Intervista ad un cammello – Ombretta Morello
E’ arrivato il momento, una voce monocorde annuncia il volo per Tamanrasset. Emma trascina il bagaglio a mano, dentro ha riposto solo vestiti dai colori spenti e privi di particolari civettuoli. Sente il cuore mutilato e il corpo riluttante, vorrebbe indugiare, correre verso l’uscita dell’aeroporto. Si ricorda di quante volte in passato era stata indulgente con se stessa nel sottrarsi agli eventi. Ora però era tutto diverso: doveva partire e lasciare temporaneamente la sua casa. Terminati gli studi di ingegneria, aveva riposto tutte le sue energie nella ricerca di un appartamento da affittare. Alla fine l’aveva trovato e arredato con cura. Tutto raccontava di lei, dai quadri alle pareti di Mirò e Kandinsky, ai libri mai letti, affastellati sulle mensole dello studio. Sul frigorifero della cucina affiggeva giornalmente post-it con l’elenco delle cose da fare: comperare le merendine, passare al lavasecco, fissare una visita di controllo dal dentista. In questo cosmo di colori e parole era entrato lui. Quando li presentarono, durante una riunione di lavoro, lui accennò un sorriso beffardo. Attorno a loro solo odore di sudore rappreso. Lo sguardo si ritrasse come per difendere un segreto e il corpo divenne impenetrabile. Era come se un unico bozzolo avvolgesse membra, umori e muscoli.
La sera, a casa, lei si sorprese a pensare a lui e una moltitudine di domande le inondarono la testa: perché non l’aveva mai visto prima? Eppure conosceva tutti i colleghi di lavoro. Era sposato? Cosa ci faceva alla riunione? Così cercò di fare mente locale su tutte le persone con le quali l’aveva visto parlare. Forse sarebbe riuscita ad avere le informazioni giuste. Come un ragno che pazientemente aspetta la preda, lei cominciò la sua attesa nella saletta ristoro adiacente il suo ufficio.
Nel giro di pochi giorni era riuscita a ricostruire tutti i passaggi dolorosi della vita di lui. Era stato sposato. Dopo solo due anni di convivenza lei si era arresa al cancro, lasciandolo in uno stato di dolore muto. Un solo lamento o un inaspettato scatto di collera e sarebbe impazzito per sempre. In seguito Emma fece di tutto per rivederlo e con grande ostinazione, celata dietro gesti flessibili e frasi rassicuranti, lentamente riuscì a varcare la soglia delle sue resistenze. Dopo qualche mese arrivò anche a dichiarargli il suo amore. Seguirono tre anni di incontri privi di germogli : ogni volta era come se lei dovesse reimpostare i caratteri della pagina su cui scrivere; ogni volta si sentiva come un panetto di pongo tra le mani di un bambino: morbido e attraente quando modellato; freddo e informe nei lunghi periodi del disinteresse. Così quando il Direttore della sua azienda le propose il coordinamento del progetto di costruzione di un gasdotto nel deserto algerino, lei scostò le ciocche castane dietro le orecchie e, per fugare ogni dubbio, puntellò lo sguardo sull’enorme cactus che stava davanti alla finestra. Alla fine accettò.
“Svegliati Emma, siamo arrivate.” La voce proveniva dalla collega seduta accanto a lei sull’aereo, che le annunciava l’arrivo a Tamanrasset. All’aeroporto venne loro incontro un uomo incartato in una tunica di un azzurro sbiadito che contrastava con il turbante blu cobalto che gli nascondeva il capo e la mascella. Disse di chiamarsi Abdell poi fece loro cenno di seguirlo e le aiutò a caricare i bagagli sul 4×4 parcheggiato lungo il viale. Emma si accovacciò sul sedile posteriore e lasciò che fosse la collega, con il suo francese impeccabile, a porre tutte le domande. La posizione in cui si trovava le consentiva di concentrarsi solo sulle risposte dell’uomo. Così venne a sapere che avrebbero passato la notte in un caravanserraglio e che la mattina seguente sarebbero state condotte nel cuore del deserto sahariano. A pochi metri dal luogo degli scavi era infatti stato allestito un campo tendato nel quale avevano già preso posto l’équipe dei tecnici francesi e il gruppo dei Tuareg: oltre ad Abdell, altre due guide e un cuoco. Arrivato a destinazione l’uomo si congedò, rinnovando alle due donne
l’appuntamento per la mattina seguente. Quella notte Emma fece fatica a prendere sonno, si sentiva pervasa da una grande eccitazione. L’ indomani Abdell arrivò puntuale. Emma lo trovò davanti alla porta d’ingresso del caravanserraglio. Il corpo atletico si stagliava su un uno sfondo di bouganville rampicanti , il volto abbronzato incorniciava con fierezza due zigomi alti e uno sguardo magnetico. Emma gli sorrise e, nell’attesa che la collega finisse di prepararsi, cercò di scambiare due parole nel suo francese stentato. Durante tutto il viaggio Emma non proferì una sola parola, gli occhi incollati al finestrino per inseguire dune ambrate dai fianchi invitanti e sinuosi. Un connubio perfetto tra sabbia e pietra,
imperturbabile al solco lasciato dalle ruote del fuoristrada. In questo spazio sospeso tra passato e presente, lei sentì per la prima volta, dopo tanti anni, di non avere gravità.
Arrivarono al campo, ad accoglierle trovarono gli altri membri del progetto. Dopo i convenevoli, si scambiarono alcuni pareri tecnici e, fatti i primi sopralluoghi, iniziarono i lavori. Ogni sera, dopo il lavoro, si sedevano tutti insieme intorno al fuoco per consumare le zuppe al coriandolo cucinate da Mohamed e per assistere alla preparazione del Tè, che avveniva secondo un rituale ancestrale fatto di mille travasi. Il crepitio della legna spesso rinfocolava in loro il desiderio di farsi raccontare le leggende di Abdell sulla costellazione di Orione. Talvolta poi il silenzio della notte veniva spezzato da canti improvvisati, accompagnati dal suono ritmato delle abili mani tuareg su oggetti di uso comune. Un pomeriggio al rientro al campo, Emma trovò Abdell. La stava aspettando. Lui la guardò intensamente e le disse in un francese perfetto: “Oggi mi sei mancata”. Lei abbassò lo sguardo senza rispondere. Quella sera intorno al fuoco si sedette accanto a lui e più tardi nell’oscurità lo baciò. Quando lui cercò di trattenerla, lei sorrise e scivolò verso la sua tenda. Nelle sere successive ci fu un crescendo di gesti audaci e inviti furtivi che sfociarono in un patto segreto: erano diventati complici di un rituale antico e immutato che si celebrava ogni notte nella tenda di lei. Una mattina, al risveglio, Emma si svincolò dall’abbraccio del suo amante, sentiva la pressione della vescica. Durante il percorso incontrò un cammello, si fissarono a lungo. Avrebbe voluto fargli mille domande, ma era troppo emozionata e non riuscì ad emettere alcun suono. Lui la guardò ancora un attimo, poi spazientito si girò verso la linea dell’infinito e riprese il suo cammino con un’andatura calma e regolare.
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