Esercizi di Bruna Petrei
ESERCIZIO N. 1:
Da Versi Riversi di Marino Santalucia, Editore Giulio Perrone, Roma, 2010
Lavoro a coppie (Bruna e Khadija)
Nelle mani unghie
vissute
con cui scavare la via
Nelle mani rughe
vive
dove trattenere il tempo
Nelle mani acqua
quieta
con cui lavar via
il peso della stanchezza
Nelle mani la vita
raccolta
e contenerla
senza tempo
ESERCIZIO N. 2:
“Una telefonata inaspettata”
“Paolo, hai apparecchiato la tavola?”. Dalla cucina ero affaccendata a preparare il pranzo. Eravamo stati in spiaggia; ora, un po’ accaldati, sembravamo formichine laboriose che si muovevano senza sosta. Sul balconcino della casa in affitto, la stessa da anni, silenziosa, luminosa, corte interna e parcheggio riservato, il tavolino di plastica bianco era ricoperto dalla tovaglia di cotone marrone col fiore arancio, un po’ anni Settanta, quella della vacanza. Ci sedemmo, ancora frastornati dal mare e dal caldo, ma la nostra tranquillità fu presto interrotta. Driiiin! Come fa il telefono a sincronizzarsi perfettamente con i momenti meno opportuni per trillare? Mi alzai. “Vado io, tu inizia pure, chi vuoi mai che sia, il 30 di luglio, all’una!
“Dottoressa Petrei?” , una voce femminile dall’altra parte del filo attendeva conferma. Essere chiamata così per cognome e titolo accademico, mi seccava un po’; non era che, per caso, c’era una grana in ufficio a Bologna, che mi pareva in quei giorni così lontana nel tempo oltre che nello spazio.
“Sì, sono io”.
“Buongiorno, telefono dal Provveditorato di Modena. Stiamo scorrendo le graduatorie di ruolo dal concorso a cattedre, classe A036”.
“Sì, certo …”. Ricordavo ancora quel concorso , quanto studio quasi dieci anni prima, quanto affanno, poi l’inserimento in graduatoria, ma nulla più. E ora, che accidenti doveva essere successo?
“… quindi, se lei accetta può inviare un fax, ma, per cortesia, lo faccia presto, sa, dobbiamo scorrere la graduatoria”.
“Sì, certo, mi faccia pensare … Posso richiamarla?”.
Fu così che in quel caldo pomeriggio estivo presi una decisione. Il fax lo inviai effettivamente e a settembre entrai in un’aula scolastica. Ad accogliermi trovai venticinque alunni, impauriti e intimoriti, ma non quanto me.
Brutti scherzi che tira il sole di luglio!
ESERCIZIO N. 3:
SICUREZZA O LIBERTA’ di Bruna Petrei (racconto inventato)
Due parole per un concetto astratto, ma con effetti tremendamente concreti, raccontano la svolta della mia vita. Sicurezza o libertà? Valutate voi, dopo avermi ascoltata.
Era il giorno del mio compleanno, il 23 luglio. Caldo. Salsedine sulla pelle. Carrozzeria arroventata nella vecchia 128 del papà. Stava per avere inizio la scena meno attesa della gita al mare. Il vecchio magnete rosso, che mio padre teneva sempre ben visibile sul cruscotto, mi sollecitava ad allacciare le cinture di sicurezza che in quel momento mi apparvero come delle lingue di fuoco sprigionate/sparate da un vulcano e pronte a riversare tutto il loro calore incandescente su di me /sulla mia maglietta appiccicata di sudore. Ma perché le cinture delle auto le fanno nere? Morale: “No, no, non ci penso proprio, che cosa vuoi mai che mi succeda? Per oggi si farà senza!”. Poi, all’improvviso, bum! Da dove sbuca quel deficiente? Quanto mi è costata quella sensazione di inutile libertà? Ve lo dico subito: un mese di collare rigido e dolorini cervicali a ogni cambio di stagione. Sicurezza o libertà?
ESERCIZIO N. 4:
Scegliere uno dei seguenti incipit sviluppati in aula secondo il modo del “racconto a staffetta” e riscrivere il racconto che è stato prodotto insieme oralmente.
1. “Il poeta stava su una panchina della stazione. Aveva già messo tutto in valigia ed era pronto.”
2. “Il ragazzo in uniforme si sentiva un po’ a disagio.”
RACCONTO A STAFFETTA
Il poeta stava su una panchina della stazione. Aveva già messo tutto in valigia ed era pronto. Il treno stava arrivando e, come sempre, lo stridere delle rotaie e quell’odore di ferro surriscaldato gli provocava un senso di malessere. Solo una volta salito a bordo si rese conto di non avere con sé gli occhiali. Doveva averli lasciati lì, a casa, sul comodino, distratto dalla telefonata dell’ultimo minuto. E ora, come avrebbe fatto senza gli occhiali? Decise di scendere, dopotutto avrebbe potuto prendere anche il treno successivo. Si incamminò a passo svelto verso casa, salì le scale a due a due, mise le chiavi nella serratura e, clic, finalmente accese il computer: il prossimo treno era previsto dopo mezzora. Ce la poteva fare. Via di corsa, per le scale, stavolta diretto in stazione. Ma il nostro poeta era davvero con la testa fra le nuvole: e gli occhiali? No, non era possibile, aveva dimenticato di prenderli via con sé. Ben gli stava, adesso ne avrebbe fatto a meno! Ma non tutti i mali vengono per nuocere, recitava così l’adagio popolare. Lungo i viali alberati che conducevano alla stazione, gli sembrò di scorgere una figura nota … una ragazza. Decise di seguirla, non sapeva neanche lui il perché. La ragazza giunse in stazione e salì sullo stesso treno che avrebbe dovuto prendere lui, il poeta. Così vicini, il poeta senza occhiali chiese a un vicino di sedile di leggergli le poesie che aveva nella valigia. L’uomo accettò di buon grado: si trattava di un affermato direttore editoriale che rimase affascinato da quella lettura. Ma per il nostro poeta non c’era pace. La ragazza scese dal treno e lui decise di seguirla, ovunque ella fosse andata, anche perché … Aveva letto il biglietto che le era sfuggito di mano: sul retro era riportato un indirizzo. Lo lesse e rimase meravigliato e sorpreso: ecco chi era quella giovane donna, la sua vicina di casa, l’inquilina del piano superiore, certo, ora la riconosceva. Tornò a casa, deciso a presentarsi di persona, una buona volta. Suonò al suo campanello. Lei venne ad aprire la porta, com’era bella, così senza trucco e scarmigliata. Il poeta con la valigia piena di poesie trasse di tasca un foglio di carta tutto spiegazzato e iniziò a leggere una sua poesia. Ma la ragazza, con un sorriso di commiserazione, lo guardò e richiuse la porta, senza dire una sola parola. Al nostro poeta senza occhiali, che aveva perso il treno, con una valigia piena di poesie, non rimase che tornare a casa e fare una doccia.
ESERCIZIO N. 5:
Venerdì 1 aprile 2011
Mittente: Bruna Petrei
Destinatario: Laboratorio
Oggetto: La Bavosa
Caro Laboratorio,
di te in giro si dice che sei un tipo creativo e socievole. Adori circondarti di persone disposte a confrontarsi e a mettersi in gioco. Hai un debole per le parole suggestive e le immagini inusuali. A proposito, è vero che sei un po’ pignolo e “precisino”, che non ti piacciono i luoghi comuni, le frasi di circostanza, le situazioni banali? Mi sei simpatico per questo. So che ami viaggiare ma, scusa se te lo dico, devi essere un bel pigrone se preferisci vedere il mondo attraverso gli occhi di chi ha vissuto lontano. O forse questo è il modo migliore per farlo? Chissà.
Noi non ci conosciamo ancora di persona. Io mi chiamo Bruna e nel mio nome sembra racchiusa la mia personalità: devi superare quella cortina di suoni iniziali, un po’ ostili, quasi una corazza protettiva, per scoprire la solarità e la disponibilità della vocale aperta finale.
Ti affido la Bavosa. È una creatura tenera, fragile, un po’ ironica e disincantata, con un particolare: attraverso i suoi occhi vedrai la realtà sfaccettata e multiforme. Abbine cura.
Ti saluto con simpatia
Bruna
ESERCIZIO N. 6:
Lettera aperta a Christiana e Pina. Riflessioni sul primo modulo di laboratorio
Bologna, 3 aprile 2011
Gentili e care Pina e Christiana (giuro che ho messo l’acca),
alcune riflessioni.
Primo aprile. Primo modulo, primo tempo.
Venerdì all’uscita mi era venuto un mal di testa feroce: soffrivo il caldo, la mancanza di aria in aula, ero preda di un senso di frustrazione e inadeguatezza, io, schiva e riservata. Meno male che a consolarmi c’era fuori l’aria nuova di primavera e il passeggìo scanzonato degli studenti universitari in via delle Moline.
Sì, è con questo senso di incapacità che ho lasciato il laboratorio: troppo belle le storie di vita dei miei compagni, un po’ inarrivabili. Per me una sconfitta: non riuscirò, nonostante mi dicano tutti che “so scrivere bene”, io, che non ho nessun racconto nel cassetto … Conclusione: il primo tempo finisce in svantaggio.
2 aprile, secondo tempo.
È arrivato il sabato. Come ogni medicina che si rispetti, al primo assaggio può essere amara, ma basta aspettare che i princìpi attivi in essa contenuti facciano il loro effetto ed ecco trarne i benefici.
Giunge il sabato: l’aula non è più tanto bollente, i volti dei miei compagni di avventura non sono più tanto sconosciuti. Qualche “ciao” più complice e consapevole. Poi, via, si inizia (a me il ritmo prussiano va benissimo!). Ci trasformiamo a turno da narratori in lettori critici e attenti e scopriamo una nuova forma di scrittura, partecipata, mutevole, condivisa, ragionata. Io, che pure avevo scritto, naturalmente non ho voluto leggere le mie righe. Ma ho ascoltato, ho fatto tesoro dei suggerimenti (giammai consigli) che ne sono scaturiti. Ho avvertito che i miei dubbi sono gli stessi degli altri: il doversi esporre, mettere a nudo i propri sentimenti … Adesso mi occorre l’idea. Ma verrà a sbattermi addosso, lo so, e non mi chiederà neanche scusa.
In piena tempesta creativa ho lasciato l’Aula Forti; quindi sono tornata alle mie faccende quotidiane, ma lo spirito dentro era stato rinnovato: non vedrò più le cose come erano prima (e non è un L. C.)!
Il secondo tempo si è chiuso con un pareggio.
Buona tempesta creativa a tutti
Con gratitudine
Bruna Petrei
ESERCIZIO N. 7:
Esercizio dei TAROCCHI: scelgo due carte, tra quelle poste sul tavolo e scrivo un breve racconto, in 15 minuti. 15 aprile 2011
L’EREMITA e LA CARTA XIII
Mi accingevo al viaggio. Avevo predisposto tutto l’occorrente in modo meticoloso e accurato. Non mi mancavano la bisaccia, il vincastro, i sandali.
Avevo abbracciato quella decisione contro la volontà paterna e nella disperazione di mia madre. Ma il mio tormento interiore non mi aveva dato scampo.
Avrei dovuto incontrarla e l’avrei fatto quella notte stessa.
Imboccai il sentiero, dal lato dove crescevano i rovi e le sterpaglie e mi inerpicai sulla cima. La fatica e il dolore del cammino non riuscivano a distrarmi dalle mie preghiere. Il conforto mi proveniva dal mio intimo, come una forza che sentivo esplodere e che alimentava i miei muscoli tesi. La luce del giorno andava affievolendosi, restavano in cielo gli ultimi bagliori, fiaccole luminose, rutilanti, infuocate.
Fermo sulla cima potevo ancora distinguere la sagoma della mia dimora, sembrava così lontana …
Quando ecco, all’improvviso, Ella mi apparve. Riuscivo a scorgerla a malapena, solo i contorni, vagamente i colori, ma mi rendevo conto della sua sfolgorante bellezza.
Ecco era Lei: ritta sulla sommità, che mi stava aspettando a braccia aperte e sembrava dirmi, con un sospiro: “Respira …”.
ESERCIZIO N. 8:
1. Esercizio dei PERSONAGGI: creare un unico personaggio unendo le caratteristiche di due personaggi reali. 27 maggio 2011
I capelli bianchi, gli occhi azzurri da ragazzo curioso, il viso attraversato da rughe simpatiche. Nonno Riccardo aveva l’abitudine, quando andavamo a trovarlo nella sua casa in campagna, di venirci incontro, col suo passo malfermo, a braccia aperte e con un libro in mano. Sapevamo già che da quel momento non esisteva altro: ci saremmo accovacciati sul tappeto ricamato della nonna e avremmo atteso la lettura di un racconto.
Di solito, mentre il nonno narrava la storia di Ettore che sfidava a duello Achille o di Odisseo che faceva naufragio nell’isola dei Ciclopi, quando narrava le avventure di Astolfo sulla luna o dei Cavalieri della Tavola Rotonda, noi, in ascolto, immaginavamo di prendere parte alle stesse imprese eroiche e bevevamo, cogli occhi affamati, dalla sua voce pacata e profonda.
Poi era la volta della nonna che passava col vassoio di dolci profumati di vaniglia appena tolti dal forno.
2. Esercizio dei PERSONAGGI: creare un personaggio nuovo, di fantasia. 27 maggio 2011
Evelina era bella. Capelli ricci ricci, un intrico di foglie come dicevano i suoi amici per prenderla in giro, due occhi grandi, appena offuscati da lunghe ciglia nere, nascosti da un ciuffo sbarazzino che lei scostava dalla fronte con un soffio. Evelina era sempre sorridente, pure quella volta che arrivò a scuola tutta fradicia di pioggia perché Stasia, la sua sedia a rotelle, non è munita di ombrello.
ESERCIZIO N. 9:
Riscrittura del dialogo (tratto dal racconto di Natalia Ginzburg)
di Bruna Petrei
Titolo : “M’ama-non-m’ama”
Il pomeriggio al parco dei Riseis era particolarmente caldo. La luce splendente d’estate si poggiava sulle foglie e regalava giochi d’ombra e di frescura sotto gli alberi. All’ombra di un olmo, stanchi dei giochi, schiena contro schiena, sedevano sul prato Laura e Matteo. Una farfalla rossiccia, con due occhi gialli tra le ali si posò sulla spalla di Laura.
-Ti piaccio?- ruppe il silenzio lei.
-Sì- Matteo emise un monosillabo, continuando a sfogliare i petali di una margherita.
-Più io o Antonietta?- insistette Laura.
-Più tu- rispose in un lampo, senza starci a pensare su troppo.
-Perché?- Laura non mollava la presa. Diresse lo sguardo verso l’amico cercando di accoglierlo nel suo campo visivo per studiarne tutti i movimenti.
-Perché sì- il solito Matteo, che smonta sempre tutto!
-Anche tu mi piaci- A Laura la frase venne fuori così, in un soffio.
-Più io o Giulio?- Matteo uscì allo scoperto.
-Più tu- Ora toccava a lei. Rispose con innocente malizia.
-Perché?-
-Boh, con te sto meglio- La farfalla volò via, forse spaventata dal leggero sussulto della spalla di Laura.
-Senti …-
-Dimmi!
-Sai che è bello stare qui con te?-
-Anche per me. Perché lo vuoi sentire un’altra volta?-
-Perché mi piace quando lo dici- Matteo lasciò delicatamente scivolare dalla propria mano la margherita, ormai senza petali, e strinse la mano di Laura.
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