciando o riducendo in poltiglia. Ecco che, invece, la feroce tenaglia mi avvicina una foglia. Sì, una foglia verde, tutta nuova, tenera e saporita. Oh, che buona! Sento di nuovo il tepore del sole, una luce fresca che sa di coriandoli colorati mi inonda, ascolto i suoni a me noti! Ecco che torna la vita! Che gioia! Io non chiedo altro, solo la vita, su una foglia tenera e croccante, dove accoccolarmi, appesa dentro il mio guscio.
Sì, hai capito bene, amico mio, una foglia e un guscio: certo, devo essermi persa tra le foglie lucide e avvolgenti di un cespo di cicoria, poi, per caso, sono stata avvolta in un sacchetto di carta, fino a quando una mano sorpresa e premurosa non mi ha raccolta e riconsegnata alla vita. Sono commossa da tanta generosità.
Grazie, amico, chiunque tu sia. Riprenderò a strisciare silenziosa e lenta e a lasciare la mia scia bavosa sulla terra e sulle foglie.
Se penso alla fine che avrei potuto fare anch’io, povera zia Tina! Si racconta, dalle mie parti, di enormi calderoni fumanti dove veniamo gettate a migliaia per soddisfare il gusto di certi “palati fini”, come li chiamate voi umani, senza alcuna pietà per la nostra sofferenza. E mai che qualcuno si sia degnato di manifestare per la nostra salvezza, lanciando qualche iniziativa o, che so io, una campagna pubblicitaria: “Fermate il massacro!”. Forse sentirai ancora parlare di me, chissà, come paladina di libertà e di dignità, in difesa della nostra specie animale. A proposito, hai uno slogan da suggerirmi?
Amico mio, ricordati di me, con gli occhi aperti al microcosmo che ti circonda. Io, da parte mia, mi congedo con un saluto: tu puoi continuare a chiamarmi “la Bavosa”. Au revoir!
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