Presentazione dell’e-book – Wu Ming 2

Il quinto laboratorio di scrittura meticcia e collettiva al quale ho avuto il piacere di partecipare, ci ha visto introdurre un’importante novità nella stesura dei racconti che state per leggere.

In tutte le edizioni precedenti, i gruppi di lavoro sceglievano un oggetto d’archivio, inteso in maniera molto ampia – da una notizia di telegiornale alla lettera di un nonno – che richiamasse un tema comune, proposto dal professor Pezzarossa, e sempre incentrato su viaggi, migrazioni, respingimenti, accoglienze, muri di confine. Una volta selezionato, il documento diventava lo spunto per la costruzione dei racconti, che potevano rielaborarne la vicenda in chiave narrativa oppure semplicemente trarre ispirazione da un dettaglio per inventarne una nuova nuova, con ambientazione e protagonisti differenti.

Quest’anno invece abbiamo deciso di partire da un archivio specifico, tutto composto di articoli di giornale dedicati all’arrivo di profughi e richiedenti asilo in una qualsiasi cittadina italiana. In particolare, abbiamo attinto ai 210 casi di rifiuto dell’accoglienza sul territorio, avvenuti nel 2016 e analizzati dall’associazione Lunaria nel suo Focus n.1 del marzo 2017 (Accoglienza. La propaganda e le proteste del rifiuto, le scelte istituzionali sbagliate). A questo impressionante catalogo di meschinità, abbiamo accostato una cronologia – curata dal blog Hurriya e sempre riferita all’anno 2016 – di rivolte, fughe e proteste nelle strutture italiane che a vario titolo, e con vari nomi, ospitano o rinchiudono migranti, stranieri, rifugiati. Infine, abbiamo cercato anche episodi e testimonianze di reale accoglienza, di aiuto reciproco e di ospitalità, per quanto la carta stampata non offra mai molto spazio, com’è noto, alle buone notizie e a quella che dovrebbe essere la norma, non certo l’eccezione.

Terminata questa ricerca, in gran parte preliminare rispetto al laboratorio, ci siamo interrogati su quali fossero i protagonisti ricorrenti di queste vicende, i meccanismi narrativi utilizzati per raccontarle, gli stereotipi e le effettive somiglianze, da una provincia all’altra.

Abbiamo così individuato, oltre ai plot ricorrenti, anche un manipolo di figure – tra l’archetipo e il prototipo – dei soggetti coinvolti in queste situazioni di accoglienza, protesta o rivolta.

Gli stessi profughi, ovviamente, con tutte le possibili declinazioni che una categoria così vasta può contenere, in termini di esperienze e di intenzioni, di progetti e paure. I comitati del No, che sorgono spesso in maniera nient’affatto spontanea sui territori dove forse, chissà, si dice verranno sistemati come pacchi ingombranti alcuni carichi di esseri umani. La notizia del loro arrivo, e le successive cronache, sono il prodotto di giornalisti, locali o nazionali, televisivi oppure on-line, che contribuiscono a suscitare il famigerato “clima mediatico”, rispetto al quale, tuttavia, alcuni cittadini rimangono indifferenti. Ci sono poi gli operatori del terzo settore – mediatori culturali, assistenti sociali ed educatori – che per lavoro si occupano dei diversi aspetti dell’accoglienza e che in qualche modo la devono gestire. Un mandato che può assumere caratteristiche molto differenti, come ci insegna la lezione di Foucault e di Basaglia sulle istituzioni totali: dal prendersi cura al sorvegliare, in una scala di sfumature senza distinzioni nette, dove non è sempre facile capire a quale bisogno si sta rispondendo. Infine, per quanto negli articoli di giornale facciano capolino solo ogni tanto, abbiamo tenuto conto della presenza di stranieri già residenti e cittadini italiani di origine straniera sul territorio interessato dal nuovo arrivo.

I gruppi di scrittura si sono così formati intorno a queste tipologie di personaggi, con il compito di produrre un racconto che avesse come iniziale violazione della quotidianità la notizia dell’arrivo dei “forestieri” e come punto di vista privilegiato – o protagonista della storia – quello di uno o più rappresentanti della categoria prescelta.

Leggendo il risultato di questo sforzo collettivo, non vi sarà difficile stabilire le corrispondenze tra tipi e racconti, che hanno comunque funzionato da semplice spunto iniziale, senza nessuna intenzione di fare sociologia attraverso la letteratura, ma piuttosto cercando di utilizzare la narrativa come uno dei tanti, possibili strumenti per comprendere insieme la realtà, liberi dall’obbligo di rappresentarla fedelmente, armati di molte lingue e altrettanta fantasia.